lunedì 30 aprile 2012

L’Archivio dei servizi segreti italiani

(fonte: Panorama), a cura di Roberto Di Ferdinando

Durante l’audizione al Copisir, il comitato parlamentare che controlla i servizi segreti, del 29 febbraio scorso, Gianni De Gennaro, direttore del Dipartimento informazioni per la sicurezza (DIS), l’organismo che coordina il nostro servizio intelligence per l’estero (AISE) e per l’interno (AISI), ha comunicato che l’archivio dei servizi segreti ammonta a 27 chilometri di fascicoli. Nel dettaglio, 15 km riguardano l’AISE, 8 l’AISI, e 4 il DIS. Inoltre su decisione del Governo, il DIS ha predisposto il trasferimento di gran parte dei fascicoli all’Archivio centrale dello Stato, presente a Roma, invece, non verrà trasferito il materiale sensibile. Al momento sono stati trasferiti solo 6.088 fascicoli del DIS, 1.100 dell’AISE e 975 dell’AISI. Il governo Monti, oltre a chiedere un più rapido trasferimento dei fascicoli, sta affrontando la materia di riforma dei nostri servizi segreti. Ad oggi due scenari sono possibili, riscrivere e rafforzare le funzioni del DIS con una netta separazione delle competenze dell’AISE e dell’AISU e snellimento dei funzionari , oppure creare un unico servizio senza più distinzioni sulle competenze. Il Presidente del Consiglio sarebbe intenzionato a percorrere la prima soluzione: AISI competente in materia di terrorismo, eversione, controspionaggio e questioni economiche-finanziarie, AISE raccolta di informazioni all’estero, mentre alle due agenzie sarebbero revocate le competenze in materia di criminalità organizzata.
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domenica 29 aprile 2012

Eritrea: voci sulla malattia del Presidente Afewerki. Il paese di fronte ad un bivio?

A cura di Francesco Della Lunga

Si sono intensificate in questi giorni le voci di una grave malattia che avrebbe colpito il Presidente eritreo Afewerki. Nel nostro paese le prime notizie sono apparse il 24 aprile con un fondo di Massimo Alberizzi sul Corriere della Sera. Altre agenzie hanno parlato di un intervento chirurgico al fegato al quale il Presidente eritreo si sarebbe sottoposto in Quatar, uno dei pochi paesi con il quale l'Eritrea ha mantenuto contatti. Afewerki, che soffrirebbe di un grave disturbo al fegato, è però apparso in TV rilasciando un'intervista ad EriTv la televisione di Stato del paese, nella quale si sarebbe mostrato in buone condizioni di salute. Di questa apparizione ne dà notizia la Reuters in data odierna. L'intervista al leader tigrino sarebbe stata concessa al fine di smontare le voci di una sua presunta morte. Asmara ha comunque continuato, in questi giorni, non solo a smentire la notizia, ma anche ad accusare gli Stati Uniti di aver messo in circolazione questa voce al fine di contribuire alla destabilizzazione del paese. Dalla fine della guerra con l'Etiopia avvenuta nel 2000, il paese è di fatto isolato internazionalmente. Gli USA hanno sostenuto anche recentemente che l'Eritrea è dietro ad alcuni gruppi fondamentalisti che sarebbero vicini ai gruppi di Al Quaeda in Somalia ed agli Al Shabab. Il mese scorso alcuni aerei di Addis Abeba avrebbero condotto dei raid in territorio eritreo per bloccare i fondamentalisti. Asmara ha accusato gli USA di aver favorito i raid dei nemici etiopi. La tensione nel paese sembra riacutizzarsi e come già riportato recentemente anche sul nostro blog lo scontro fra i due paesi potrebbe esplodere in un conflitto convenzionale. Attualmente gli scontri rimangono ancora a livello di interventi mirati, soprattutto da parte delle forze etiopi. La malattia di Afewerki potrebbe rimescolare tutte le carte, ma i più accreditati osservatori e gli articoli della stampa internazionale non fanno pensare ad un cambio di regime, bensì ad una continuità perchè l'opposizione sarebbe debolissima ed impossibilitata a gestire anche un periodo di transizione. Secondo la Reuters il prossimo presidente potrebbe essere proprio il figlio di Afewerki, Abraham.

