lunedì 24 ottobre 2011

Omaggio ad Antonio Cassese

Apprendiamo dalle colonne di Repubblica.it la notizia della morte del Prof. Antonio Cassese, uno dei più noti e stimati giuristi di diritto internazionale. Per un suo profilo si può vedere l’articolo pubblicato da Repubblica di oggi:

http://www.repubblica.it/persone/2011/10/22/news/cassese_morte-23672785/?ref=HREC2-2

Apprendiamo con grande dispiacere dalle colonne di Repubblica la notizia della morte del Prof. Cassese. Docente di Diritto Internazionale alla Facoltà di Scienze Politiche Cesare Alfieri di Firenze, è stato uno dei più noti e stimati studiosi di Diritto Internazionale. Anche a noi piace ricordarlo, non tanto per il fatto di essere stati degli amici o dei conoscenti, perché siamo stati dei semplici studenti di quella materia alla preparazione del Concorso Diplomatico, quanto per quello che rappresentava per noi, un mito del Diritto Internazionale, presidente del Tribunale Speciale per i crimini della ex Jugoslavia, fra il 1993 con i conflitto in corso ed il 1997. Noi avevamo incrociato il Professore, eravamo fra i tanti studenti che hanno sognato, anche per un po’, di lavorare negli ambiti delle carriere internazionali e Diritto Internazionale era una materia che aveva il suo fascino. A noi piace ricordarlo così, come figura “mitica”, “irraggiungibile”, di grande prestigio, figure che riescono ancora a far sognare un po’ gli studenti e a far amare le discipline di studio, grazie al semplice carisma personale.

Francesco Della Lunga e Roberto Di Ferdinando

sabato 22 ottobre 2011

Le soldatesse australiane potranno andare in prima linea

(fonte: Sette-Corriere della Sera)

Il ministro della Difesa australiano, Stephen Smith, ha annunciato che entro 5 anni le soldatesse australiane potranno partecipare ad operazioni di prima linea, tra cui sminamento, difesa aerea, combattimento nell’artiglieria e cavalleria, quindi circa il 17% delle operazioni svolte dalle forze armate dell’Australia. Il ministro ha aggiunto, difatti, che “in futuro la scelta del ruolo di un militare in battaglia dipenderà quindi unicamente dalle sue capacità, non dal sesso”. Dal 1899 le donne sono arruolate nelle forze armate australiane ed oggi rappresentano il 12,8% del totale.
Non sono molti però i paesi dove le donne, non solo si possono arruolare, ma anche partecipare ad operazioni di guerra. Riporto di seguito alcuni dati in merito, pubblicati dal settimanale Sette-Corriere della Sera.
In Canada dal 1982 le donne si arruolano e possono essere impiegate in teatri di guerra, dal 2002 fanno parte anche degli equipaggi dei sottomarini.
In Gran Bretagna, le donne rappresentano il 9% delle forze armate, ma non possono essere impiegate in operazioni che possano prevedere la vicinanza o l’uccisione del nemico.
In Danimarca l’arruolamento alle donne è molto limitato, ma ad oggi le donne sono il 5% dei soldati dell’esercito, il 6,9% della marina e l’8,6% dell’aviazione.
Dalla nascita di Israele le donne partecipano alla difesa del paese. Per le donne il servizio militare dura due anni, ed è obbligatorio. In operazioni di guerra ad oggi sono impiegate 1.500 soldatesse.
Dal 2001 in Nuova Zelanda le donne possono arruolarsi in fanteria, mezzi corazzati e artiglieria.
In Italia, dal 1999 le donne sono ammesse nelle Forze Armate, ma non possono ricoprire ruoli in prima linea.
In Spagna, invece è dal 2007 che le donne si arruolano (sono il 9% sul totale dei soldati), ma qui possono essere dispiegate anche in teatri di guerra ed in prima linea.
Infine gli USA, dal 1941 esiste il Woman’s Army Auxiliary Corps e nel 1989, nell’invasione di Panama, per la prima volta nella storia militare statunitense, una donna, il capitano Linda L. Bray, ha guidato un plotone di uomini in battaglia.
RDF

