lunedì 30 gennaio 2012

Un problema energetico in più per l’Italia

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Nel 2010 l’Italia importava petrolio dalla Libia, Siria e Iran per il 39% del proprio fabbisogno; nel dettaglio il 23% dalla Libia, il 13% dall’Iran e il 3% dalla Siria. Ma nell’ultimo anno con la guerra civile in Libia e le sanzioni petrolifere nei confronti di Iran e Siria, il nostro paese è stato costretto a rivedere i propri partner energetici. Infatti sono raddoppiate le importazioni di petrolio dall’Arabia Saudita (14% del proprio fabbisogno) e sono aumentate quelle dai nostri fornitori storici, quali la Russia, Azerbaigian, Nigeria e Angola. Rimangono per il momento invariate le importazione da Teheran, ma per quanto ancora? Le sanzioni contro l’Iran saranno difatti operative tra 5 mesi. Il problema è che non è semplice trovare nuovi fornitori perché il greggio presente nella Terra non è tutto uguale, non ha costi ovunque uguali per essere estratto ed il suo prezzo al barile varia da zona a zona di estrazione. Ad esempio il petrolio iraniano è un petrolio “pesante” ed è possibile sostituirlo con quello russo che però sta già aumentando di prezzo con conseguenze sulle bollette industriali e private, un problema in più in una fase di crisi economica generale.
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giovedì 26 gennaio 2012

La guerra celata degli USA

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Gli Stati Uniti stanno svolgendo al di fuori dei propri confini una guerra non dichiarata, in cui utilizzano non dei soldati, ma i droni, cioè velivoli militari senza equipaggio e comandati a distanza. Gli USA dispongono oggi di 7 mila droni impiegati in varie zone della pianeta. Dal 2004 ad oggi la CIA (che gestisce le operazioni) ha compiuto 300 missioni in Pakistan con questi velivoli, poco meno in altri paesi, quali l’Iran, Yemen, Iraq, Afghanistan e Somalia. Recentemente i droni hanno operato anche in Libia e proprio un missile lanciato da questo velivolo avrebbe fermato il convoglio in fuga di Gheddafi. Sulla base della Legge sui poteri di guerra, il ricorso a questi strumenti comandati a distanza è ben disciplinato. La normativa statunitense prevede, infatti, che il governo notifichi al Congresso l’impiego dei droni nelle successive 48 ore ed il governo ottenga dal Congresso l’autorizzazione perché l’operazione possa svolgersi dopo 60 giorni. Ma sotto l’amministrazione Obama tale procedura è stata seguita solo parzialmente, ad esempio in Libia le operazioni con i droni hanno avuto la prima, ma non la seconda autorizzazione (il presidente Obama lo ha giustificato con il fatto che in Libia gli USA fornivano solo un appoggio al Comando europeo). L’impiego dei droni sta suscitando polemiche e perplessità. Infatti questi strumenti di guerra sono impiegati in vari scenari, anche dove non vi è un conflitto dichiarato, e così è difficile individuare le competenze politiche ed esecutive delle operazioni; cioè se anche in questi casi il potere legislativo debba autorizzare l’azione militare e l’esecutivo lo metta in atto. Inoltre vi è il rischio della proliferazione di queste armi, non a caso molti paesi, si dice almeno 50, tra cui Cina, Russia, Iran e Pakistan, si sono dotati di velivoli simili a quelli statunitensi.
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mercoledì 25 gennaio 2012