venerdì 27 aprile 2012

La pianta magica

 (fonte: Sette-Corriere della SEra), a cura di Roberto Di Ferdinando

Il suo nome scientifico è moringa olefeira, ma è conosciuta come l’albero magico, infatti è una pianta, appartenente alla famiglia Moringaceae, ed è definita magica in quanto ha numerose potenzialità. Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità è “il vegetale più nutriente al mondo” (le sue fogli contengono sette volte più vitamina C delle arance, quattro volte più vitamina A delle carote, quattro volte in più di calcio rispetto al latte ed il triplo del potassio delle banane). La FAO, l’Organizzazione mondiale sull’alimentazione, le riconosce proprietà alimentari tali da considerarla una “garanzia per il diritto all’alimentazione”. Infatti, questa pianta, originaria dell’India, è coltivata principalmente nei paesi tropicali, negli stessi dove è altissima la malnutrizione. Ma le proprietà di questo albero magico sono anche altre: purifica l’acqua, eliminando il 99% dei batteri, e può essere utilizzata per curare almeno 300 disagi, compresi diarrea e vomito. Inoltre può essere impiegata per la produzione di carburanti alternativi con un minimo impatto ambientale e molti vantaggi economici. Dalla moringa si ricava infatti l’acido oleico per la produzione di etanolo e biodiesel (i suoi semi rendono dieci volte più della canna da zucchero, da cui si ricava invece, l’etanolo, e cresce più velocemente della jatropha, da cui il biodiesel). Inoltre della moringa si utilizza tutto: foglie, radici, frutti, fiori e semi, un vero miracolo che si realizza. Eppure non sembra così. Infatti l’Unione Europea ha vietato la vendita di questa pianta nel mercato comunitario quale alimento, secondo la legislazione del 1997 che disciplina i novel food, i cibi non largamente diffusi.
Eppure in Europa la moringa è utilizzata nell’alimentazione degli animali (le mucche producono il 30% di latte di più) e nel sud della Spagna si sono piantate 500.000 piante di moringa.
RDF

giovedì 26 aprile 2012

Associazione Eumeswil - Conferenza 2012: la Grande Paura

Associazione Eumeswil
Conferenza 2012: la Grande Paura
INGRESSO LIBERO E GRATUITO
Con il Patrocinio del Comune di Firenze

Sabato 28 ore 17
Istituto dei Padri Scolopi – Scuole Pie Fiorentine, Sala Verde – via Cavour 94, Firenze
La coscienza universale e i cambiamenti climatici
Relatore: Stefano Silvestri, psicologo, psicoterapeuta, saggista

Le catastrofi cosmiche. Pericolo per la terra?
Relatore: Cristiano Batalli Cosmovici, docente presso l’Istituto di Fisica dello Spazio – INAF Roma

martedì 24 aprile 2012

Geopolitica del Corno d'Africa. Intervista di Recinto Internazionale a Pietro Batacchi, analista del CESI. A cura di Francesco Della Lunga


Prosegue l’osservatorio di Recinto Internazionale verso la situazione politica nella regione del Corno d’Africa. Come i nostri amici lettori ricorderanno, il nostro blog sta dedicando da tempo attenzione a quello che accade in questo spicchio d’Africa, un po’ per ragioni storiche, un po’ per ragioni economiche. Da un punto di vista storico il nostro Paese ha avuto per lungo tempo interessi di carattere coloniale (Eritrea e Somalia soprattutto nel periodo prefascista, per poco più di cinque anni in Etiopia durante il ventennio fascista, 1936 - 1941). Dopo il Trattato di Pace del 1947 l’Italia perse ogni rapporto di carattere amministrativo e territoriale con le colonie prefasciste (Eritrea appunto e Somalia), nonostante gli sforzi fatti per mantenere almeno influenza su questi paesi. L’Etiopia era già tornata indipendente. Sulla Somalia questi sforzi diplomatici vennero premiati con la concessione dell’Amministrazione Fiduciaria da parte delle Nazioni Unite e per il periodo 1950 – 1960 (Amministrazione Fiduciaria Italiana in Somalia – AFIS). Con la Somalia il nostro Paese mantenne un legame duraturo, soprattutto grazie agli interessi economici che rimanevano forti e per la volontà di tutte le forze politiche italiane. I rapporti rimasero saldi anche dopo l’avvento del dittatore somalo Mohamed Siyad Barre che già all’inizio degli anni ’70 era riuscito ad abbattere la fragile repubblica somala. Dopo la disintegrazione di questo Stato, avvenuta con la caduta di Barre nel 1990 l’Italia ha cercato, in virtù della propria presenza storica, di mantenere un legame con il paese e di favorire i vari progetti di pacificazione, tutti puntualmente naufragati e forse nessuno dei quali attuato con un minimo di basi solide. Anche sull’Etiopia e sull’Eritrea, soprattutto su quest’ultimo Paese, l’attenzione dei nostri governi è stata alterna anche se continua. Dopo la chiusura del conflitto mondiale l’Eritrea divenne una delle province della più grande Etiopia e tale è rimasta fino al 1991, anno in cui si chiuse la lotta di liberazione da parte eritrea con la nascita di uno Stato indipendente (proclamato nel 1993). Da un punto di vista economico, Eritrea e Somalia a parte, l’Etiopia è entrata nel novero dei paesi guida, a livello di crescita, di un folto gruppo di paesi dell’Africa sub sahariana, con crescita del PIL a due cifre negli ultimi dieci anni. In un periodo di contrazione degli scambi internazionali e di inquietudini economiche dettate dai grandi fenomeni della globalizzazione, dell’apertura delle frontiere, dell’abbattimento delle barriere doganali, della nascita di altre realtà geopolitiche (BRIC ad esempio), anche l’Africa è destinata ad assumere un ruolo più importante perché rimane ancora uno degli ultimi mercati da conquistare e da contendersi. E l’Europa pacificata potrà giocare un ruolo ancora importante nello sviluppo di questi paesi, con un ventaglio di azioni che comprendono lo sviluppo di sistemi democratici, l’apertura agli scambi internazionali, la crescita economica e sociale. Almeno questo è quello che auspichiamo. Gli ultimi dieci anni sono stati importanti da questo punto di vista, ma ancora sono necessari processi socio politici che, nella migliore delle ipotesi non si concretizzeranno prima di un arco di venti – trenta anni. C’è dunque ancora molto da fare (sulla crescita economica di queste regioni si veda anche un nostro intervento su RI – http://www.recintointernazionale.blogspot.it/2012/01/la-nuova-frontiera-dello-sviluppo.html ).