venerdì 21 ottobre 2011

Sangue e Sorrisi

di Roberto Di Ferdinando

La popolazione libica festeggia, e ne ha buoni motivi, la morte di Gheddafi, invece mi appaiono fuori luogo i sorrisi e le dichiarazioni di soddisfazione di molti leader politici del resto del mondo. Ancora una volta, come avvenne per l’assassinio di Osama Bin Laden, i capi di governo e di stato e i rappresentanti di istituzioni locali e mondiali esprimo il loro piacere per una morte. Soddisfazione per la morte di un tiranno, ma pur sempre una morte violenta di una persona. Gheddafi è stato ucciso disarmato, non sappiamo molto degli ultimi minuti di vita del rais, ma da quello che sappiamo e visto, al momento della sua esecuzione in strada era disarmato. Leggere ed ascoltare i presidente Obama e Sarkozy ed il premier Cameron esaltare la morte, e quella morte di Gheddafi, mi ha lasciato l’amaro in bocca. Credo, infatti, che questi importanti leader, a capo di importanti e storiche democrazie, avrebbero dovuto chiedere garanzie perché Gheddafi potesse essere giudicato da un tribunale internazionale (esisteva un mandato di cattura), o da un tribunale libico. Il fatto che si tratti di un dittatore, non significa che debba morire in maniera violenta, come lo stesso Gheddafi faceva uccidere molti suoi avversari. E’ proprio questo che si distingue una condotta civile da una incivile tipica di un dittatore. Anche se Gheddafi è stato ucciso da uno o più suoi connazionali, l’Occidente è comunque responsabile di questo assassinio violento verso un uomo disarmato. Ieri mattina il convoglio di auto su cui viaggiava il rais mentre lasciava Sirte, è stato colpito dai missili lanciati da un mirage francese e da un drone statunitense, coordinati dal comando della Nato. Ma la Nato, in Libia, non aveva come mandato quello di salvaguardare la popolazione libica dalla controrivoluzione di Gheddafi? A me pare che la Nato negli ultimi mesi sia andata oltre il mandato ONU, collaborando a stanare ed uccidere Gheddafi. Questo è stato possibile perchè una costruzione (democratica?) della Libia post Gheddafi senza la presenza, anche lontana, in esilio, del rais, appariva a molti leader occidentali la soluzione migliore, il rais era diventato una figura scomoda, Francia e Gran Bretagna hanno invece, adesso la possibilità di ritrattare i loro accordi commerciali con la nuova Libia, da un punto di forza maggiore. Non solo, molti leader che oggi sorridono alla morte di Gheddafi, nel recente passato hanno stretto la mano, sempre sorridendo al rais, ma in un civile processo, con un Gheddafi che avrebbe rievocato gli incontri cordiali con premier britannici e capi di stato francesi, illustrando gli accordi che queste storiche democrazie avevano stipulato con il folle dittatore di tripoli, sarebbe stata un’immagine un po’ imbarazzante, in particolare per il “volenteroso” Sarkozy. Gheddafi è stato condannato a morte senza un processo, la Nato ha condotta una guerra in Libia senza che l’opinione pubblica si ponesse dei dubbi sulla sua opportunità, Sarkozy e Cameron ben presto si recheranno a Tripoli per stipulare accordi energetici vantaggiosi per Parigi e Londra e tutti vissero felici e contenti.
RDF

