mercoledì 25 luglio 2012

La "fortezza Europa" alla battaglia dell'Euro.

Pare che l'Euro, e conseguentemente il modello europeo costruito con grande fatica negli ultimi vent'anni sia arrivato al capolinea. In questi giorni i debiti pubblici di alcuni paesi dell'area UE, Italia e Spagna soprattutto, sono sotto attacco di una massiccia speculazione finanziaria. La Grecia è data ogni giorno per fallita e nessuno crede più ai numerosi tentativi di risanamento che sono stati fatti. La Germania continua a soffiare sul rigore, anche se la posizione della Merkel pare in qualche modo essere scalfita. Ma i falchi della BCE non lascerebbero scampo a Draghi che si preparerebbe alla battaglia dell'Euro in perfetta solitudine. L'Italia, dopo aver issato Monti a Palazzo Chigi pare sotto attacco, nonostante le riforme lacrime e sangue fatte in questi mesi. La Francia ha mandato Sarkozy a casa, ma Hollande sembra ancora incerto sulla posizione da prendere. Proprio ieri, un comunicato a tre fra Spagna, Francia ed Italia per rilanciare il fondo anti spread ha scatenato ulteriori illazioni. Pare un film, o forse ce lo racconteranno realmente in un film se l'Euro dovesse crollare. Secondo alcuni l'Euro sarebbe ormai la moneta di riserva che ha sostituito il dollaro nelle transazioni internazionali, e l'attacco speculativo partirebbe soprattutto dagli USA, i primi responsabili della crisi finanziaria del 2008. Se l'Euro dovesse cadere torneremo alle frontiere? Cosa accadrà se la Grecia dovesse uscire realmente nei prossimi mesi? Invitiamo i nostri amici ad esprimere le loro opinioni. Francesco Della Lunga

martedì 17 luglio 2012

Un minuto di silenzio

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Ilana Romano è la vedova di Yossef Romano, sollevatore di pesi israeliano, ucciso, insieme ad altri dieci suoi compagni, nel settembre del 1972 a Monaco, nel villaggio Olimpico, per mano dei terroristi palestinesi di Settembre Nero. Dal 1976, dalle Olimpiadi di Montreal, Ilana è sempre stata presente ai Giochi Olimpici successivi (non si recò a Mosca nel 1980 perché Israele non vi prendeva parte) per ricordare in silenzio  l’eccidio di quegli atleti. E ci sarà anche a Londra, ancora una volta in silenzio e tenendosi per mano con Ankie Spitzer, un’altra vedova di quel settembre 1972. Ed anche a Londra Ilena chiederà un minuto di silenzio ufficiale per quegli undici uomini. Nessun riferimento alla loro nazionalità, ma solo un semplice e rispettoso ricordo di un minuto “come figli delle Olimpiadi, gli sportivi che andarono a Monaco in pace e ritornarono nelle bare”. Un appello che molto probabilmente cadrà ancora una volta nel vuoto, infatti, nonostante Sebastian Coe, presidente del comitato organizzatore di Londra 2012, abbia annunciato di voler celebrare le vittime durante la cerimonia di apertura, un netto e fermo divieto è giunto, invece, dal belga Jacques Rogge, il capo del CIO. Ed all’interno del comitato olimpico anche Alex Gilady, rappresentante israeliano, si è espresso contrario al minuto di silenzio, perché potrebbe “danneggiare lo spirito di armonia e spingere alcune nazioni a boicottare i Giochi”. Eppure, Gilady, fa notare la Romano, in quel settembre del 1972 era anche lui a Monaco quale giornalista sportivo e ritornò in patria con lo stesso aereo che rimpatriò le 11 salme. Ad oggi quindi l’unica celebrazione ufficiale in programma sarà quella del 6 agosto, quando la delegazione israeliana ricorderà, come ha sempre fatto in ogni Olimpiade, gli atleti israeliani uccisi.
Intanto la Romano e la Spitzer si sono attivate in questi anni per raccogliere  firme in favore dell’istituzione del minuto di silenzio, chissà se basteranno a far cadere il silenzio-oblio voluto dal CIO.
Anche in Italia è partita un’iniziativa di raccolta firme per il minuto di silenzio: http://www.amicidisraele.org/2012/07/solo-un-minuto-per-favore/ .
RDF

venerdì 13 luglio 2012

Leva obbligatoria negli USA?