Uno dei nodi principali per la crescita pacifica della regione rimane comunque il conflitto fra Etiopia ed Eritrea, oltre alla normalizzazione in Somalia. Su questi aspetti, il nostro blog ha cercato di dare delle informazioni sul conflitto fra Asmara ed Addis Abeba, ancora oggi irrisolto, sulla situazione della Somalia, con particolare attenzione ai fenomeni della pirateria e della guerra fra clan, toccando anche le recenti vicende relative al periodo di scontro fra il TFG (Transitional Federation Government) e le forze delle Corti Islamiche prima, e degli Al Shabab dopo.

Oggi abbiamo l’onore ed il piacere di ospitare l’opinione di uno dei più autorevoli osservatori di politica internazionale, il Dott. Pietro Batacchi, analista presso il CESI (Centro Studi Internazionali) di Roma (www.cesi-italia.org). A Pietro abbiamo chiesto di ripercorrere brevemente lo sviluppo della crisi fra Etiopia ed Eritrea negli ultimi dieci anni (il conflitto fra questi due paesi si è ufficialmente chiuso nel 2000, ma la tensione è pronta a riesplodere, vedremo come) e le relazioni fra questi due paesi con la Somalia, oggi suddivisa in tre aree di cui due già autoproclamatesi indipendenti (Somaliland, ex Somalia Britannica, Puntland, ex Somalia Italiana con Mogadiscio come centro principale), reale elemento di destabilizzazione di tutto il Corno d’Africa, con ripercussioni sui paesi vicini, Gibuti, Sudan, Kenya, Uganda.

RI: caro Pietro, ci racconti brevemente qual è lo “stato dell’arte” del conflitto fra Etiopia ed Eritrea? Su questa parte di mondo pare essere calata una cortina di silenzio, sui giornali nazionali non se ne parla, la questione è relegata in alcune pubblicazioni ad uso degli specialisti, ma pensiamo che questa regione possa ancora avere un interesse soprattutto per noi. E’ vero che la tensione fra i due paesi sta rinascendo? E’ da attribuire alle presunte voci sulla presenza di fondamentalisti sul territorio eritreo o c’è dell’altro, tipo la mai irrisolta questione dell’accesso al mare da parte di Addis Abeba?

PB: Il problema principale è dato dal fatto che questi paesi hanno in corso una sorta di guerra fredda, non si combattono convenzionalmente, ci sono alcune scaramucce di confine, ma alla fine ci si combatte per procura, gli Etiopi da un lato sostenendo il Governo di Transizione somalo, mentre l’Eritrea, dall’altro, dando sostegno ai gruppi fondamentalisti. La questione può essere inquadrata nel senso di insicurezza eritrea rispetto ad un paese molto più grande (5 milioni di abitanti in Eritrea, circa 80 in Etiopia) che con l’indipendenza ha chiuso l’accesso al mare. In questa ottica per l’Etiopia è fondamentale garantirsi l’accesso al mare soprattutto grazie al controllo del territorio somalo, specie nella regione di Mogadiscio il cui porto dovrebbe diventare il principale sbocco al mare di Addis Abeba.

