mercoledì 24 ottobre 2012

Dove i soldati cercano la pace

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Jack Hutchinson è un 50enne ex pilota elicotterista della Royal Marine, ed alcuni anni fa, congedatosi dall’esercito di Sua Maestà, ha deciso di destinare 13 ettari di terreno della sua proprietà, presso Dinnet, un villaggio nel Nord della Scozia, nella mitica regione delle Highlanders, all’organizzazione HorseBack UK, di cui è fondatore, che ha la finalità di aiutare i reduci dell’esercito britannico che hanno difficoltà a rientrare nella vita civile (civy street) per le ferite che hanno riportato nel corpo e nell’anima.
In questa fattoria i reduci possono trascorrerci due settimane come alcuni mesi imparando a occuparsi dei cavalli (ippoterapia), sono impegnati in corsi di bushcraft (un’antica tecnica gaelica di riscoperta della primitiva vita all’aria aperta), si dedicano all’impegnativa pesca ai salmoni, alla falconeria ed a governare gli animali. E’ un modo per allontanare i fantasmi ed i dolori delle guerre. I reduci hanno combattuto in Irlanda del Nord, Iraq, Afghanistan, Sierra Leone ed i altri teatri di conflitto. Molti di loro hanno subito forti mutilazioni e amputazioni (Improvised Expolisve Device è un tipo di ordigno che i guerriglieri in vari zone di conflitto costruiscono artigianalmente, ad esempio in Afghanistan ha ucciso 222 soldati, oltre la metà dei 419 caduti britannici in questo fronte di guerra), altri sono stati travolti dalle paure e depressione (PTSD  - disturbi post traumatici da stress). Secondo alcuni dati dell’Università di Manchester, tra i 233.803 militari che hanno lasciato le Forze Armate Britanniche dal 1996 al 2005, ci sono stati 224 casi di suicidi. Invece, i dati diffusi dal Ministero della Difesa hanno rivelato che il 3% dei detenuti nelle carceri britanniche è un ex soldato (circa 2.500 uomini).
Ad oggi sono passati da HorseBack 456 reduci, tutti in cerca di pace. Solo chi ha fatto la guerra conosce il valore della pace.
Per ulteriori informazioni:
http://horsebackuk.org/
http://www.facebook.com/pages/HorseBack-UK/197483570567
RDF

lunedì 22 ottobre 2012

Sabato 15 dicembre 2012 - Giornata della Consapevolezza Globale

Sabato 15 dicembre 2012 - Giornata della Consapevolezza Globale
Bologna - Palazzo Dozza di Bologna

Un Evento Globale per celebrare la prima Massa Critica Consapevole in Italia



Programma della giornata

lunedì 15 ottobre 2012

Biglietti da 500 euro, chi li ha visti?



(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Sono quasi scomparsi dalla circolazione e non dipende solo dalla crisi finanziaria di questi tempi. Parlo dei biglietti da 500 euro. Secondo il rapporto della Fondazione ICSA della Guardia di Finanza, nel nostro paese 4/5 dei biglietti da 500 euro circolano solo in alcune zone: a ridosso del confine italo-svizzero, nella provincia di Forlì (che confina con la Repubblica di San Marino) ed il Triveneto dove sono numerose gli scali aeroportuali per l’est Europa. Questo porta a sospettare che il biglietto da 500 euro sia usato in queste parti del nostro Paese per far uscire il denaro dall’Italia (un milione di euro in banconote da 500 pesa 1,6 Kg, mentre 10.000 euro entrano in una borraccia di un ciclista e non a caso negli ultimi tempi sono aumentate le scalate amatoriali in bicicletta verso San Marino) o per il riciclaggio.
Secondo il rapporto annuale dell’Unità finanziaria della Banca d’Italia, la banconota da 500 euro è indicata come “potenziale strumento di riciclaggio”.
Nell’eurozona i biglietti da 500 euro rappresentano il 34,57% del valore in circolazione ed oggi sono aumentati a 600 milioni di pezzi (valore 300 miliardi). In Italia i dati, invece, indicano una netta diminuzione di queste banconote in circolazione, dovuta principalmente alle misure antiriciclaggio attivate nell’ultimo anno dal governo italiano.
(si legga anche: http://recintointernazionale.blogspot.it/2011/08/rischio-riciclaggio-per-le-banconote-da.html)

