mercoledì 21 settembre 2011

L'appeasement

Testo di Roberto Di Ferdinando

Nella seconda crisi irachena la scelta diplomatica dei governi di Francia e Germania di non appoggiare gli Stati Uniti nella guerra preventiva all'Iraq, ma di ricercare invece una via pacifica per il disarmo del regime di Bagdad, fu paragonata, da alcuni analisti politici, all'atteggiamento di conciliazione e compromesso (appea-sement) adottato dalla Gran Bretagna negli anni trenta, nei confronti delle iniziative aggressive della Germa-nia di Hitler e dell'Italia di Mussolini.
Il termine inglese di appeasement quindi, dopo molti decenni in cui era rimasto relegato nei testi di storia, ritornò d'attualità. In realtà però cosa è stato l'appeasement? E perché nel tempo ha assunto un valore e-stremamente negativo?
Un'analisi semplicistica potrebbe farci tradurre la parola appeasement come distensione, ma ricorrendo all'Oxford Dictionary entriamo in possesso di una definizione molto più complessa: to buy off an aggressor by concession usually at the sacrifice of principles (tacitare l'aggressore con concessioni, sacrificando i prin-cipi). Il termine contiene un riferimento ad un atteggiamento perdente, un rimando ad una posizione di debo-lezza che costringe a venire a patti con l'avversario. Se inoltre collochiamo quest'atteggiamento nel periodo tra le due guerre, abbiamo chiaro che in quegli anni la Gran Bretagna fu costretta ad affrontare una situazio-ne di continua crisi internazionale, consapevole della propria posizione di fragilità, ereditata dalla fine della Prima Guerra Mondiale. Si rendeva così necessario per gli ambienti politici britannici l'adozione di una stra-tegia di politica internazionale che puntasse, non allo scontro militare, a cui il paese era impreparato, ma al dialogo ed al compromesso con quelle nazioni che potevano rappresentare una minaccia per la pace in Eu-ropa e per l'Impero. Per Londra infatti era indispensabile avere equilibrio e stabilità nel vecchio continente per concentrarsi nella difesa dell'Impero da cui dipendeva la sopravvivenza economica della Madrepatria. L'Impero comprendeva estesi possedimenti in Asia, Africa, Oceano Atlantico e Pacifico. La difesa di questi era garantita dalla marina militare britannica che controllava Gibilterra, Malta, Suez ed era presente nel Mar Nero.
La nascita dell'appeasement avvenne così nel momento in cui la Gran Bretagna avvertì la propria debolezza e la contemporanea presenza di minacce per i propri interessi in Europa e nel mondo.
Appeasement negli anni venti?
Alcuni storici individuano l'avvio di questa politica britannica di conciliazione già negli anni venti, partendo dalla constatazione che la Gran Bretagna, seppur vincitrice, usciva pesantemente indebolita economicamen-te e militarmente dalla Prima Guerra Mondiale. Durante il conflitto era dovuta ricorrere ai prestiti degli Stati Uniti che andavano ora rimborsati; lo sforzo militare era stato ingente e si trovavano molte difficoltà finanziare per riammodernare e ricompletare i settori della difesa. La recessione internazionale inoltre, nella prima metà degli anni venti, era stata affrontata con un'errata politica monetaria (rivalutazione della sterlina) che aveva reso i prodotti inglesi troppo cari, gettando in crisi ampi settori industriali, con gravi conseguenze sociali. Contemporaneamente a queste difficoltà interne corrispondeva in politica estera una certa disponibilità del governo di Londra a fare concessioni alla Germania ed all'Italia. Nel gennaio 1923 l'occupazione militare del bacino carbosiderurgico tedesco della Ruhr da parte della Francia, come punizione per il mancato rispetto da parte della Germania delle riparazioni di guerra, previste dal trattato d pace di Versailles del 1919, spinse Londra a prendere le difese di Berlino. Definì l'operazione un grave errore ed accusò la Francia di generare ulteriori divisioni tra gli europei. La Gran Bretagna colse l'occasione per condannare il sentimento francese di révanche contro Berlino, che era stato alla base del duro trattato di pace imposto alla Germania.