mercoledì 19 ottobre 2011

L’ex nazista agente della Germania Federale

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

La rivista tedesca Der Spiegel recentemente ha rivelato, citando documenti declassificati della CIA, che Franz Rademacher, collaboratore del Ministro degli Esteri del terzo Reich, Von Ribbentrop, ed ideatore del piano Madagascar - l’operazione che prevedeva la deportazione degli ebrei in Africa -, negli anni ’60 fu ingaggiato dai servizi segreti tedeschi. Rademacher nel 1952 fu condannato a tre anni e 5 mesi di reclusione per il suo passato nazista, ma lasciato in libertà perché non c’erano pericoli di fuga, fuggì dalla Germania per rifugiarsi in Siria, dove si mise in contatto con ex nazisti che appoggiavano la rivoluzione algerina. Nel 1962 fu arruolato, secondo i documenti della CIA, dai servizi segreti tedeschi, con cui aveva sempre mantenuto dei legami, inviando dal Medio Oriente periodici rapporti. Nel 1963 fu però arrestato dai siriani, riconsegnato ai tedeschi, condannato e nuovamente scarcerato. Morì nel 1973 mentre attendeva da anni un terzo giudizio, ma niente, fino alla scoperta dei rapporti CIA, era venuto fuori della sua collaborazione con le autorità federali tedesche.
RDF

sabato 15 ottobre 2011

I droni USA

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

I droni sono velivoli aerei senza pilota che gli Stati Uniti stanno utilizzando da circa dieci anni per colpire obiettivi strategici e terroristi in territori ostili. Il nome tecnico è MQ-Reaper, ha un’autonomia di volo di circa 4.000 km, può mantenere una velocità di crociera di 370 chilometri orari e raggiunge l’altitudine massima di 15.240 metri. E’ armato con missili Hellfire e bombe a guida laser e costa 13,5 milioni di dollari. Il Pentagono e la CIA prediligono utilizzare questo velivolo per missioni delicate: dove non è possibile inviare soldati a terra o dove un caccia (con pilota) potrebbe essere intercettato, anche se, comunque, un caccia non può avere la precisione di un drone. I droni sono guidati via satellite da equipaggi che si trovano in territorio americano (una stazione di comando si trova in Nevada). Il primo Reaper ad operare fu nel 2002, su autorizzazione dell’allora presidente USA, George W. Bush, per colpire Al Harithi, un terrorista di Al-Qaeda. Ma il boom del suo impiego si è avuto con l’amministrazione Obama, infatti nel 2010 sono state portate a termine 118 missioni con i droni e nel 2011, ad oggi, le missioni compiute con questi velivoli telecomandati sono 50. I droni sono stanziati, pronti a partite per le loro missioni, nelle isole Seychelles (per colpire i terroristi Shabab in Somalia e Al-Qaeda in Yemen) ed a Gibuti, alcuni droni, per colpire in Afghanistan, sono partiti da aeroporti pakistani. Ma nel frattempo a Washington stanno studiando di potenziare l’impiego di questi velivoli, non a caso la diplomazia statunitense sta lavorando per avere le autorizzazioni ad aprire due basi per i droni, una in Etiopia e l’altra nella Penisola Arabica. Non solo, i tecnici militari USA stanno studiando anche una più evoluta versione dei droni. Oggi, infatti, l’equipaggio che guida a distanza il drone, si compone di un pilota e di un addetto alle armi, ed è quest’ultimo a premere il pulsante per colpire l’obiettivo. La nuova versione vedrebbe invece il Reaper guidato solo dal computer a cui spetterebbe la decisione di sganciare il missile; così, pensano gli ufficiali statunitensi, non vi sarebbero più i rimorsi di coscienza per l’addetto alle armi che, in caso di vittime civili (sono numerose quelle causate, per errore, dai missili dei droni), non potrebbe essere più incriminato.
RDF

venerdì 14 ottobre 2011

Il modello turco per l’Africa

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Il premier turco Erdogan recentemente ha visitato ufficialmente i paesi nordafricani, registrando un buon consenso dalle locali popolazioni. Negli stessi territori africani, una volta sotto il controllo del Sultano di Istanbul, oggi la Turchia è presente, con una dinamica attività diplomatica ed economica (si vedano i precedenti post dedicati da RI alla Turchia). Ma la presenza turca nell’africa musulmana sta provocando malumore in alcune capitali arabe. Infatti l’Arabia Saudita e il Qatar ambiscono ad un ruolo primario nella fase post “primavera araba”, ed ancora l’Iran (paese comunque non arabo) che vede nella caduta dei vecchi tiranni nord africani la possibilità di sfruttare il vuoto politico per appoggiare i locali partiti religiosi e radicali ed essere il protagonista nella regione. Ma il modello islamista laico proposto dalla Turchia (che attrae anche per la sua forte crescita economica) è un pericolo per le ambizioni geopolitiche dell’Iran sciita ed del wahabismo saudita, un motivo in più, perché l’Occidente sostenga la politica, non solo africana, della Turchia.
RDF