Ancora brutte notizie per Sarkozy

(fonte: Corriere della Sera), di Roberto Di Ferdinando

Sembra che contro Sarkozy si sia scatenata una sorta di maledizione. Non bastavano le notizie che danno nelle previsioni di voto per le presidenziali francesi, l’attuale presidente Sarkozy in difficoltà e distante da Marine Le Pen, la candidata di destra che oggi coglie la maggioranza delle preferenze dei cittadini francesi, non bastava l’umiliazione del declassamento dell’economia francese da parte delle agenzie di rating, adesso è arrivata anche la notizia, diffusa per prima dal quotidiano Le Monde, mai apertamente ostile verso il presidente, che in Francia la criminalità è aumentata negli ultimi dieci anni, cioè nel periodo in cui Sarkozy, prima è stato ministro dell’Interno (2002-2007) e poi capo di Stato. Per la precisazione in questo periodo il numero complessivo dei reati è diminuito, ma è aumentato quello che riguardano la convivenza civile (più omicidi, più tentati omicidi, più furti). Eppure Sarkozy ha sempre incentrato, e continua a farlo tutt’oggi, la sua azione politica sul tema della lotta alla criminalità (non su quella organizzata, mai apertamente contrastata dalle politiche francesi ). Il governo immediatamente è ricorso a spiegare i dati: “colpa degli stranieri” dice il ministro dell’Interno, Claude Guéant, che specifica:” i malfattori di cittadinanza rumena che vengono in Francia per delinquere e poi ripartono e poi a Marsiglia, con l’immigrazione delle isole Comore che è causa di molte violenze”. Una ridicola giustificazione che non diverte neanche Sarkozy, invece, sempre pronto a ridere (quando si tratta degli altri).
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lunedì 23 gennaio 2012

La nuova frontiera dello sviluppo economico: il Gran Rift africano, un possibile scenario per i prossimi cinquant'anni.

A cura di Francesco Della Lunga (fonte Sole 24 Ore)
Che cosa si dovrebbe fare quando un paese è fermo da un punto di vista economico oppure, per dirla con le parole sempre più in voga, è a “crescita zero”? Tutti i manuali di economia ci risponderebbero dicendo che bisogna fare le valige ed andare dove lo sviluppo è ancora in divenire. Più facile a dirsi che a farsi, eppure non c’è dubbio che lo sviluppo ed il rilancio dell’Europa passi inevitabilmente da scelte coraggiose che imporranno soprattutto la necessità di cercare altrove nuovi mercati dove collocare le merci e servizi. Interessante è lo studio che riporta oggi il Sole 24 Ore, studio di Hsbc dal titolo “Il mondo nel 2050: dai top 30 ai top 100”. Lo studio si avventura in una prospettiva di crescita che, lungi dall’essere certa, ipotizza la crescita tumultuosa di alcuni gruppi di paesi che oggi sono il fanalino di coda delle statistiche sulla ricchezza prodotta. L’analisi sulla crescita delle economie nazionali sfocia in tre grandi gruppi di paesi: quelli che sosterranno una crescita impetuosa, quelli che avranno una crescita significativa, quelli che non cresceranno per nulla. L’Europa purtroppo appartiene ancora all’ultimo gruppo. Pare che le nostre economie dovranno accontentarsi di un declino lento ed inesorabile nello scenario economico mondiale. Fra i paesi che rientreranno invece nel primo gruppo ce ne sono alcuni che appartengono ad un’area che RI tiene sotto osservazione da quando abbiamo iniziato a proporre i nostri temi. Ed è quella