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

In queste settimane negli Stati Uniti si stanno analizzando, moto teoricamente, le opportunità o meno di ripristinare la leva obbligatoria, che dagli anni Settanta, in seguito alla sconfitta in Vietnam, fu soppressa.
A rendere di attualità questo tema, che sembrava ormai superato, è stato l’intervento del generale Stanley Mc Chrystal, ex comandante delle truppe USA in Afghanistan, al Festival delle idee di Aspen (Colorado). Intervento che ha suscitato negli uditori un grande consenso ed entusiasmo, specialmente in un suo passaggio particolare: “[…] Io credo che se una Nazione va in guerra, ogni città, ogni villaggio debba correre il suo rischio. Tu prendi una decisione e ognuno ha in gioco la pelle”. Per Mc Chrystal, la presenza di un esercito nazionale (popolare) di leva unirebbe ancor di più il Paese, forse le forze armate perderebbero professionalità, ma il Paese ne guadagnerebbe di coesione e condivisione di valori ed esperienze comuni. Il dibattito è aperto, anche in Europa.
RDF

lunedì 9 luglio 2012

Il diplomatico, per niente diplomatico con Hitler

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

In questi giorni, Sergio Romano, rispondendo ad un lettore che ha inviato una  lettera alla sua rubrica quotidiana, Lettere al Corriere, ha approfondito la figura di William Dodd, ambasciatore statunitense a Berlino dal 1933 al 1937 durante la piena ascesa di Hitler alla guida della Germania nazista. Romano, nella sua risposta evidenzia le capacità e l’onesta intellettuale di Dodd, che, come vuole la tradizione diplomatica USA, non apparteneva al Dipartimento di Stato, ma proveniva dal mondo accademico ed era un buon conoscitore del mondo tedesco (aveva discusso una laurea di dottorato a Lipsia nel 1900). Dodd era un intellettuale democratico e sostenitore di Franklin D. Roosvelt, che nel 1932 era stato eletto presidente degli Stati Uniti. In quegli anni Dodd era professore di storia americana all’Università di Chicago, Roosvelt lo sceglie per l’ambasciata di Berlino dopo aver ricevuto alcune rinunce da parte di altre personalità dell’imprenditoria statunitense, ma non fu una scelta di riserva, anzi. Washington aveva posto sotto osservazione la Germania, preoccupata, infatti, che Berlino con la nuova guida di Hilter, non onorasse i debiti che aveva contratto con le banche americane. Dodd prima di partire per la sua nuova missione, ebbe incontri e riunioni con funzionari del Dipartimento di Stato e banchieri proprio sul tema dei debiti, e sul tavolo fu affrontata, solo di sfuggita, anche la questione ebraica in Germania. Il Dipartimento però diede l’impressione di non voler affrontare e tener conto di tale questione, infatti  negli Stati Uniti si riteneva che la comunità ebraica avesse negli USA così come in Europa e in particolare in Germania un’influenza esagerata e quindi l’ascesa di Hitler avrebbe  “ridimensionamento” questa influenza, il Dipartimento era anche convinto che una volta che Hitler avesse conquistato e consolidato il potere tutta la sua aggressione verbale e non si sarebbe affievolita. Dinanzi a questa sottovalutazione del fenomeno Hitler, Dodd, fu il primo ad invitare il Dipartimento a cambiare politica; non solo, il professore diplomatico attaccò pubblicamente il regime di Hitler, e denunciò la sua politica antisemita. Tale condotta non fu ben accolta non solo a Berlino, ma anche a Washington. Nel 1937, Dodd, isolato, decise di dimettersi e rientrò in patria. Da lì a poco le sue denunce fino allora inascoltate e derise furono tragicamente la pura verità.
Come indicato dal lettore del Corriere della Sera, per approfondire la figura di William Dodd si segnaal la lettura di “Il giardino delle bestie”, di Erik Larson (Neri Pozza Editore).
RDF

giovedì 5 luglio 2012

Venti di pace in Somalia. Mogadiscio liberata.