lunedì 10 ottobre 2011

Danimarca: il governo che piacerebbe all’anti-casta

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

La settimana scorsa si è insediato a Copenaghen, giurando dinanzi alla regina di Danimarca, il neo governo danese. Un governo che presenta molte novità. Per la prima volta per il paese scandinavo, il governo è guidato da una donna, Helle Thorning-Schmidt, di 44 anni a capo di una coalizione di centro-sinistra, dopo dieci anni di esecutivi di centro destra. Il nuovo governo è formato da 23 ministri, di cui 9 donne e l’età media dei ministri è di 43 anni. Il più giovane è Thor Moger, il ministro delle finanze, di 26 anni (il più giovane ministro della storia politica danese) e studente in Scienze Politiche. Moger ha un preciso programma finanziario: la tassa sul grasso (imposta addizionale sui cibi ipercalorici), imposte sulle sigarette ed una riforma fiscale che mira a ridurre la povertà. Ministro dell’Ambiente, Ida Auken di 32 anni, che ha promesso che entro il 2020 “metà di tutta l’energia consumata dalla Danimarca sarà tratta dal vento” e che la riduzione delle emissioni di CO2 sarà del 40%. Ed ancora, Manu Sareen, di 44 anni, di origine indiana che è il neo ministro della Chiesa e dell’uguaglianza e Astrid Krag Kristensen, 28 anni, ministro della Sanità (trattamento più rapido dei tumori, più attenzione alle cure psichiatriche per bambini e giovani, eliminazione della deduzione fiscale per l’assicurazione sanitaria privata. E come se non bastasse, tutto il governo si è presentato al Palazzo della Regina per il giuramento, in bicicletta, nessuna auto blu.
RDF

lunedì 3 ottobre 2011

Strage di Bologna: la pista palestinese?

(fonte: Sette-Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, esiste una sentenza definitiva con cui sono stati individuati quali esecutori dell’attentato e giudicati colpevoli due neofascisti, Francesca Mambro e Valerio Fioravanti. Eppure ancora oggi sembra che tutto non sia stato accertato. A riaprire le polemiche su questa sentenza ed a rinnovare alcune perplessità sulle indagine di allora, la notizia recente che due estremisti tedeschi, legati al terrorista internazionale Carlos, fossero presenti sulla scena dell’attentato. Tale notizia ha rilanciato la teoria, caldeggiata anche dalle memorie di Francesco Cossiga, che la strage possa essere responsabilità del terrorismo palestinese, eppure fin dall’inizio, nonostante alcuni indizi, tale pista non fu mai percorsa dagli investigatori. Angelo Panebianco, dalle pagine di Sette, prova ad avanzare delle ipotesi per queste “mancanze” d’indagine. “negli anni Settanta/Ottanta vigeva quello che Cossiga battezzò il “lodo Moro”, un’intesa tacita fra l’Italia e i movimenti armati palestinesi che assicurava ai loro aderenti un occhio di riguardo, anche sul nostro territorio, da parte delle autorità italiane”. Infatti, secondo i sostenitori della pista palestinese, la stage fu provocata, volutamente, oppure accidentalmente (l’esplosivo detonò mentre alcuni terroristi palestinesi lo stavano trasportando, oppure mentre transitava quale pacco merce spedito dal nord Europa ed Italia e destinato per un altro obiettivo) dai terroristi palestinesi, e se fosse venuta fuori questa verità dalle indagine, sarebbero entrate in crisi il governo democristiano e la sua politica filo-palestinese e filo-araba. Invece “era molto più rassicurante (e creare anche molte meno rogne nei rapporti DC e PCI) ricondurre alla pista nera l’attentato”.
RDF