RI: Per quale ragione il regime di Afewerki è così isolato da un punto di vista internazionale? Quali azioni si stanno facendo per fare si che questo paese possa essere “riammesso” nella comunità internazionale? In fondo, per pacificare un’area così vasta si dovrebbe cercare di “includere” piuttosto che “separare”, come si è fatto con le sanzioni ad Asmara..

PB: L’Eritrea ha fatto una scelta da stato “paria” dopo la guerra chiusa nel 2000 per attutire questo senso di insicurezza. Naturalmente si sono avvicinati a quelli che sono avversari dell’Etiopia e poiché quest’ultima è inserita a pieno titolo nell’ambito dell’influenza occidentale, gli eritrei hanno mosso passi di avvicinamento all’Iran, tanto per fare un esempio. Il regime di Afewerki è poi di tipo personalistico che vive in mobilitazione permanente in funzione del conflitto con l’Etiopia. In queste condizioni è davvero difficile che questo paese, in tempi recenti, possa riavvicinarsi alla comunità internazionale.

RI: Ci pare che in questa regione i processi democratici siano ancora lontani dallo svilupparsi. Sia in Eritrea che in Etiopia i regimi appaiono saldi. C’è speranza da questo punto di vista? Qual è la situazione reale in Etiopia, visto che il Paese è uno stato federale che unisce alcune regioni da sempre in odore di separazione (Ogaden, Oromia)? Questi processi di separazione vengono realmente alimentati da Asmara?

PB: Andiamo con ordine. Punto primo, la democrazia. La democrazia di massa, come la concepiamo noi, attualmente mal si presta ad essere trapiantata in contesti dove prevalgono le logiche di clan piuttosto che il concetto di cittadinanza. E’ una situazione abbastanza tipica in Africa, come si può riscontrare in tutti i casi in cui i processi di decolonizzazione hanno generato situazioni di quasi totale instabilità. Anche in molte regioni dell’Asia la situazione è identica. Gli stati nazionali come li abbiamo strutturati noi sono tipici della nostra cultura e non necessariamente si sposano con culture che ancora affondano le loro radici nei rapporti clanici. Sul secondo punto basta leggere i rapporti dell’ONU che parlano di sostegno eritreo ai gruppi indipendentisti presenti in Etiopia al fine di destabilizzare il paese. Sempre, come dicevo, nella logica del conflitto permanente fra i due paesi.

RI: L’Etiopia pare aver intrapreso un percorso virtuoso verso la crescita economica. Le recenti statistiche internazionali riportano una crescita del PIL, media dell’ultimo decennio, a due cifre. Questo, secondo alcune teorie economiche (Rostow), potrebbe far pensare che il Paese ha raggiunto il cosiddetto “take off” verso lo sviluppo industriale. Questo processo può essere messo a repentaglio da una recrudescenza del conflitto?

PB: Sul processo di industrializzazione dell’Etiopia a mio avviso è opportuno rimanere più cauti. La crescita del PIL come dicono le statistiche è facilmente riscontrabile quando si parte da paesi che hanno dotazioni infrastrutturali ed industriali quasi..inesistenti.. Ma per un paese così grande come l’Etiopia con il livello di povertà che lo contraddistingue è ancora molto lontano da un livello di sviluppo accettabile. Inoltre, per fare in modo che un paese come l’Etiopia possa realmente decollare, almeno da un punto di vista economico, è necessario che le infrastrutture possano essere realizzate e che esista un accesso al mare in mancanza del quale il processo è necessariamente rallentato. Infine, come dicevo prima, anche i processi democratici potrebbero aiutare, ma su questo punto siamo ancora molto lontani.

RI: La presenza di Pechino nella regione è ormai un fatto consolidato. La Cina sta costruendo il paese, secondo diversi osservatori. Strade e palazzi sono quasi totalmente appannaggio di ditte cinesi. E sono presenti sia in Eritrea che in Etiopia. Prima o poi saranno costretti a schierarsi, la loro presenza può far girare il pendolo a favore di uno o l’altro di questi paesi?

PB: Il comportamento del governo cinese sulla questione non è particolarmente rilevante. I cinesi non si interessano delle loro beghe interne, ma sono interessati unicamente ad acquisire commesse per supportare il loro sviluppo, non è più una questione di colore politico, come ormai sappiamo. I cinesi si muovono così: entrano in un paese, acquisiscono commesse, portano la loro manodopera. Non c’è neppure molto spazio per favorire l’impiego di personale locale.