dell’Africa Orientale. Lo studio sostiene che i principali paesi che fanno parte del Gran Rift africano, per intendersi, da nord a sud, Etiopia, Kenia, Uganda, Tanzania, godranno di una crescita rapida o tumultuosa. Alcuni di questi paesi sono quelli che già avevamo segnalato come in crescita costante del PIL negli ultimi dieci anni. Le ragioni di questa crescita? Paiono essere molteplici. A dispetto infatti di una certa instabilità politica che circonda questi quattro paesi (per l’Etiopia ad esempio, a nord vi sono elementi di instabilità dovuti alle tensioni fra l’Eritrea da un lato e dal processo di consolidamento del Sud Sudan, recentemente costituitosi indipendente, ad est ed a sud la situazione somala; per il Kenia a nord est la Somalia rappresenta il principale elemento di instabilità, ad ovest si segnalano elementi di tensione generati da alcuni gruppi di ex militari e di etnie che si sono scontrate negli anni passato nella regione dei Grandi Laghi e nella RDC; l’Uganda e la Tanzania risentono anch’essi di queste dinamiche e di alcuni gruppi fondamentalisti che mirano alla destabilizzazione dell’area), vi sono pochi dubbi per gli osservatori che i destinatari della crescita del PIL saranno proprio loro perché questi paesi sono, da un punto di vista interno, relativamente stabili. Dovrebbero giocare a favore anche la transizione verso regimi democratici, la demografia, il reddito pro capite, l’istruzione, l’apertura al libero scambio. La presenza cinese ha contribuito fortemente alla crescita delle attività economiche e soprattutto ha generato lo sviluppo di un piano di infrastrutture che appare rilevante. Si va dalle strade alle reti telefoniche. Se questi quattro paesi dovessero consolidare la loro stabilità interna si potrebbero aprire degli scenari interessanti perché alcuni di questi (ad esempio l’Etiopia) necessitano di quasi tutto quanto oggi si trova in una moderna economia occidentale. Soprattutto l’uso di beni essenziali e di prima necessità come l’acqua, lo sviluppo delle reti stradali come primo elemento per uno sviluppo del territorio, lo sviluppo urbano. Nella speranza che questo possa davvero partire e che possa avvenire anche in una cornice minima di sostenibilità, preservando uno scenario naturale ancora oggi unico al mondo.
Appendice: analisi HSBC – il mondo a tre velocità:
- Crescita rapida(26): Cina, India, Filippine, Egitto, Malesia, Perù, Bangladesh, Algeria, Ucraina, Vietnam, Uzbekistan, Tanzania, Kazakistan, Equador, Etiopia, Sri Lanka, Azerbaijan, Kenya, Bolivia, Giordania, Uganda, Ghana, Paraguay, Turkmenistan, Honduras, Serbia;
- In crescita(43): Brasile, Messico, Turchia, Russia, Indonesia, Argentina, Arabia Saudita, Thailandia, Iran, Colombia, Pakistan, Cile, Venezuela, Nigeria, Romania, Rep. Ceca, Ungheria, Kuwait, Marocco, Libia, Nuova Zelanda, Rep. Dominicana, Siria, Tunisia, Libano, Slovacchia, Oman, Angola, Costa Rica, Bielorussia, Iraq, Panama, Croazia, El Salvador, Camerun, Bulgaria, Bahrain, Lituania, Bosnia Erzegovina, Lettonia, Yemen, Cipro;
- Stabili(31): USA, Giappone, Germania, Regno Unito, Francia, Canada, Italia, Corea del Sud, Spagna, Australia, Olanda, Polonia, Svizzera, Sud Africa, Austria, Svezia, Belgio, Singapore, Grecia, Israele, Irlanda, Emirati Arabi Uniti, Norvegia, Portogallo, Finlandia, Danimarca, Cuba, Qatar, Uruguay, Lussemburgo, Slovenia.
Francesco Della Lunga