RDF

sabato 13 ottobre 2012

Le banche abbandonano Obama

 (fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Si fa più in salita la strada per la rielezione di Barack Obama alla presidenza degli USA. Infatti, dopo il deludente faccia a faccia televisivo con lo sfidante, il repubblicano Mitt Romney, dal quale Obama è uscito palesemente sconfitto, l’attuale presidente USA deve incassare la notizia negativa che la Goldman Sachs non finanzierà più, come in passato, la sua campagna elettorale. In questo periodo in cui la società vede malissimo il mondo dei banchieri, forse non è poi una cattiva notizia per Obama, anzi, potrebbe aumentargli il supporto di molti “indignati” statunitensi. Eppure lo staff del presidente Obama giudica la scelta della Goldman Sachs, pessima. Infatti la banca d’affari da oltre quarant’anni aveva sempre finanziato le campagne presidenziali e le convention democratiche, ed anche lo stesso Obama, nel 2008, aveva ricevuto da questa banca oltre un milione di dollari. Ma adesso le scelte della Goldman Sachs sono cambiate e in maniera talmente radicale che oggi finanzia i repubblicani. Ed a preoccupare ancor di più Obama ed i suoi uomini è la notizia che anche le altre banche d’affari statunitensi hanno virato la loro rotta del finanziamento verso Romney. Alcuni dati. La Goldman Sachs ha finanziato quest’anno Obama per 136.000 dollari, contro il già citato milione del 2008 e ai 900.000 dati negli ultimi mesi a Romney. La Morgan Chase, la Morgan Stanley, il Citygroup e la Bank of America nel 2008 diedero 3,5 milioni di dollari alla campagna di Obama, oggi le hanno donato 650.000 dollari, mentre a Romney la bellezza di 3,3 milioni di dollari. Complessivamente dalle banche sono arrivati quest’anno a Obama 12 milioni di dollari, al suo sfidante quasi il doppio.
Secondo il Wall Street Journal, che ha rivelato la notizia, le banche hanno voluto così “punire” Obama per la sua politica. Infatti il presidente, dinanzi alla crisi, innescata proprio dalle banche d’affari, ha avviato una regolamentazione severa dei mercati ed escludendo le banche dai forum decisionali governativi in materia finanziaria. Queste così hanno visto perdere potere ed inizialmente anche profitti. Oggi quindi hanno servito la vendetta, ma queste soffrono anche di una memoria corta, infatti, molte banche che oggi girano le spalle al presidente Obama, all’inizio del suo mandato, in piena crisi finanziaria, avevano ricevuto ingenti aiuti economici per essere risollevate. Oggi ripreso il loro regime di profitti e prestigio hanno però scelto il candidato repubblicano.
RDF

mercoledì 10 ottobre 2012

Soldi e fede

(fonte: Sette-Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

L’Egitto post Mubarak deve affrontare, tra i vari problemi, anche una propria crisi economica e finanziaria. Quindi, tramite la banca Centrale nazionale, ha chiesto aiuto ai fondi del FMI, ottenendo il prestito d 4 miliardi di euro con un tasso di interesse all’1,1%. Ma adesso sorge un problema, il governo del paese è in mano a ai Fratelli Musulmani, di forte ispirazione islamica, e all’ala più radicale del partito salafita Al-Nour. E secondo il diritto islamico non è permesso il prestito con tasso. I partiti islamici sembrano intenzionati a chiudere tutte e due gli occhi, il paese va salvato, anche con gli interessi….
RDF

