giovedì 23 agosto 2012

Agente Orange

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Agente Orange, non si tratta di un nome in codice di una spia, ma di un agente chimico utilizzato dagli USA nel conflitto “sporco” del Vietnam (1960-1975). E non si tratta neanche dell’oramai fatalmente famoso napalm, ma di un defoliante, capace di distruggere rapidamente la vegetazione della giungla vietnamita, con lo scopo di eliminare i nascondigli e le coperture naturali utilizzate dalla guerriglia comunista. Si calcola che tra il 1962 ed il 1971 l’aviazione statunitense abbia sparso su un quarto del territorio del Vietnam 80 milioni di litri di diserbanti con un alta presenza di diossina. La produzione dell’Agente Arancione (il nome deriva dal fatto che questo diserbante era confezionato in barili con un sigillo arancione) fu voluto dal presidente John Fitzgerald Kennedy. A distanza di quasi quarant’anni, oltre al disastro ambientale, il Vietnam denuncia a Washington che tale bombardamento chimico ha colpito con effetti nefasti per la loro salute, circa 3 milioni di persone, ed ancora oggi almeno un milione, di cui 150.000 sono bambini, deve fare i conti con quell’eredità tossica: deformazioni fisiche, forme tumorali, gravi ritardi mentali ed altro ancora. A rendere ancora più tragica la vicenda, il fatto che ormai, in varie zone del Vietnam, la diossina è entrata nel ciclo alimentare. Gli Stati Uniti il 10 di agosto, paradossalmente la stessa data in cui fu, nel 1961, testato per la prima volta il diserbante, hanno firmato un accordo con Hanoi, finanziando per 43 milioni di dollari la bonifica di alcune zone del Vietnam, che prevede la rimozione di 73 milioni di metri cubi di terreno.
Per completare l’informazione, nel 1984 Dow Chemicals e Monsanto (produttrici del diserbante) pagarono un indennizzo di 180 milioni ai veterani USA che avevano subito gravi danni di salute nell’impiego dell’Agente Arancione, mentre la Corte Suprema, pochi anni dopo, annullò la causa intentata da alcuni vietnamiti contro i produttori del diserbante.
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Dar es Salaam punta a Singapore


(fonte: Sette-Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Le autorità cittadine di Dar es Salaam, la capitale della Tanzania, su indicazione del governo centrale, stanno studiano un nuovo piano urbanistico che sostenga lo sviluppo che la città sta vivendo da alcuni anni: negli ultimi vent’anni è passata da 2 a 4 milioni di abitanti e potrebbe raggiungere gli 8 milioni nel 2032. Ancora in fase di studio, il nuovo piano s’ispirerebbe a Singapore, tanto che una commissione di esperti dalla Tanzania si è recata nella città-stato asiatica per osservare da vicino quella realtà. Sicuramente un progetto ambizioso, infatti, Singapore “vale” 211 miliardi di euro, mentre l’intera Tanzania 18,6 miliardi, non solo, 7 abitanti su 10 di Dar es Salaam vivono al limite della povertà ed in immensi quartieri bidonville (slum). Però è da registrare il fatto che l’economia della Tanzania è in netta espansione, che esiste una classe, seppur ben ristretta, di famiglie ricche, legata alla proprietà delle miniere, che ha disponibilità di molto denaro da investire e consumare. E gli amministratori della città non si stanno lasciando scappare l’occasione, tanto da aver iniziato ad emettere bond per finanziare progetti per la realizzazione di infrastrutture ed ha dato la sua disponibilità a studiare (e realizzare?), un nuova urbanizzazione, ma niente, ancora, sulle scelte in politica di occupazione, politiche sociali che dovrebbe perseguire la nuova Dar es Salaam.
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martedì 21 agosto 2012

L’esercito tedesco potrà operare anche in patria

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando
La Corte costituzionale federale di Karlsruhe ha stabilito con una sentenza che l’esercito tedesco potrà intervenire sul territorio nazionale contro minacce terroristiche “in caso di situazioni eccezionali dalle dimensioni catastrofiche”, e solo dopo valutazioni del potere esecutivo. La Corte ha inoltre specificato, anche dettagliatamente, i casi in cui l’esercito possa o non possa essere impiegato: non potrà essere utilizzato per reprimere manifestazioni popolari, non potrà essere autorizzato all’abbattimento di un aereo che trasporti civili vittima di un dirottamento terroristico, ma gli sarà consentito sparare colpi di avvertimento. Cade quindi così un tabù che resisteva dalla fine della seconda guerra mondiale. Infatti, fino alla sentenza, la Legge Fondamentale del 1949 indicava che l’esercito tedesco aveva la funzione di difesa del territorio nazionale e poteva essere impiegato internamente solo in caso di disastri naturali o gravi incidenti, invece attribuiva alla polizia la sicurezza interna della nazione. Oggi questa netta separazione cade, ma tra mille polemiche politiche, in particolare da socialdemocratici e verdi che denunciano il rischio della “militarizzazione” del paese.
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Etiopia: è morto il presidente Meles Zenawi