mercoledì 18 gennaio 2012

La picca di Sarkozy

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

E’ giunto il momento in cui anche il presidente francese non ha più voglia di ridere. Lontani sembrano i tempi in cui Sarkozy si divertiva alle conferenze stampa con la cancelliera Merkel, difatti dopo venerdì, quando la Francia, assieme ad altri nove paesi europei ha subito il declassamento del proprio debito dalla triplice AAA a AA+, Sarkozy, impegnato in una difficile campagna elettorale per la riconferma all’Eliseo, si aggira per la Francia e l’Europa stizzito e permaloso. E il primo effetto di questo declassamento è stato di chiedere, e ottenere, l’annullamento del vertice del 20 gennaio a Roma con Monti e la Merkel. Un annullamento irrituale tra capi di stato, in particolare era stato proprio Sarkozy a proporre ai colleghi l’incontro italiano, non appena dieci giorni fa. Molti analisti ritengono che questo dietrofront francese sia dovuto al fatto che Sarkozy non desidera presentarsi a breve ad un vertice dove solo la Merkel può vantare la triplice A. Un vezzo, forse, ma comunque l’asse franco-tedesco, che ha voluto guidare, spesso con scelte inopportune, la crisi economica finanziaria della zona euro, si sta incrinando. Sarkozy non sta riuscendo ad accettare il declassamento, seppur atteso, perché questo complica la sua strategia per le elezioni presidenziali francesi di primavera. E il nervosismo del presidente francese si è manifestato lunedì, nella conferenza stampa in seguito alla visita ufficiale a Madrid (questa non cancellata, perché troppo vicina temporalmente, e al cospetto di un sovrano, Re Juan Carlos). Il giornalista della Reuters, presente alla conferenza di Madrid ha rivolto la seguente domanda a Sarkozy (tratto dall’articolo del Corriere della Sera): “Pensa che la perdita della tripla A sia un fallimento e che il distacco nei confronti della Germania ridurrà l’influenza della Francia in Europa?” Stizzita e scortese la risposta dell’inquilino dell’Eliseo: “Non ha visto le ultime notizie (per la cronaca il declassamento francese è stato stabilito solo da Standard & Poor’s, mentre Moody’s ed altre agenzie hanno deciso di rinviare la decisione)? Può farmi un’altra domanda che tenga conto delle ultime informazioni?” Ed il giornalista ancora: “La domanda è sapere se lei considera la perdita della triplice A come un fallimento e se il distacco con la Germania….”. Sarkozy:”Insisto lei non è al corrente delle ultime informazioni. Dunque, se lei mi pone una domanda sulle ultime notizie, risponderò. Se invece mi parla di quel che è successo venerdì scorso, era appunto venerdì”. Allora il giornalista: “D’accordo, allora, Moody’s, che ne pensa?”. Il presidente:”No, formuli una domanda, Moody’s non vuole dire un granché”. “Dopo Standard & Poors, Moody’s fa pendere una spada di Damocle sulla politica economica francese?”. Sarkozy chiude, sgarbatamente: “Non capisco questa domanda. Se c’è qualcuno che mi vuole porre un interrogativo comprensibile risponderò volentieri, non capisco la sua domanda”. C’è del nervosismo a Parigi, anche a Parigi. I bei sorridenti e ridaioli tempi per Sarkozy sono passati, come per una legge del contrappasso.
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lunedì 16 gennaio 2012