In Argentina i conti non tornano

(fonte: Sette- Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Sembra che in Argentina la matematica sia un’opinione, un’opinione governativa. Infatti, da alcuni anni i dati “ufficiali” dell’economia argentina non sono più presi sul serio, in quanto ritenuti dalla comunità internazionale poco fedeli alla realtà economica del paese sudamericano. Nel 2007, sotto la presidenza di Nestor Kirchner, il governo di Buenos Aires cambiò i vertici dell’Istituto Governativo di Statistica (INDEC), nominando, secondo alcuni analisti internazionali, esponenti vicini alla presidenza argentina. Quindi da quell’anno l’inflazione argentina, secondo i dati ufficiali, è variata e varia tra il 7 e il 9%, ma i dati delle organizzazioni indipendenti  denunciano un’inflazione intorno al 20% (il 25% nel 2011). Sull’inaffidabilità dei dati “ufficiali” argentini si è espresso anche l’Economist che recentemente li pubblica con tre asterischi, stando ad indicare da legenda che non sono affidabili. Di seguito anche il Fondo Monetario Internazionale ha denunciato le sue perplessità sui dati comunicati da Buenos Aires, invitando l’Argentina ad armonizzare le sue modalità di rilevazione dei dati a quelle internazionali. La presidentessa Cristina Kirchner difende l’autonomia del suo paese in materia, ma qualcosa non sembra tornare, vedendo anche la situazione economica delle famiglie argentine. Difatti, secondo l’INDAC il 6,7% della popolazione è appena sotto la soglia di povertà e l’1,7% è indigente, secondo i calcoli indipendenti i poveri in Argentina sarebbero il 21%!!!!!
RDF

mercoledì 3 ottobre 2012

Quegli incontri di Di Pietro al Consolato USA di Milano

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

E’ apparsa su alcuni giornali italiani in agosto, ha occupato solo per poche ore la ribalta mediatica, per poi cadere nel nulla, quindi, quasi una notizia non-notizia. Eppure merita di ricordarla e ricordarcela. Di cosa si tratta? Quest’estate, Reginald Bartholomew, ambasciatore USA in Italia dal 1993 al 1997, pochi giorni prima di morire rilascia delle dichiarazioni sul suo arrivo in Italia. Infatti, nominato dall’allora presidente Bill Clinton, giunge a Roma in quanto, dichiara lo stesso ambasciatore: “gli USA erano preoccupati della deriva dei magistrati: nell’intento di combattere la corruzione politica dilagante il pool era andato ben oltre violando sistematicamente i diritti degli imputati”. Il pool  a cui si riferisce  Bartholomew è quello di Milano, che si occupa di Tangentopoli. Secondo ulteriori rivelazioni il neo ambasciatore si adoperò per richiamare il console USA a Milano, Peter Semler, presente fin dal 1990 nel capoluogo lombardo, perché a Washington non sarebbero piaciuti certi incontri tra il console e l’allora pubblico ministero del pool Mani Pulite, Antonio Di Pietro, avvenuti intorno al 1991. Semler recentemente ha confermato di aver incontrato il pm di Milano che gli aveva comunicato che: “c’era un’inchiesta su Mario Chiesa e che le indagini avrebbero raggiunto Bettino Craxi e la DC”. Per Bartholomew, “qualcosa nel consolato  americano non quadrava”. Ed ancora non non manca chi ha visto anche in questa vicenda pressioni USA, prima che salisse Clinton alla Casa Bianca, sulle indagini di Milano.
Non solo, Di Pietro, nel 1992 si recò anche negli Stati Uniti per una decina di giorni, durante i quali, secondo il Corriere della Sera,  il pm ebbe incontri con membri dell’FBI e magistrati. Di Pietro ha sempre smentito questi incontri, il viaggio negli USA, ufficialmente fu organizzato dallo United States Information Agency (USIA) e dall’ambasciata USA di Roma.
Morto Bartholomew, ma scoppiato ormai il caso, sono stati intervistati alcuni protagonisti di quel momento. Il diretto interessato, Di Pietro, ha dichiarato che le rivelazioni di Semler sono false, in quanto “non potevo anticipargli il coinvolgimento dei vertici di Dc e Psi perché nel novembre 1991 già indagavo su Mario Chiesa, ma non avevo idea dove saremmo andati a parare” (Di Pietro ha confermato però gli incontri con il console). Smentite ufficiali, su eventuali ingerenze o comunicazioni USA sulle indagini di Mani Pulitie sono giunte inoltre anche da Gherardo d’Ambrosio, anch’esso magistrato del pool, e da Francesco Saverio Borrelli, allora procuratore capo di Milano. Secondo l’analista americano, Edward Luttwak: “gli USA non avevano interesse ad aiutarlo (aiutare Di Pietro), e si chiedevano cosa avrebbe portato Mani Pulite se fossero crollati i partiti con cui trattavano da mezzo secolo”.  Inoltre per Luttwak sarebbero normali i contatti tra magistrati locali e diplomazie straniere, in particolare quando ci sono di mezzo rogatorie, ed ancora, sempre secondo Luttwak, l’FBI a Milano si occupava di mafia e la CIA del commercio tra l’Italia e l’URSS. E sul richiamo di Bartholomew a Semler? Luttwak: “ per gli USA Di Pietro era troppo disinvolto nell’impiego degli strumenti giudiziari, cosa che dovette irritare Bartholomew. Per noi è difficile accettare la carcerazione preventiva. Ricordo che invitai alla Georgetown University il giudice della nostra Corte Suprema, Antonin Scalia, per il discorso di Di Pietro: rifiutò di venire perché in dissenso con i suoi sistemi”.
Ad alimentare i sospetti, invece, Rino Formica, socialista con Craxi ed ex ministro delle Finanze, che non si stupisce del’intervento di Bartholomew, infatti, secondo Formica, intervistato dal Corriere della Sera: “gli USA avevano dei problemi nell’Europa del post ’89. Uno di questi era l’Italia: e il consolato di Milano tesseva la tela con il pm Di Pietro. […] Clinton capì che l’Italia, nel biennio 1992-93, era un Paese sull’orlo della guerra civile”. Ed ancora, su un eventuale pressione USA sulle indagini di Milano, l’intervento, sempre sulle pagine del giornale di via Solferino, di Paolo Pilliteri ex sindaco socialista di Milano: “Bettino non si sbilanciava mai, ma diceva che l’America non aveva mandato giù la viocenda di Sigonella, né aveva gradito la politica estera di Andreotti”.
Infine le parole di Peter Secchia, ambasciatore USA in Italia prima di Bartholomew: “Non so perché Bartholomew pensò che il consolato rischiasse di sporcasse, per così dire, con Mani Pulite e perché lo richiamò duramente”.
RDF