a cura di Francesco Della Lunga

E' di stamani la notizia di fonti governative di Addis Abeba che comunicano la morte del Presidente Meles Zenawi. Secondo quanto riportato e ripreso dalla stampa nazionale ed internazionale, Zenawi è deceduto a causa di una non precisata infezione che avrebbe contratto nei mesi scorsi. Da circa due mesi infatti il leader politico tigrino non appariva in pubblico ed aveva disertato anche alcune occasioni ufficiali come un recente summit diplomatico presso l'Unione Africana che ha sede proprio nella capitale del paese. Non è stato precisato dove il Presidente sia di fatto deceduto. Alcuni giornali parlano di un ospedale all'estero dove si trovava in convalescenza, forse in Europa se non addirittura a Bruxelles, altre fonti darebbero invece già avvenuta da alcune settimane la morte di Meles. Il suo posto è stato preso dal vice presidente, Hailemariam Desalegn. Zenawi era in carica sin dal 1995 ed era stato il leader del fronte popolare per la separazione del Tigrè, una delle regioni più sviluppate del paese, vicino al confine con l'Eritrea. Per un breve periodo aveva addirittura accarezzato l'idea di fare Mekelle la capitale del paese. Un leader che aveva combattuto contro il Negus rosso, Menghistù, e che aveva vinto la battaglia favorendo la sua caduta e l'espatrio in Zimbabwe. Per preservare l'integrità del paese, suddiviso da numerose etnie, aveva favorito la nascita dello stato federale. La sua figura politica è rimasta tuttavia controversa soprattutto per aver impedito, secondo l'opposizione, lo svolgersi di regolari elezioni politiche. Numerosi gli scontri di piazza che avvennero nel 2004 e che portarono a decine di morti. La situazione interna è rimasta difficile, con aree di conflitto che tuttora sono presenti in alcune regioni, quali l'Oromia, al centro del paese, la zona di Gambella, al confine con il Sudan. Rimangono ancora forti tensioni con il nemico storico, l'Eritrea di Isaias Afewerki. Sotto la presidenza di Zenawi il paese si era riavvicinato fortemente all'Occidente, dopo il periodo di Menghistù, allora vicino all'ex Urss. Oggi Addis Abeba è ritenuta come il bastione occidentale nel Corno d'Africa con la presenza di alcune basi americane da cui partono i droni contro Al Quaeda, attualmente presente in Somalia, nella capitale Mogadiscio ed in alcune aree del sud del paese. Curioso il parallelo fra Meles ed il suo nemico storico, Afewerki. Anche il Presidente eritreo, qualche mese fa, era stato dato in fin di vita proprio a causa di una non meglio precisata infezione (si veda anche il nostro post su RI). Afewerki era poi apparso in pubblico fugando ogni illazione. In questa regione del mondo, le morti dei leader avvenute in contesti poco chiari non sono una novità. La storia etiope ha fatto emergere episodi di avvelenamenti. L'ultimo imperatore, Hailè Selassiè, sarabbe stato avvelenato proprio dal suo successore, Menghistù Hailè Mariam nel lontano 1975.

lunedì 20 agosto 2012

“La donna è complementare all’uomo”

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

La nuova Tunisia del dopo Ben Alì sembra essere partita con il piede sbagliato. Infatti, nella bozza dell’articolo 28 della nuova Costituzione, la commissione dei diritti e libertà dell’Assemblea costituente ha approvato quanto segue: “Lo Stato assicura la protezione dei diritti della donna, delle sue conquiste, in base al principio della complementarità all’uomo in seno alla famiglia, e in quanto associata all’uomo nello sviluppo della patria”. In parole povere la donna è complementare e non uguale all’uomo. L’articolo è stato approvato con il voto di 12 membri della commissione (i nove rappresentanti di Ennahda, la formazione politica islamista vincitrice delle elezioni dell’autunno scorso, e i tre membri alleati), mentre la proposta alternativa, che dichiarava un’uguaglianza sostanziale tra donne e uomini ha ottenuto gli 8 voti dei restanti membri.
Questo voto ha scatenato le proteste della popolazione tunisina e non solo di quella femminile. L’Assemblea costituente è da giorni assediata pacificamente dai dimostranti che chiedono che siano confermati i diritti riconosciuti alle donne che avevano fatto della Tunisia uno dei paesi più progressisti del continente africano. Adesso la questione passera al Parlamento che dovrà approvare,  respingere o modificare la Costituzione e quindi anche l’articolo 28.
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domenica 19 agosto 2012