E’ l’ora della guerra?

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Dell’attacco israeliano all’Iran se ne parla dal 2008, ogni volta sembra di essere sul punto che scoppi, poi la diplomazia, il dialogo e le alternative al conflitto, fortunatamente, prevalgono, ma oggi la pace sembra essere più lontana. I piani di attacco di Israele ci sono, sono pronti da anni e continuamente aggiornati. Manca solo il consenso dell’Occidente, ma Israele è pronto all’impiego della forza anche senza l’appoggio e l’”autorizzazione” degli amici europei e degli USA, difatti un Iran con la bomba atomica è un rischio troppo grande per gli israeliani. In questi giorni il generale statunitense, Martin Dempsey, consigliere militare del presidente Obama, sarà a Gerusalemme ed a Tel Aviv, proprio per sondare il campo e vedere i piani di attacco israeliani. Gli Stati Uniti sono rassegnati all’operazione militare israeliana (sono stati allertati i 15.000 militari USA in Iraq), ma sperano che gli iraniani diano seguito alle deboli, ma pur presenti, aperture degli ultimi giorni. Per Gerusalemme si tratterebbe invece solo di decidere il quando, a primavera adesso od a novembre dopo le elezioni presidenziali USA. Già nel 2008, anno di elezioni di Obama, gli israeliani avevano programmato l’attacco, sperando che i repubblicani americani mantenessero la guida del paese e che la dottrina Bush Jr continuasse, invece ci fu la vittoria di Obama, e prevalse la linea del dialogo. Ma adesso, curiosamente, sotto la presidenza democratica di Obama (Obama non ha mai reso visita a Israele, non era mai successo negli ultimi trent’anni per un presidente USA), e con un consenso strappato di malavoglia agli americani, Israele potrebbe attaccare l’Iran, cioè fare ciò che non poté fare sotto la presidenza di guerra di Bush Jr.
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domenica 15 gennaio 2012

Ancora sulla strage di Bologna

(fonte: Sette-Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Beirut, 2 settembre 1980, Italo Toni, 50 anni, e Graziella De Paolo, 24 anni, giornalisti del Paese Sera, escono dal loro hotel, il Triumph e salgono su una jeep del FPLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina), da quel momento di loro non se ne saprà più nulla.
Toni e De Paolo erano partiti da Roma il 22 agosto, destinazione Damasco, da lì avrebbero raggiunto in auto Beirut. La De Paolo aveva organizzato la missione prendendo contatto con la sede romana dell’OLP, ottenendo la “protezione” di Al Fatah, guidata da Yasser Arafat. I due inviati di Paese Sera giungono a Beirut il 24 agosto e prendono alloggio al Triumph di Beirut, albergo dove l’OLP accoglie i propri ospiti. Ma in questi pochi giorni che ci separano dalla loro scomparsa, Toni e De Paolo sicuramente vengono a conoscenza di qualche notizia clamorosa: di un presunto traffico di armi tra Italia e Libano? Dell’dentità di neofascisti rifugiati a Beirut Est? Oppure di qualcosa di scottante sulla pista palestinese per la strage di Bologna, avvenuta solo un mese prima? Certamente qualcosa di importante era successo in quei giorni, infatti i due giornalisti il 1° settembre si presentarono all’ambasciata italiana in Libano per chiedere protezione. Il giorno dopo i due scomparvero, gli addetti dell’albergo raccontarono agli investigatori che l’ultima volta che li avevano visti era mentre salivano su una jeep guidata da membri del FPLP.
Nel 1984 il governo Craxi (filo palestinese) pone sulla vicenda il segreto di Stato. Nel 1985 il sostituto procuratore, Giancarlo Armati, che seguì le indagini, concluse che il responsabile dell’omicidio fu George Habbash, leader del FPLP, e che a depistare le stesse indagini furono (si legge dall’articolo di Sette) il generale Giuseppe Santovito, direttore del Sismi dal 1978 al 1981 e Stefano Giovannone, capo del centro Sismi di Beirut. I due alti ufficiali dei nostri servizi segreti erano finiti nell’indagini anche per la strage di Bologna. Ancora una volta, servizi segreti, palestinesi e strage di Bologna.
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venerdì 13 gennaio 2012