Oppure nell'ottobre 1925 quando la Gran Bretagna svolse la funzione di garante del Trattato di Locarno. Il Trattato prevedeva l'accordo tra la Francia e la Germania di non modificare con la forza i confini (Alsazia e Lorena) fissati sempre a Versailles. Ma il Ministro inglese, il conservatore Austen Chamberlain, non fece pressioni su Berlino perché confermasse ufficialmente i propri confini ad est, con la Cecoslovacchia e la Polonia, con quegli stessi stati contro i quali, tredici anni più tardi, si abbatteranno le rivendicazioni territoriali di Hitler.
Riguardo l'Italia di Mussolini il governo conservatore presieduto da Stanley Baldwin appoggiò Roma presso la Società delle Nazioni (l'associazione di stati sorta a Versailles per mantenere la pace nel mondo) contro la Grecia nella crisi di Corfù. La crisi aveva come pretesto l'uccisione, in un attentato sul confine greco-albanese, di alcuni delegati italiani, componenti di una commissione internazionale; ma trovava origine nell'espansione dell'influenza italiana in Albania. Mussolini come rappresaglia bombardò ed occupò l'isola greca. La Gran Bretagna, che insieme alla Francia controllava politicamente l'organizzazione di Ginevra, di fronte alla minaccia italiana di abbandonare la SdN riconobbe i diritti di riparazione dell'Italia. Mussolini infatti riscontrava una certa stima a Londra, gli era riconosciuta la capacità di aver riportato l'ordine sociale in Italia, sebbene con strumenti non democratici (in quegli anni gli inglesi ritenevano che qualsiasi male è minore del fermento sociale). Questa stima sarà alla base dei buoni rapporti tra Gran Bretagna ed Italia fino alla seconda guerra mondiale, con l'eccezione della parentesi della crisi etiopica del 1935. Sebbene poi già negli anni venti fu proprio la Gran Bretagna ad aprire le porte dell'Africa al regime fascista, infatti è del 1925 il riconoscimento britannico di interessi economici italiani in Etiopia e della cessione di Jarabub sul confine tra Egitto e Libia.
Questi avvenimenti non possono però farci credere che, già negli anni venti, la Gran Bretagna potesse pen-sare all'appeasement. Tali scelte britanniche non preludevano ad una strategia precisa di politica estera, si presentavano invece come scelte del momento, in relazione a situazioni diverse e particolari. L'Italia e la Germania non rappresentavano così una minaccia per Londra ed il suo Impero. Mussolini era infatti impe-gnato nella fascistizzazione dell'Italia ed in politica estera le ambizioni imperialiste del regime erano ancora lontane, mentre la Germania, uscita dalla Prima Guerra Mondiale sconfitta, era la debole Repubblica di Weimar, assalita da una grave crisi istituzionale ed economica. Potremmo invece ritenere che l'atteggiamen-to britannico nell'appoggiare Berlino e nel limitare il desiderio di vendetta francese nei confronti della Germa-nia, avesse come scopo l'eliminazione di motivi d'instabilità nel cuore dell'Europa, in un momento in cui gli interessi britannici erano rivolti al di fuori del vecchio continente. Nell'Oceano Pacifico la Gran Bretagna ave-va infattiun'alleanza dal 1902 con il Giappone. Il Giappone però era riuscito, durante la Prima Guerra Mon-diale, ad aumentare il controllo su alcune importanti zone strategiche (Corea e Siberia orientale), minaccian-do gli interessi economici degli Stati Uniti (principio della porta aperta). Londra, su consiglio di Washington non rinnovò l'alleanza con Tokyio, ma la sostituì con un'accordo militare-navale con gli Stati Uniti. Inoltre per limitare ulteriormente l'azione giapponese nel 1922 fu firmato a Washington un trattato per il disarmo navale che dette per oltre un decennio la supremazia navale nel Pacifico agli Stati Uniti ed alla Gran Bretagna.
L'ascesa di Hitler
Corretto invece è collocare la nascita dell'appeasement britannico intorno alla metà degli anni trenta. In quel periodo Londra stava cercando di uscire dalla crisi economica ereditata dalla depressione americana del 1929. Gli stretti rapporti finanziari con gli USA ed una cattiva gestione dell’emergenza economica avevano accentuato nel paese i fenomeni recessivi, provocando alta disoccupazione e inevitabili tensioni sociali.