RI: Tornando allo scenario politico dell’area, qual è lo stato attuale dei rapporti fra Asmara, Addis Abeba ed il Governo di Transizione che, almeno ufficialmente, governa a Mogadiscio? Gli interventi delle truppe di Addis Abeba nel 2006 e quelli più recenti del 2011 hanno dato qualche contributo alla pacificazione oppure non sono serviti a niente?

PB: La “coalition of the willing” fra Etiopia, Kenya, Uganda ecc. Anche se ha avuto successi military important, non sono stati tali da consolidare la forza del Governo di Transizione che, a tutti gli effetti, senza la presenza della forza internazionale non conterebbe nulla. Non controlla neppure la capitale e senza la presenza della missione di pace non avrebbe potuto neppure rientrare nel paese. E’ davvero molto difficile che il processo di pacificazione possa avere successo a breve termine.

RI: Gli Stati Uniti, a tuo avviso, si stanno muovendo nella giusta direzione?

PB: Gli USA si sono indirizzati verso l’Etiopia come soggetto a cui delegare la gestione dei loro interessi che in questo momento coincidono. La lotta al terrorismo è ancora in cima all’agenda politica di Washington. Quindi, appoggiare l’Etiopia per la lotta ad Al Shabab ed ai gruppuscoli legati ad Al Quaeda rientra a pieno titolo in questa strategia. D’altra parte è bene ricordare che l’Etiopia ha sempre avuto storicamente ottimi rapporti con gli Stati Uniti, tranne che nel periodo di Menghistù. A rafforzare questo rapporto va considerata anche la presenza di Israele che da sempre ha avuto rapporti importanti con Addis Abeba. Questo, unico forse nel suo genere anche nel periodo della dittatura del Negus rosso. Se si gira per le strade di Addis Abeba non è difficile scorgere la presenza di numerosi contractors statunitensi ed israeliani.

RI: una domanda su un questione a nostro avviso di importanza, per comprendere meglio il quadro geopolitico degli Stati che si muovono in quest’area. Addis Abeba aveva aperto un fronte anche con i paesi del basso Nilo per il controllo delle acque del Nilo Azzurro, ci sono state delle evoluzioni su questo aspetto?

PB: Non ci sono particolari novità su questo, la situazione è ancora così, la questione del controllo delle acque del fiume è importante per i paesi del basso Nilo (Sudan ed Egitto principalmente) e continua ad essere uno degli elementi principali dell’agenda internazionale dei paesi interessati.

RI: un’ultima domanda: ma l’Italia può ancora avere un ruolo in tutto questo scenario oppure la nostra presenza è irrilevante?

PB: La nostra presenza purtroppo non è molto rilevante. Nonostante il nostro passato non siamo ancora in grado di imprimere delle svolte di rilievo.






La diplomazia italiana in declino

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Nei prossimi giorni sarà presentata l’edizione 2012 dell’Annuario sulla politica estera dell’Italia dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) e dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI). Anticipazioni dell’introduzione del rapporto evidenziano un grave stato di salute della nostra diplomazia e della nostra politica estera: “alla grande partita della redistribuzione del potere e del prestigio l’Italia si presenta, infatti, in condizione di eccezionale debolezza”. Sul “banco degli imputati”, il governo Berlusconi, che, al di là dei vari scandali che ha attraversato, non ha avuto una precisa strategia politico-diplomatica, in ambito comunitario, determinandone un isolamento all’interno delle istituzioni e vertici UE, non solo, l’Italia ha subìto quasi  un’ esclusione per volere dei partner maggiori. Inoltre, la leadership statunitense e il suo multilateralismo sono entrati in crisi, trascinandosi dietro l’Italia, che per anni, appoggiandosi sugli USA ed affidandosi alle sedi decisionali internazionali, aveva attenuato la propria debolezza.
Meglio il governo Monti che ha scelto “serie iniziative”, ma ancora c’è da fare:”l’Unione è stata di volta in volta, e a seconda del momento, ora rappresentata come vincolo esterno inderogabile, ora additata a causa dei mali nazionali, ora, ancora, invocata come unica fonte di salvezza, col risultato di confondere responsabilità nazionali ed europee”.
In riferimento alle vicende arabe e della Libia il rapporto denuncia che: “l’Italia è stata colta completamente di sorpresa dall’epidemia di rivolte”, in particolare nella vicenda libica e in riferimento al suo titubante intervento nel conflitto: “quasi un catalogo delle costanti storiche della politica estera italiana”.
RDF