Miniere “umane”

(fonte: La nuova ecologia), a cura di Roberto Di Ferdinando

Da sempre il lavoro delle miniere è duro, logorante, sotto pagato e spesso anche disumano, l’uomo infatti non è fatto per stare sotto terra, almeno da vivo. Eppure esistono delle realtà in cui il lavoro minerario è meno “disumano”, rimanendo, comunque sempre pesante.
Siamo in Colombia, zona occidentale del dipartimento Boyacà, località Maripì, presso Muzo, la capitale colombiana dell’estrazione di smeraldi, i più belli al mondo. Fino a qualche decina di anni fa, qui non esistevano regole, se non quella del più forte, e lo sfruttamento di queste terre era selvaggio, totale (centinaia di bulldozer smuovevano tonnellate di terra per estrarre gli smeraldi), senza alcun rispetto per la Natura e gli uomini. Negli ultimi anni molto è cambiato. Il governo di Bogotà è intervenuto dando una netta regolarizzazione. L’estrazione infatti avviene adesso attraverso le perforazioni delle montagne realizzando tunnel lunghi centinaia di metri (comunque non so quanto sia meno invasiva), da qui i minatori (esmeralderos), tramite scale ed ascensori, scendono alla corte, cioè al taglio dove si presume ci sia la vena ricca d smeraldi. Rispetto ad altre zone minerarie colombiane, qui i minatori sono pagati con un regolare salario (250 euro è lo stipendio mensile minimo), hanno pasti garantiti, assistenza sanitaria, squadre speciali di assistenza in caso di incidenti all’interno della miniera, e nelle ore libere possono frequentare, gratuitamente, corsi di formazione, tra cui imparare l’inglese; inoltre lavorano venti giorni al mese mentre per i restanti dieci rientrano a casa. Per quanto riguarda la Natura, le autorità locali hanno regolarizzato l’estrazione per garantire l’ambiente. Non solo, le acque del Rio Minero (il nome ne ricorda l’impiego nell’attività estrattiva), una volta utilizzate nel giacimento, attraverso un complesso procedimento di purificazione, sono nuovamente immesse nel fiume.
Il controllo perché i minatori non si intaschino gli smeraldi estratti è molto rigido, ma alle volte può capitare che qualche esmeraldero riesca a portare fuori una pietra preziosa che ha estratto dalla vena, un piccolo capitale che spesso va ad esaurirsi subito in “alcol e donne, quasi nessuno è capace di risparmiare o investire”, come dice Mercedes Chaporro, l’unica donna impiegata nella miniera di Santa Rita, responsabile dell’organizzazione del lavoro, intervistata dalla rivista italiana, La nuova ecologia.
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martedì 10 gennaio 2012