USA: nominato il primo generale donna omosessuale


(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

La settimana scorsa è stata nominata generale Tammy S. Smith, di 49 anni. Nella storia delle Forze Armate USA è la prima donna generale dichiaratamente omosessuale. Infatti, come vuole la tradizione militare, ad appuntare la stella di brigadiere generale dell’esercito, è stata sua moglie, Tracey, durante la cerimonia di nomina che si è celebrata al Cimitero Militare di Arlington, nel memorial dedicato alle donne soldato cadute in battaglia. La neo generale Smith, veterana in Afghanistan, dove ha coperto l’incarico di capo del dipartimento Army Reserve Affairs, è, oggi, vice comandante della Riserva dell’Esercito. Da circa un anno e mezzo è sposata con Tracey, che è cofondatrice del Military Partners and Families Coalition e attivista impegnata nella difesa dei diritti di gay, bisessuali e trasgender nell’esercito. Tammy e Tracey, però, hanno potuto comunicare pubblicamente, negli ambienti militari, il loro matrimonio solo dopo il 20 settembre 2011, quando è stata modifica la legge federale che in ambito di Forze Armate USA imponeva la regola, sull’orientamento sessuale, del “don’t ask, don’t tell (non chiedere, non dire).
Oggi le Forze Armate USA dispongono di 500 generali e 60 sono le donne.
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sabato 18 agosto 2012

Putin alla conquista dei mari

(fonte: Sette-Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Appena tornato alla presidenza della “Grande Madre Russia”, Vladimir Putin ha autorizzato l’aumento del 19% delle spese militari, e una consistente parte dei soldi da spendere sarà destinata alla marina militare. Ad oggi Mosca può disporre al di fuori dei confini dell’ex URSS, solo di una base navale, quella di Tartus, in Siria, ecco comprensibile la resistenza di Putin a qualsiasi cambiamento alla guida di Damasco. Quindi i diplomatici russi stanno negoziando un nuovo accordo con le autorità vietnamite per riottenere la gestione della base navale di Can Ramh Bay, ma il governo di Hanoi, che ha aperto negli ultimi anni agli USA con i quali ha stretto accorsi economici e commerciali, non è più disposta a cedere la sovranità della base, ma solo di un punto d’appoggio, senza indispettire il nuovo alleato americano. Putin non si è perso d’animo e sta puntando così anche a Cuba, dove si consumò la crisi nucleare con gli USA nel 1962. La base sovietica di Lourdes fu abbandonata dai russi nel 2002, ma ora questi sembrano pronti a tornarci. Mosca sta sondando il terreno per basi navali anche nelle Seychelles. Ad oggi la marina militare russa conta 5 flotte ed è composta complessivamente da 30 navi, ma il numero, visto i finanziamenti, potrebbe aumentare.
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Israele-Iran: ci siamo alla guerra?

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Se ne parla da anni, dal 2008, e ritorna prepotente ad ogni vigilia delle elezioni presidenziali negli USA, cioè il possibile attacco di Israele all’Iran. Ma qualcosa sembra essere cambiato, in negativo. Nei precedenti “allarmi”, si parlava che la risposta militare israeliana al progetto nucleare iraniano sarebbe stata attuata entro pochi mesi, e poi passavano anni, adesso, invece, si parla di “attacco imminente”, di “poche settimane”, che in sostanza sarebbero pochi mesi. E la notizia dello scontro è credibile, infatti i futures del greggio nell’ultima settimana sono aumentati, la Banca Centrale d’israele ha indicato realistico, tra gli scenari negativi dell’attuale crisi finanziaria, un attacco all’Iran, ed i media israeliani stanno mettendo la notizia in prima pagina da alcuni giorni. Secondo fonti israeliane e statunitensi (National Intelligence Estimate) le capacità nucleari iraniane sono aumentate e dal 1° ottobre Teheran potrà contare su 250 kg di uranio arricchito al 20%, superando così i limiti consentiti ed ottenendo l’armamento per almeno 4 bombe nucleari da lanciare su territorio israeliano tramite i missili Shahab-3. Israele quindi pensa ad un attacco preventivo, e tre sono le strategie d’offesa: F15I e F16I volerebbero prima verso Nord, chiedendo l’autorizzazione del sorvolo alla Turchia, per poi dirigersi, una volta entrati nel cielo iraniano, verso il sud del paese sciita, oppure i caccia israeliani attraverserebbero Giordania e Iraq, per colpire subito al cuore le centrali iraniani, od ancora attaccherebbero prima gli obiettivi strategici dal sud, passando dall’Arabia Saudita, che però non sembra disposta a concedere autorizzazioni al sorvolo del proprio territorio. Altro dubbio dei politici e militari israeliani è se a fine mandato e con una campagna elettorale in corso Obama appoggerebbe l’attacco israeliano all’Iran? Molti ritengono che non potrebbe non schierarsi a fianco di Israele, ma questo potrebbe costargli la rielezione. Quindi niente è certo, tranne l’instabilità della regione.
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venerdì 10 agosto 2012