venerdì 20 aprile 2012

Il costo della macchina istituzionale italiana


(fonte: Sette-Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

La Camera dei Deputati è tra gli organi istituzionali più costosi al mondo. Infatti costa ad ogni cittadino 27,15 euro l’anno, in confronto agli 8,11 euro in Francia, ai 7,80 euro in Germania, ai 4,18 in Inghilterra ed ai pochissimi 2,14 euro in Spagna. Ma curiosamente, da un’indagine di Sette-Corriere della Sera, la voce di spesa più consistente del nostro Parlamento non è quella degli stipendi e delle indennità dei parlamentari, bensì quella dei suoi dipendenti. Ad esempio, al Senato un assistente parlamentare – il livello più basso – è assunto con uno stipendio lordo di 38.059 euro all’anno, stipendio che a fine carriera può arrivare a 159.729 euro. Salendo nella gerarchia, il coadiutore ha uno stipendio minimo da 46.678 euro per arrivare alla pensione ad uno stipendio di 192.446 euro. Ancora più in alto c’è il segretario parlamentare che comincia con 56.776 per ottenere prima della pensione 255.549 euro l’anno. Poi ci sono gli stenografi, categoria ben retribuita, dai 67.399 euro dell’assunzione, salgono fino a 287.422 negli ultimi anni di servizio. Infine, i consiglieri che partono da 85.415 euro e al quarantesimo anno arrivano a 417.037. Il consigliere capo servizi ha inoltre indennità mensili di mille euro lordi al Senato e di 1.500 euro alla Camera. Da notare che , il Presidente della Repubblica italiano ha uno stipendio lordo annuo di 239.000 euro, comunque inferiore alle gerarchie funzionarie delle Camere.
Questa esosa anomalia italiana si evidenzia ancora di più se confrontiamo gli stipendi dei nostri funzionari con quegli di altri paesi. Ad esempio, Klaus Wille, il segreteraio generale del Parlamento europeo ha uno stipendio lordo di 216.301,08, mentre i più alti funzionari del Senato americano arrivano a 118 mila euro, cioè percepiscono la metà di un funzionario parlamentare italiano. Non solo, il capo di Scotland Yard, Bernard Hogan Howe, ha uno stipendio annuale lordo di 253 mila sterline (300.000 euro), Robert Mueller, capo dell’FBI 198 mila dollari (150.000 euro), mentre Antonio Manganelli, il nostro Capo della Polizia percepisce 621.253,75 euro lordi. Ed ancora, citandone alcuni, Franco Gabbrielli capo dipartimento della protezione civile ha uno stipendio di 364.196 euro lordi, Giampiero Massolo, Segretario Generale Ministero Affari Esteri, 412.560 euro, Bruno Bratoli, capo dipartimento giustizia minorile, riceve 293.029,60 euro di stipendio, Gabriella Alemanno, direttore generale dell’Agenzia del Territorio, 307.211 euro e il Generale Biagio Ambrate Abrate, Capo di stato maggiore della difesa, 482.019,26 euro. Nelle aziende municipali, Elio Catania quando era a capo dell’ATM di Milano, percepiva un salario annuale di 500.000 euro, mentre il suo collega dell’ATAC, i trasporti di Roma, ne prendeva quasi 350.000, molto di più di Sigrid Evelyn Nikutta, amministratore delegato di BVG, l’azienda trasporti di Berlino che gestisce, però, 10 linee, 146 km di rotaie, 173 stazioni, treni puntuali e puliti.
RDF

giovedì 19 aprile 2012

"A cosa serve la politica?"

A Lucca la primavera della cultura


Domenica 22 aprile alle ore 16 al Teatro San Girolamo di Lucca,via San Girolamo, nell'ambito della terza edizione di Letterathè, incontro con Piero Angela che presenta il suo ultimo libro dal titolo

 "A cosa serve la politica?" (Mondadori).