Due miliardi di cristiani, pochi in Europa

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Recinto Internazionale aveva già riportato in un piccolo post la notizia che la religione cristiana è la confessione con più fedeli al mondo (http://recintointernazionale.blogspot.com/2011/12/il-cristianesimo-e-la-religione-piu.html). Il Corriere della Sera ha approfondito questo tema analizzando nel dettaglio il Rapporto del Pew Forum sul Cristianesimo Globale da cui risultano alcuni dati che meritano di essere evidenziati. 1/3 della popolazione mondiale, come 100 anni fa, è composta da cristiani, ma rispetto all'inizio del Novecento è cambiata molto la loro distribuzione sulla terra. Infatti, i cristiani nel mondo sono 2 miliardi, e di questi il 26% vive in Europa, il 37% nelle Americhe (erano il 27% 100 anni fa), il 13% in Asia (un secolo fa era il 4%) ed il 23% vive in Africa (nel 1910 era il 2%). Il crisitanesimo rimane comunque, come un secolo fa, la religione con più fedeli ed il 90% dei cristiani vive in paesi dove la maggioranza della popolazione è cristiana. Dall'articolo del Corriere della Sera, però, si evince un fatto nuovo rispetto al 1910, cioè la perdita di rilevanza, nei numeri, dei cristiani europei. Infatti i primi dieci paesi che hanno più cittadini crisitani sono, in ordine: USA, Brasile, Messico, Russia, Filippine, Nigeria, Cina, Congo, Germania (il primo paese europeo) e l'Etiopia. I cattolici brasiliani sono il doppio di quelli italiani, mentre i protestanti nigeriani sono il doppio di quelli tedeschi. Dei due miliardi di cristiani la metà è costuita da cattolici (l'Italia è il primo paese europeo per numero di cattolici ed il 5° nel mondo), che vivono prevalentemente (il 47%) nelle Americhe, in Europa ci vive il 23% dei cattolici (secondo posto) e la maggiornaza degli ortodossi, mentre il Vecchio Continente è all'ultimo posto riguardo la presenza dei protestanti.
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lunedì 9 gennaio 2012

Il record negativo del Brasile

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Nelle settimane scorse il Brasile ha guadagnato i titoli principali della stampa internazionale in quanto nel 2012 si prevede che raggiungerà il 5° posto nella classifica mondiale per PIL prodotto (l’Italia è all’8° posto). Invece, meno evidenza è stata data ad un record, questa volta negativo, che il paese latino americano da alcuni anni ha conquistato, quello della “violenza” di Stato. Recentemente il giornalista del Corriere della Sera, Gian Antonio Stella, noto al pubblico per le quotidiane denunce dei privilegi della casta italiana, in un suo articolo sul quotidiano di via Solferino, ricordava l’uscita nelle librerie di “Crescita economica e violazione dei diritti umani in Brasile”, un libro di Alessandro Monti, docente di politica economica a Camerino, in cui si denuncia, citando testimonianza tratte dai rapporti ufficiali che, per esempio, nei soli stati di Rio de Janeiro e San Paolo, negli ultimi anni, sono stati uccisi 11.010 persone dalla polizia perché “faceva resistenza all’arresto”.
Il Brasile sembra quindi essere un paese dalle mille contraddizioni, in un periodo dinamico economico, aumentano le violenze, i soprusi e le disparità sociali. Ma già in passato il paese aveva conosciuto un forte balzo economico (+14% del PIL), e sembrerà strano, ma avvenne nel periodo più sanguinoso della dittatura militare (1969-1974) di Garrastazu Medici in cui furono sospesi i diritti fondamentali. Non solo, oggi gli investimenti stranieri in Brasile sono 10 volte più numerosi, rispetto a 10 anni fa, la classe media nello stesso periodo di tempo è aumentata da 66 a 95 milioni di persone, ma nonostante questo si è anche allargata la forbice che tiene ancor più distante i ricchi dai poveri (solo nel Sudafrica e nel Botswana l’ingiustizia sociale è più crudele) . Un paese contraddittorio.
In Brasile la popolazione carceraria si compone di 496,251 persone (1 ogni 413 abitanti) e molti di questi vivono in condizioni disumane. Eppure in Brasile i violenti sembrano essere anche coloro che dovrebbero garantire l’ordine ed il rispetto della legalità. Secondo un rapporto di Amnesty International, nel 2009 la polizia avrebbe ucciso in “atti di resistenza” 1.048 persone a Rio de Janeiro e 543 a San Paolo (+ del 41% rispetto al 2008). Il professor Monti ricorda nel suo libro che vittime di violenze da parte delle autorità di polizia sono principalmente i nativi (guarani-kalowà, quilombola) e le popolazioni “afrodiscendenti”. Ed ancora, secondo le indagini dell’Onu, nel 2008 negli USA si è verificato 1 caso di police killing ogni 37.751 persone arrestate, nello stesso anno, nel solo stato di Rio de Janeiro si è verificato un tale caso ogni 348 arresti ed a San Paolo 1 ogni 23 arresti (!). E se non bastasse, Monti cita un'altra statistica-denuncia di ACAT France (Action des Chrétiens pour l’Abolition de la Torture, con sede a Parigi), la Un Monde Tortionnaire 2011, da cui risulta che “la maggior parte delle persone che lottano per il diritto ad un alloggio e alla terra, membri di comunità indigene, contadini senza terra e squatter urbani, è vittima di gravi violazioni dei diritti dell’uomo: torture, assassini, esecuzioni senza processo che, mediamente, si traducono in oltre 50.000 omicidi l’anno commessi ufficialmente per ragioni di sicurezza, il numero più elevato al mondo” (citazione dall’articolo del Corriere della Sera). Spesso, responsabili di tali omicidi le milizia, gruppi paramilitari costituiti da membri delle forze di polizia fuori servizio o in pensione che operano con violenza nelle favelas per conto anche delle organizzazioni di narcotrafficanti.
Dimenticavo, il Brasile è lo stesso paese in cui si è rifugiato l’assassino Cesare Battisti, è sempre lo stesso paese che non consegna all’Italia l’assassino Battisti perché nel nostro paese Battisti sarebbe “ perseguitato per le sue idee politiche”.
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domenica 8 gennaio 2012