Il bacio dei soldati

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Il sergente Brandon Morgan, marine statunitense, dopo sei mesi di servizio in Afghanistan è rientrato in patria ed al momento dello sbarco, all’aeroporto militare delle Hawaii, è corso ad abbracciare e baciare il suo amore, una scena frequente e spesso raccontata dai film di Hollywood. Ma questa volta a rendere più significativo questo emozionante momento è stato il fatto che il sergente Morgan ha baciato il suo amore, Dalan Wells, che è un altro marine e come sfondo un’enorme bandiera degli Stati Uniti che accoglieva i militari. La scena è stata immortalata da uno scatto che ha fatto il giro del mondo e che è qui sotto riportato. Ricordo che fino all’anno scorso le forze armate USA non si opponevano l’arruolamento di militari omosessuali purché rispettassero la regola del “Don’t Ask, Don’t Tell”,  regola abolita l’anno scorso dall’amministrazione Obama e così è stato possibile l’’abbraccio d’amore tra i due marine.
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immagine tratta da Vanityfair.it

giovedì 9 agosto 2012

L’Incontro segreto al Corriere della Sera

(fonte: Sette-Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Da alcune settimane è in libreria l’ultimo lavoro del giornalista Maurizio Molinari, dal titolo”Governo Ombra – i documenti segreti degli USA sull’Italia degli anni di piombo – “, edito da Rizzoli. Molinari ha attinto per le fonti di questo suo libro ai documenti segreti del Dipartimento di Stato USA che recentemente sono stati desecretati, scoprendo, tra l’altro, il resoconto di un incontro top secret, il 30 marzo 1978, tra l’allora ambasciatore USA in Italia, Richard Gardner, e la direzione del quotidiano Corriere della Sera che si svolse negli uffici del giornale di via Solferino di Milano.
Il 16 marzo 1978 il Presidente del Consiglio, Aldo Moro, era stato rapito dalle Brigate Rosse e il 29 dello stesso mese giungono le tre lettere di Moro. In questo clima di grande tensione, Gardner incontra segretamente, Franco Di Bella, Gaspare Barbiellini Amidei e Leo Valiani, rispettivamente direttore, vicedirettore ed editorialista del quotidiano milanese. L’ambasciatore desidera incontrare la direzione del principale quotidiano “centrista”, per farsi un’idea più completa sulla difficile situazione della democrazia italiana. Dai documenti risulta che la direzione del Corriere era contrario ad aprire il dialogo con i terroristi, in quanto questo avrebbe concesso alle BR un riconoscimento  quasi istituzionale, che l’Italia non poteva permettersi. Di Bella e Barbiellini ritengono che in qualunque modo si concluderà la vicenda, Moro non avrà alcun futuro politico (sarà assassinato dalle BR il 5 maggio 1978), e ci saranno pericolose ripercussione per l’Italia democratica. Invece, Valiani ritiene che le istituzioni democratiche italiane, seppur messe alla prova in maniera dura, sono in grado di resistere, non dipendendo da un’unica personalità politica.
Comunque, i tre giornalisti invitano Gardner a far in modo che l’amministrazione Carter non lasci sola l’Italia; Valiani suggerisce la collaborazione del FBI, Amidei chiama in causa la NATO, mentre Di Bella chiede che gli USA facciano pressioni su Andreotti perché dia una risposta dura ai brigatisti.
Inoltre, i tre sono preoccupati del fatto che il tempo passa e le indagini per liberare Moro non danno risultati, e tutto questo va a favorire il PCI, che in questo clima drammatico, sarà così chiamato ad entrare in un governo di unità nazionale, ottenendo il Ministero degli Interni che guiderà le ricerche con una tale decisione che permetterà di liberare Moro. E questo favorirà il successo elettorale del PCI che, per i tre del Corriere, al suo interno ha una forte presenza di leninisti –stalinisti che potrebbe mettere in difficoltà ed in minoranza la guida progressista di Berlinguer. Per questo auspicano l’aiuto degli USA alla DC, appellandosi anche al discorso di Carter del 12 genniao 1978, in cui il presidente degli USA aveva espresso la sua opposizione della presenza del PCI a governo.
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