Contemporaneamente in campo europeo la nascita di una Germania forte, in un sistema politico internazio-nale incerto e debole, poteva rappresentare un elemento di preoccupazione. Nel 1935 la Germania non era più la debole Repubblica di Weimar ed era percepita come una possibile minaccia.
Eppure fino ad allora l’ascesa al potere di Hitler era stata interpretata dalla Gran Bretagna in maniera positi-va, in quanto rappresentava la garanzia per la formazione di un governo forte e stabile, in una Germania de-bole ed in crisi, favorendo la ripresa economica tedesca in modo tale da opporsi all’influenza francese sul continente e creando un equilibrio in Europa. Londra aveva giudicato il Trattato di Versailles eccessivo nei riguardi di Berlino e aveva manifestato la disponibilità ad una sua modifica. Infine negli ambienti politici d’oltremanica si elogiava il carattere anticomunista propagandato dal nazionalsocialismo tedesco, ma anche dal fascismo italiano; in Gran Bretagna, attraversata nuovamente da gravi difficoltà economiche e tensioni, infatti ancora vivo era il ricordo della crisi sociale suscitata dallo sciopero delle Trade Unions del 1926 che aveva paralizzato il paese per quasi un anno e diffuso la paura per il bolscevismo.
Nel 1935 però i programmi di Hitler per una grande e potente Germania e la nazificazione del paese inizia-rono a spaventare Londra. Il nuovo Primo Ministro, il conservatore Baldwin, auspicava quindi l’instaurazione di un clima di pacificazione e d’equilibrio fra i vari soggetti europei, in modo tale da poter lasciare la Gran Bretagna libera di occuparsi dei propri possedimenti al di fuori dell’Europa. Londra però non doveva preoc-cuparsi solo della Germania in Europa, ma anche delle aspirazioni italiane nel Corno d'Africa, porta d’accesso ai Dominions dell’Asia. Non solo, dal 1931 la presenza militare giapponese in Cina si faceva sem-pre più pressante; anche l’Asia era minacciata.
Sulla carta la Gran Bretagna controllava bene il canale di Suez grazie ai mandati amministrativi sulla Pale-stina, aveva inoltre basi militari in Iraq, Palestina, Transgiordania (attuale Giordania) ed Egitto. Era anche presente sulla costa orientale del Mar Rosso, grazie alla sua politica di influenza in Arabia ed il controllo di Aden. Ma in realtà questo controllo non era totale. Le navi erano vecchie, la Marina spendeva tutti i soldi per mantenere e difendere la base navale di Singapore che era fondamentale per il controllo dei domini dell'E-stremo Oriente. Il Mediterraneo rimase quindi un punto centrale proprio in un momento di debolezze. La stra-tegia diventava quella di non mantenere la flotta nei punti chiave dell'Impero, perché non c'erano risorse per farlo, ma di spostarla rapidamente per le necessità. La strada Mediterraneo-Suez-Mar Rosso divenne allora fondamentale per arrivare a Singapore, che fra le due guerre si trasformò in una priorità assoluta.
Il governo britannico non poteva intervenire con la propria flotta contemporaneamente in tutte le aree impe-riali per contrastare le varie minacce. Si rendeva così necessario giungere ad un compromesso con gli av-versari. L’appeasement diventava una strategia obbligata.