A cura di Francesco Della Lunga

Come ipotesi appare abbastanza peregrina visto le notizie di guerra che arrivano, seppure rarefatte tenuto conto della lontananza dello scenario somalo, dai principali quotidiani nazionali ed internazionali. Eppure pare che stavolta il sole stia per risorgere anche a Mogadiscio. Avevamo già visto alcune immagini registrate su Youtube, ma era sinceramente difficile crederlo. Nonostante la guerra civile, nonostante le fazioni in lotta, nonostante i signori della guerra, nonostante la presenza recente di Al Shabab, la vecchia capitale somala pare attraversare un momento di rinnovato ottimismo. In un articolo a firma di Pietro Veronese apparso in questi giorni su Repubblica, si parla di riapertura di locali, di università, di commerci, insomma il ritorno ad una vita normale. Parrebbe quasi impossibile, ma forse l’atteso momento della fine della guerra potrebbe anche arrivare. Il cronista ci racconta che da pochi mesi, all’aeroporto internazionale della città stanno arrivando centinaia di somali della diaspora, rientrando dai paesi in cui hanno passato gli ultimi vent’anni e dove, in qualche caso, sono riusciti ad arricchirsi. Rientrano a casa, riparano le case distrutte, riaprono piccole attività. In questa sorta di rinascita la presenza turca sta giocando un ruolo importante. Durante la passata carestia, il primo ministro turco Erdogan era venuto in visita al Paese con tutta la famiglia. Ed oggi le mezzalune turche appaiono un po’ ovunque nella città. Nel frattempo, anche la “road map” che dovrebbe prevedere la nascita del nuovo parlamento e della nuova costituzione, sta andando avanti, seppure a fatica. I destini della Somalia si sono incrociati con Roma, proprio in questi giorni. Il primo ministro somalo, Abdiweli Mohamed Ali, a margine degli incontri ha dichiarato che gli Al Shabab sono in rotta e che Mogadiscio è di nuovo libera. Grazie al lavoro condotto dall’esercito somalo, dall’Unione Africana ed anche al sostegno internazionale che per una volta, dopo molti anni, starebbe dando dei frutti. Il Primo Ministro ha dichiarato che si stanno scaldando i motori per la partenza del nuovo parlamento che dovrà approvare la nuova costituzione. Poi sarà il momento della formazione di un nuovo governo. Nel frattempo, l’esperienza del TFG, del Governo di Transizione, sarà terminata con successo. Naturalmente, in un paese che viene da più di vent’anni di guerra civile e di totale anarchia con una dissoluzione totale delle strutture statali, non può cessare tutto con un tratto di penna.  Mogadiscio rimane ancora una delle città più pericolose del globo, chi la visita gira ancora con scorte armate, ed anche gli stessi somali ne fanno uso. Gli Shabab sono fuori dalla città e sono però presenti a circa 45 chilometri dalla capitale, come sono arrivati potrebbero rientrare, come affermano alcuni personaggi politici locali. Il Presidente somalo ha affermato che oggi il TFG controlla oltre il 60% del territorio del paese. E che sono pronte politiche per combattere la pirateria e la povertà, quella povertà che ha gettato nelle mani di Al Shabab numerosi ragazzi. Se Al Shabab crollasse definitivamente e la ricostruzione fosse avviata, rimarrebbe l'ultimo lembo di Africa Orientale ancora isolata dalla comunità internazionale. L'Eritrea di Isaias. Nei confronti del quale, è ormai noto, è in modo la lotta per la successione. La rinascita somala potrebbe cogliere tutti di sorpresa. E non ci stupiremmo se fossimo proprio noi a non coglierne le nuove opportunità.