Storia - I complotti ed i crimini nell'antico Egitto

Mentre in Egitto l'accusa chiede la condanna a morte dell'ex presidente Mubarak, soprannominato il "Faraone", riporto qui sotto un mio vecchio articolo sulle congiure nell'antico Egitto, pubblicato sulla rivista Dossier & Intelligence nel 2004.

Artcioo pubblicato su Dossier & Intelligence nel 2004
Testo di Roberto Di Ferdinando

Nell'ambito del ciclo di conferenze intitolato "Il Crimine - complotti, veleni e delitti -", organizzato dall'associazione culturale fiorentina Eumeswil , la dottoressa M. Cristina Guidotti, direttrice del Museo Egizio di Firenze, ha tenuto una lezione dal titolo:"Complotti, crimini e processi nell'antico Egitto".
La dottoressa Guidotti ha dedicato la parte centrale del suo intervento al racconto di due complotti, mossi contro i faraoni Amenemhat I e Ramsete III, di cui abbiamo oggi testimonianza grazie al ri-trovamento di particolari documenti.
Secondo le scritture pervenuteci Amenemhat I, faraone della XII dinastia, fu assassinato nel 1962 A.C., da una congiura ordita da nobili con la complicità di alcuni personaggi di corte, in particolare all'interno dell'harem del faraone.
Il mancato ritrovamento della mummia di Amenemhat I non ha permesso di accertare le effettive cause del decesso del faraone, ma in aiuto alla tesi del complotto vengono due documenti.
Il primo è il racconto di Sinhue, l'antico racconto egiziano (da non confondersi con la moderna opera letteraria di Mika Waltari, che invece si ispira liberamente al racconto), inciso su quattro stele del tempio di Amon a Tebe, in parte ancor oggi leggibile, e fatto circolare per lungo tempo nelle scuole dell'Antico Egitto. Si narra che Sinhue, funzionario dell'harem del faraone, è in missione militare in Libia con il principe erede Sesostri, figlio di Amenemhat I, ma durante la marcia di ritorno verso l'Egitto giunge la notizia della morte del faraone. Sinhue, misteriosamente, forse per sfuggire alle accuse di negligenza, oppure perché effettivamente coinvolto nella congiura, abbandona la spedi-zione militare, per rifugiarsi in Siria. Rientrerà in Egitto solo molti anni dopo, quando Sesostri, di-venuto faraone, gli perdonerà la misteriosa fuga.
La seconda testimonianza dell'assassinio del faraone è l'insegnamento di Amenemhat I. Per inse-gnamento s'intende un genere letterario, molto diffuso nell'antico Egitto, attraverso cui si cercava di educare la popolazione alla giustizia ed a vivere rettamente. Gli insegnamenti erano prevalentemente impartiti nelle scuole dove gli alunni li mettevano per iscritto producendone molte copie, alcune di esse sono così giunte fino a noi.
L'insegnamento di Amenemhat I, scritto dopo la morte del faraone, racconta i fatti facendo parlare, come era usanza, in prima persona Amenemhat I morto, ed il principio che vuole trasmettere alle persone è quello di guardarsi bene da chi sta loro vicino. Infatti in un passo dell'insegnamento, Amenemhat I si rivolge al figlio dicendogli:" […] l'assassinio è stato perpetrato quando ero senza di te e prima che la corte apprendesse la tua investitura, prima che sedessimo insieme sul trono (l'antica usanza voleva che il faraone, prima della sua morte, associasse sul trono il proprio erede per garantire così la successione dinastica). A se potessi sistemare le questioni che ti riguardano! Ma non avevo preparato nulla, non mi aspettavo un tale evento, non mi aspettavo una tale mancanza dei mie servitori. E' forse compito delle donne dar battaglia? Si deve introdurre la battaglia nel palazzo? (ecco il riferimento alla congiura ordita nell'harem del faraone).
La seconda congiura che ci indica la dottoressa Guidotti e di cui abbiamo testimonianze certe, è quella mossa contro Ramsete III, faraone della XX dinastia, l'ultimo grande regno d'Egitto. Le in-formazioni su questa vicenda le riceviamo grazie ad un papiro, scritto durante il regno di Ramsete IV ed oggi conservato al Museo Egizio di Torino, contente, in maniera parziale, i verbali delle inter-rogazioni ai presunti colpevoli e delle udienze processuali. Queste carte però non ci dicono se Ram-sete III cadde vittima, forse morì poco tempo dopo per gli effetti di quest'aggressione, o invece so-pravvisse a questo complotto. Sappiamo infatti che il faraone morì nel 1154 a.C. e le analisi sulla sua mummia, oggi conservata al Museo de Il Cairo, hanno dimostrato che la morte lo colse in età avanzata, ma non hanno rivelato tracce di ferite; ciò però non esclude che Ramsete III sia stato av-velenato.
Il papiro riferisce che la congiura fu capeggiata dalla seconda moglie di Ramsete III, desiderosa di far salire sul trono il proprio figlio, Pentaur, al posto del futuro Ramsete IV, l'erede che Ramsete III aveva avuto dalla sua prima moglie, Iside. I congiurati in tutto erano 28, erano sacerdoti ed uomini di corte, ma erano coinvolte anche molte donne, alcune di corte, una era sorella di un generale, altre, ancora, facenti parte dell'harem del faraone.
Il papiro, riportando le fasi del giudizio, fin dall'inizio indica i sospetti colpevoli del complotto, ci-tandoli con un nome diverso e dispregiativo da quello proprio. La civiltà egizia infatti dava grandis-sima importanza all'identificazione delle persone e degli oggetti con un nome proprio, quindi la cancellazione o la modifica di questo era ritenuta l'offesa più grande da subire, significava infatti e-liminarne l'esistenza e la memoria. Il papiro sottrae da questa offesa solo gli appartenenti alla fami-glia reale coinvolti nel complotto.
Occorre qui ricordare che nell'antico Egitto la giustizia non si basava che su raccolte di ordinanze e sentenze del faraone alle quali i giudici durante i processi facevano riferimento. I tribunali si suddi-videvano in gradi, dal più basso, quello locale, al più alto, il Visir, cioè il vice faraone per le questioni politiche. Comunque i processi erano spesso allestiti presso il Tempio di Maat, la dea della Verità, della Giustizia e dell'ordine cosmico.
Le condanne, oltre alla morte, spesso provocata per impalatura, prevedevano pene corporali, come le bastonature, oppure mutilazioni che interessavano il naso, le orecchie ed i piedi. Per i condannati non esisteva invece il carcere, questi erano infatti destinati ai lavori forzati, mentre il soggiorno in una galera, come possiamo noi, oggi, intenderlo, era riservato solo agli imputati in attesa di giudizio.
Il giudizio riguardo il complotto contro Ramsete III stabilì quindi che 7 congiurati fossero condan-nati a morte tramite suicidio con veleno. Questa pratica era riservata solo ai nobili a cui era così permessa una morte più onorevole. Durante l'accertamento della verità fu inoltre scoperto il tentati-vo, da parte di alcuni congiurati, di corrompere 5 giudici. Tra i giudici che avevano accettato i favori degli imputati, uno fu fatto suicidare, ad altri tre furono tagliate le orecchie ed il naso, mentre il quinto, che molto probabilmente aveva collaborato a far scoppiare il caso di corruzione, fu solo rimproverato.
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