Dal febbraio del 1932 a Ginevra si prolungavano lentamente i lavori della Conferenza per il disarmo genera-le. La Germania chiedeva la fine degli obblighi militari imposti dal trattato di Versailles e rivendicava il princi-pio del Gleichberectingung, cioè la parità dei diritti tedeschi in materia di armamenti. Il Cancelliere tedesco Bruening che doveva affrontare l'opposizione nazista interna aveva bisogno di un successo; anche se la Germania stava già attuando segretamente un riarmo grazie agli accordi con l'URSS, avviati nel 1921, che consentivano a reparti tedeschi di sperimentare nuove armi e compiere esercitazioni sul suo territorio. Se gli inglesi ed americani non erano contrari a riconoscere il riarmo tedesco, i francesi si opposero invece in ma-niera decisa. I contrasti riguardo il riarmo tedesco durarono fino all'ottobre del 1933, quando Hitler, salito al potere nove mesi prima, decise di abbandonare la conferenza e la Società delle Nazioni. Non solo, nel mar-zo del 1935 Hitler annunciò la ripresa della coscrizione militare obbligatoria. Questa violazione avrebbe potu-to dare il via libera a Francia, Italia e Gran Bretagna per attuare severe reazioni, compreso l'uso della forza; ma si ebbero solo dure denunce, ogni paese infatti continuò le proprie azioni unilaterali per perseguire i pro-pri interessi nazionali. Hitler approfittando delle divergenze tra i suoi antagonisti europei avanzò agli inglesi la proposta di un disarmo navale che avrebbe stabilito che la Germania avrebbe potuto costruire naviglio da guerra per una stazza sino al 35% di quella posseduta alla Gran Bretagna. La percentuale poteva salire al 45 per i sottomarini, con la possibilità di superare questo limite in modo unilaterale dopo un colloquio con il governo britannico. Nel 1935 la Gran Bretagna firmando un patto navale con la Germania, manteneva la su-premazia della flotta britannica. Londra non potendo potenziare la propria forza navale imponeva a quella tedesca un limite, ma riconosceva così il diritto a Berlino di riarmarsi. La soddisfazione della Gran Bretagna di aver ottenuto un risultato positivo, non poteva nascondere le preoccupazioni degli altri paesi, che vedevano, dopo la coscrizione obbligatoria decisa unilateralmente dalla Germania, il potenziamento militare di Hitler avvallato dal governo di Londra.
Minaccia italiana
Inaspettata fu certamente l’operazione militare italiana in Etiopia. Londra era a conoscenza degli interessi di Roma in Africa, ma in quel momento si credeva che le minacce reali per le colonie provenissero non dall'Ita-lia, ma dalla Germania e dal Giappone. Il governo di Tokyo infatti dal 1931 combatteva una guerra non di-chiarata contro la Cina, che lo aveva portato ad occupare la Manciuria ed ad uscire dalla SdN, mentre nel 1935 aveva ripudiato gli accordi di Washington del 1922, puntando al riarmo navale.
L’iniziativa italiana andava a interessare una zona strategica per i britannici, eppure la Gran Bretagna non sembrò adottare come risposta un atteggiamento di aperta ostilità. Infatti la SdN, controllata da Londra, e-manò sanzioni che però non comprensero l'embargo petrolifero all'Italia, inoltre il governo britannico non si preoccupò di chiudere il canale di Suez alle navi italiane. Tale scelta era giustificata dal fatto che Londra pensava di risolvere la questione tramite un accordo con l’Italia, il quale poteva disciplinare la presenza di Roma nel Corno d’Africa. L’interesse britannico ad un’intesa con Roma risiedeva nel fatto che il regime fa-scista, impregnato di imperialismo e desideroso di ottenere successi prestigiosi in campo internazionale, rappresentava un pericolo in un'area così importante come quella del Canale di Suez. Inoltre in un periodo di tensioni internazionali (il Giappone in Asia, la Germania in Europa) era bene tenere sotto controllo almeno l'Italia. Ma l'accordo per responsabilità comuni non fu concluso; l'Italia con enormi difficoltà occupò l'Etiopia e la Gran Bretagna vide iniziare a saltare il precario equilibrio internazionale.
Infatti ad approfittare di questa crisi internazionale fu la Germania. L’intervento italiano in Etiopia e la scarsa opposizione della SdN convinse Hitler a ritenere l’operazione africana come il risultato di un’intesa italo-britannica per formare un fronte antitedesco. Per risposta Hitler attuò la già da tempo prevista rimilitarizza-zione della Renania. Il Trattato di Versailles aveva previsto che su una fascia del territorio germanico profon-da 50 km dalla riva sinistra del Reno il governo di Berlino non avrebbe potuto far stazionare proprie truppe. La violazione di questi articoli avrebbe permesso a Gran Bretagna e Francia la difesa attiva, cioè intervenire militarmente in territorio tedesco per respingere il riarmo della regione. Il 7 marzo 36.000 soldati tedeschi rioccuparono la Renania. Britannici e francesi sebbene autorizzati non intervennero convinti che Hitler avesse impiegato nell'operazione oltre 100.000 soldati. Londra non voleva provocare uno scontro militare, dagli incerti risultati, per impedire a Berlino di rientrare in possesso di una parte del proprio territorio. Per la prima volta la Germania alterava con la forza l'ordine impostole 15 anni prima a Parigi. Così Hitler di fronte alla mancata reazione dei garanti di Versailles si sentiva più forte ed autorizzato a continuare la sua politica d'e-spansione. Toccava adesso ai confini ad est.