Conducono Elena Marchini e Demetrio Brandi. L’incontro è organizzato da LuccAutori – Premio Racconti nella Rete.



martedì 17 aprile 2012

Voli a basso inquinamento

(fonte: Sette- Corriere della Sera- Ecoturismo.it), a cura di Roberto Di Ferdinando
La scorsa settimana dall’aeroporto di Sidney è decollato un Airbus A330, della compagnia australiana QANTAS, con destinazione Adelaide. Fino a qui nessuna notizia, ma ha rendere speciale questo volo, è il fatto che l’aereo ha volato utilizzando un particolare combustibile; infatti  i propri serbatoi erano stati riempiti per metà con un carburante tradizionale per aerei, e per l’altra con un carburante derivato da oli usati in cucina. Nello specifico il biocombustibile è prodotto dall’azienda olandese SkyNRG, certificato per aviazione civile ed approvato dal WWF. Il rilascio di residui di carbonio di questo biocarburante è inferiore del 60% rispetto ai carburanti tradizionali.
La Qantas è l’ultima compagnia in ordine di tempo ad impiegare carburanti bio per i propri voli commerciali. La prima è stata la Continental Airlines, che impiega biofuel derivante da alghe prodotte dalla californiana Solazyme. Anche la KLM e Lufthansa nell’estate 2011 hanno utilizzato carburante derivante da grassi animali e da oli vegetali. Air New Zealand utlizza, invece, olio di semi ricavati dalla pianta non alimentare Jatropha curcas, mentre la brasiliana Tam derivante dalla canna da zucchero. Il bio-carburante è sempre miscelato al 50% con cherosene aeronautico.
Per ulteriori informazioni: http://recintointernazionale.blogspot.it/2011/05/macchine-da-guerra-ma-ecologiche.html
RDF

Inaugurazione della cattedra Renzo Rastrelli in "Storia della Cina"

Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri”

INAUGURAZIONE DELLA CATTEDRA RENZO RASTRELLI
IN “STORIA DELLA CINA”

Saluti
Facoltà di Scienze Politiche, il Preside, Franca Maria Alacevich
Consolato Generale della Repubblica Popolare Cinese in Firenze
Ente Cassa di Risparmio di Firenze

Testimonianze
Andrea Frattani, ex Assessore alla multiculturalità del Comune di Prato
Giovanni Momigli, Parroco di San Donnino e Presidente della Fondazione Spazio Reale
Lucilla Conigliello, Direttore della Biblioteca di Scienze sociali, Università di Firenze

Dibattito sul tema
“Le relazioni tra Cina ed Europa. Voci a confronto”
Presiede: Ettore Greco, Direttore dell’Istituto Affari Internazionali
Zhao Minghao: The future of Chinese foreign policy. The Chinese discourse
Nicola Casarini: Gli investimenti cinesi in Europa
Discussant: Enrico Fardella

Firenze, 18 aprile 2012, ore 10
Università di Firenze, Polo delle Scienze Sociali, Via delle Pandette n. 9, Sala Convegni

giovedì 12 aprile 2012

Conferenza | 2012 La grande paura - Sabato 14 ore 17

Associazione Culturale Eumeswil

Sabato 14 ore 17
Istituto dei Padri Scolopi
Scuole Pie Fiorentine - via Cavour 94, Firenze
Con il Patrocinio del Comune di Firenze

Finanza distruttrice
Relatore Marcello Bussi, giornalista finanziario

Il prezzo di un paio di scarpe
Relatore Massimiliano Palena, avvocato penalista

Ingresso gratuito
 






Lettura: EUROPA E PROBLEMI DELLA MERCATIZZAZIONE: DA POLANYI A SCHARPF

Università degli Studi di Firenze - Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri”


Il Prof. Colin CROUCH terrà la lettura “Cesare Alfieri” 2012 su:

EUROPA E PROBLEMI DELLA MERCATIZZAZIONE: DA POLANYI A SCHARPF

Giovedì 26 aprile 2011, ore 11
Aula Magna del Polo delle Scienze Sociali
Edificio D6, aula 0.18, via delle Pandette 9
Firenze

mercoledì 11 aprile 2012

Il mondo delle donne

(fonti: Corriere della Sera – World Economic Forum – The Independent), a cura di Roberto Di Ferdinando