lunedì 1 ottobre 2012

Prosegue la normalizzazione somala: gli Al Shabab cacciati da Kisimaio.

A cura di Francesco Della Lunga

Prosegue la "normalizzazione" della Somalia. Le truppe keniote sono entrate nel territorio somalo a nord di Chisimaio ed hanno sconfitto le truppe di Al Shabab, asserragliate nella cittadina nel sud della Somalia dall'anno scorso. Secondo le notizie di stampa apparse in questi giorni, l'esercito keniota sarebbe riuscito a sconfiggere gli islamisti ed a liberare una delle ultime roccaforti. Gli Al Shabab erano da circa un anno asserragliati a Chisimaio, vicino ai confini col Kenya, dopo che erano stati battuti dalle truppe dell'Unione Africana a Mogadiscio. Ma forse è ancora troppo presto per poter parlare di pacificazione, nonostante che da alcuni mesi la diaspora somala stia rientrando nella capitale. Del resto Al Shabab aveva già lasciato Mogadiscio durante gli scontri con gli etiopi già nel 2007 (allora chiamati ancora Corti Islamiche) e durante l'intervento della coalizione africana era comunque riuscito a recuperare il controllo di alcuni quartieri della capitale. Attualmente la situazione appare migliorata, ma Mogadiscio è ancora una città molto pericolosa e dove la vita è continuamente a rischio. Gli islamici sono ancora in grado di condizionare ed orientare una parte della popolazione. Oltre ai fondamentalisti permane il problema della pirateria, soprattutto nelle aree centrali ed a nord della capitale. Ancora indeterminata appare la vicenda del Somaliland, da diversi anni proclamatosi indipendente da Mogadiscio. Insomma, la Somalia appare ancora lontana dalla pacificazione, dopo oltre vent'anni di guerra e devastazione. Ma forse stavolta siamo sulla buona strada.