Instabilità in Europa
La Guerra Civile Spagnola portò il Mediterraneo al centro delle preoccupazioni britanniche. La partecipazione in Spagna di “volontari” fascisti italiani allarmò Londra, la quale intravedeva in tale iniziativa un interesse italiano, poi dimostratosi non reale, per il controllo delle coste meridionali spagnole e delle isole Baleari. Per la Gran Bretagna fu necessario; per tutelare i propri interessi nella regione e regolare quelli italiani, proporre all’Italia un patto (gentlemen’s agreement) firmato nel 1937 che, muovendo dal presupposto della cessazio-ne dell'intervento italiano in Spagna, vincolasse le due parti a non modificare lo status quo nell’area mediter-ranea. Tale intesa fu completata con gli Accordi di Pasqua del 1938, voluti dal nuovo Primo Ministro britannico, Neville Chamberlain, più interessato dei suoi predecessori ad avvicinare l’Italia. L'accordo prevedeva fra l'altro uno scambio di informazioni sui movimenti amministrativi e militari nei territori rispettivamente controllati confinanti con il Mediterraneo, il Mar Rosso e il Golfo di Aden. Impegno ad evitare contrasti nelle rispettive politiche mediorentali e conteneva una garanzia di riconoscimento dell'indipendenza e integrità dell'Arabia Saudita e dello Yemen. Inoltre reciproca dichiarazione di rispettare la convenzione di Costantinopoli del 1888 che stabiliva "in tutti i tempi e per tutte le potenze" la libera navigazione lungo il Canale di Suez. Infine la procedura di disimpegno delle forze italiane dalla Spagna, l'assenza di mire territoriali sulle isole Baleari o su altri possedimenti spagnoli, e disponibilità britannica di operarsi all'interno della SdN per rimuovere quegli ostacoli diplomatici al riconoscimento della sovranità italiana in Etiopia.
Intanto un'altra questione si apriva nel cuore dell'Europa: il destino dell'indipendenza dell'Austria.
Hitler puntava all'Anschluss: l'annessione dell'Austria alla Germania. Era quest'iniziativa vietata dal Trattato di Versailles, ma Berlino sapeva che niente era impossibile. Contrari all'annessione era stato Mussolini, pre-occupato che la Germania potesse minacciare l'Alto Adige, dove la maggioranza della popolazione era di lingua tedesca. Ma negli incontri personali tra Hitler e Mussolini il Führer tranquillizzò gli italiani. Nei piani te-deschi non vi era il Sud Tirolo. Inoltre Mussolini si era dichiarato difensore dell'indipendenza austriaca fino al 1936, cioè quando questa posizione gli aveva permesso di avere l'appoggio francese per l'iniziativa in Etio-pia. Ma nel 1938 ottenuto il controllo dell'Etiopia, visto l'interesse inglese di dialogare con la Germania e la crisi politica francese, Mussolini non aveva intenzione di entrare in contrasto con la Germania per l'Austria. Hitler doveva quindi convincere britannici e francesi riguardo l'annessione. Non fu un'impresa difficile. All'in-terno del governo conservatore britannico guidato da Chamberlain, i ministri degli esteri, prima Anthony E-den e poi Lord Halifax, erano convinti sostenitori di giungere brevemente ad un compromesso con la Ger-mania. Chamberlain invece puntava ancora alla realizzazione di un fronte internazionale che spingesse di-plomaticamente la Germania ad accettare un accordo in cui s'impegnava a non alterare l'equilibrio europeo. Nel 1937 Halifax incontrando Hitler e Goering riferì che una modifica dell'assetto internazionale in riferimento all'Austria, a Danzica ed alla Cecoslovacchia, sarebbe potuta essere accettata dalla Gran Bretagna, se fosse avvenuta pacificamente. Hitler fu convinto che aveva mano libera. La crisi politica interna alla Francia non permetteva a Parigi di ergersi come unico difensore del sistema di Versailles, anzi fu costretta ad allinearsi alla strategia britannica. Nel marzo del 1938 Hitler, agendo tramite propri esponenti, favorì un colpo di Stato a Vienna. La Repubblica austriaca cessava di esistere.