Il World Economic forum ha reso pubblico “The global gender gap 2011”, la classifica che indica i paesi dove le donne vivono meglio.
Come indicato in un altro mio post (http://recintointernazionale.blogspot.it/2011/12/il-paese-per-le-donne.html ), anche per l’anno 2011 è confermata, per la terza volta consecutiva, la prima posizione in classifica dell’Islanda, dove in ambito scolastico, lavorativo, politico e di salute si registra la più alta parità dei sessi. Ultimo posto è ricoperto invece dallo Yemen (l’Italia è al 74° posto), mentre il paese più pericoloso, per la stessa incolumità di una donna, è l’Afghanistan. Ma la classifica evidenzia anche molte sorprese. Ad esempio, il paese dove le donne sono più rappresentate nelle assemblee parlamentari è il Ruanda (45 parlamentari su 80 sono donne), mentre in Arabia Saudita, Yemen, Qatar, Oman e Belize nei parlamenti non siede alcuna donna, invece nello Sri Lanka per 23 anni le donne sono state capi di Stato. E ancora un paese africano ricopre il primo posto nella classifica dell'alfabetizzazione, infatti, nel Leshoto le donne alfabetizzate sono il 95% contro l'83% degli uomini, ma l'Africa occupa anche l'ultimo posto in questo settore, con l'Etiopia, dove solo il 18% delle donne sa leggere e scrivere. L'accesso all'università per le donne è maggiormente garantito in Qatar dove sei donne ogni uomo si iscrivono a corsi universitari (il peggiore è il Ciad). Ancora l'Africa (continente dalle mille contraddizioni) è sul gradino più alto con il Burundi per la partecipazione femminile alle attività lavorative (ultimo il Pakistan), il maggior numero di donne manager è il Thailandia (45%), il minore in Giappone, solo l'8%, mentre in Giamaica i lavori altamente qualificati sono svolti per il 60% dalle donne. In Lussemburgo e Norvegia le donne ricevono gli stipendi più alti, in Arabia Saudita quelli più bassi. In ambito artistico la parità si registra in Svezia, mentre nello sport è negli USA che le donne hanno i maggiori ingaggi al mondo, mentre l'Arabia Saudita non ha mai inviato una donna alle Olimpiadi.
La Grecia conquista il primo posto per la sicurezza dei parti, infatti si verifica una morte ogni 31.800 nascite, in Norvegia, dove è altissima e di qualità l'assistenza alla maternità, la mortalità materna è di uno ogni 7.600 nascite; la più alta mortalità si registra invece in Sudan, dove operano in assoluto solo 20 ostetriche. Il più alto tasso percentuale di divorzi si registra nell'Isola di Guam (il più basso in Guatemala), il maggior tempo libero goduto dalle donne è in Danimarca, mentre il più basso è in Messico. Le donne giapponesi vivono di media 87 anni, contro gli 80 degli uomini.
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giovedì 5 aprile 2012

Israele: il paese più verde

(fonte: Sette-Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Lo stato di Israele è l’unico paese al mondo in cui la concentrazione di verde è più alta rispetto a 100 anni fa. Infatti, in Israele nell’ultimo secolo sono cresciuti 230 milioni di piante, le foreste hanno ricoperto 160 mila ettari e sono stati costituiti oltre mille parchi naturali. Questo verde è curato da 220 dighe e bacini costruiti negli ultimi 60 anni che contribuiscono al recupero di 260 milioni di metri cubi d’acqua l’anno. Merito di tutta questa attenzione alla natura è anche del Keren Kayemeth LeIsrael (KKL), la più antica organizzazione ambientalistica al mondo. La KKL, infatti, dal 1959 svolge la funzione di raccogliere fondi nel mondo da destinare alle coltivazioni in Israele; si possono donare da 15 euro (adozione di un albero) a 4.000 euro (adozione di una foresta) oltre ad acquistare con un massimo di 75 euro una quota idrica per il recupero delle acque. Circa 170 milioni di alberi presenti sul territorio israeliano sono stati donati dal KKL che punta nei prossimi 10 anni a piantare 7 milioni di piante, l’equivalente dell’attuale popolazione israeliana. Una filosofia non solo ecologica, ma che tiene conto anche delle particolari esigenze del piccolo stato medio orientale. Infatti, le conifere piantate a ridosso del deserto israeliano garantiscono una maggiore cattura di carbonio con un impiego minimo di acqua; si pensi (dati tratti dall’articolo di Sette-Corriere della Sera) che un albero di 10 metri di altezza, in 70-100 anni di vita, richiedendo annualmente 285 mm di acqua piovana, può annullare tra i 500 e gli 800 kg di carbonio, tre volte la quantità di quella catturata dalle foreste Occidentali, inoltre le nuove piantagioni favoriranno l’aumento dell’umidità e quindi la diminuzione anche di 4 gradi  delle calde temperature del deserto del Negev. Non solo, in Israele è all’avanguardia anche la ricerca nell’ambito del recupero delle acque dato chenella zona le risorse idriche sono scarse ed anche strategiche. Israele deve difatti appoggiarsi sui paesi confinanti per il proprio fabbisogno idrico. Ecco quindi la costruzione di grandi bacini idrici per la raccolta di acqua piovana ed il riciclo di quella usata. Ad esempio ogni 500 metri cubi d’acqua sporca, 400 rientrano in circolo in tempi brevi e molto diffuso è l’uso di desalinizzatori.
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