La conferenza di Monaco
Le vicende di Vienna e le pretese di Hitler verso la Cecoslovacchia rendevano la Germania un pericolo reale. E’ vero che la Germania stava riconquistando territori di lingua e cultura tedesca che le erano state tolte a Versailles, ma la preoccupazione era se Hitler si sarebbe fermato. Se questo non fosse accaduto fino a che punto le potenze democratiche sarebbero state con lui concilianti? Chamberlain sapeva che oltre una certa soglia lo scontro sarebbe stato inevitabile, ma la Gran Bretagna non era ancora pronta ad affrontarlo, si ren-deva necessario continuare a dialogare con gli avversari. Oltre alla propria impreparazione Londra non pote-va contare su alleati validi (Francia) od affidabili (URSS).
In questo clima si sollevò la questione della Cecoslovacchia. Essa nasceva riguardo al territorio dei Sudeti, un'estesa regione montana ad est della Germania, con popolazione di lingua tedesca, che a Versailles era stato deciso di annettere al nuovo stato della Cecoslovacchia (nato dall'unione della Boemia-Moravia, Alta Slesia e Slovacchia). Il Ministro degli Esteri britannico, Lord Halifax, aveva avvertito i tedeschi che se la Francia avesse attaccato la Germania, in risposta all’invasione tedesca della Cecoslovacchia (in base all’accordo di mutua assistenza del 1935 che legava Parigi e Praga) sarebbe stato impossibile per la Gran Bretagna non essere trascinata nel conflitto. Hitler aveva forse raggiunto quel punto, oltrepassando il quale sarebbe stato il responsabile dello scontro armato. In questo momento Hitler si convinse che la Gran Breta-gna rappresentava il prossimo nemico da sconfiggere. Ma anche la Germania non era pronta ancora per una guerra. Le gerarchie militari tedesche erano, in parte, contrarie all’avventura bellica; esisteva infatti un piano di occupazione della Cecoslovacchia, ma non un piano per un conflitto più ampio. Chamberlain, nell'estate del 1938, visitò più volte Berlino, Parigi e Praga con l'intento di far accettare il principio che la Cecoslovacchia potesse fare concessioni territoriali purché il restante territorio fosse garantito dalla Francia e dalla Gran Bretagna. Hitler rispose che non vi era più tempo per negoziare e pose un ultimatum per 1° ottobre, passato il quale vi sarebbe stata un'azione militare. L'attivismo di Chamberlain per favorire un dialogo tra le parti che scongiurasse la guerra, tolse Berlino dalla situazione delicata di essere la causa del conflitto. Hitler capì che la diplomazia britannica lavorava allo spasimo per evitare la guerra. La mediazione di Chamberlain portò così all’inutile Conferenza di Monaco, in quanto ormai tutto era stato deciso nel momento in cui Hitler aveva posto l’ultimatum alla Gran Bretagna e alla Francia. La Conferenza fu conclusa il 30 settembre con un'accordo che tra i vari punti stabiliva l'evacuazione cecoslovacca dai Sudeti a partire dal 1° ottobre. Chamberlain rientrò a Londra esibendo la copia dell'accordo di Monaco annunciò che la guerra era stata evitata. Era la verità; ma per quanto tempo ancora la pace sarebbe durata?
Alcuni mesi più tardi, nel marzo del 1939, Hitler, attraverso una politica di minacce, costrinse i leader politici delle regioni costituenti la Cecoslovacchia a cedere. In 15 giorni Praga, Bratislava e la regione più ad est, la Rutania, furono occupate da truppe tedesche. Hitler per la prima volta controllava territori non di lingua tede-sca. La Conferenza di Monaco, sebbene vide il trionfo della diplomazia sulla guerra, non impedì ad Hitler di aprirsi la strada per la conquista dell'est e di sottomettere milioni di persone alla Germania nazista. Da quel momento il termine appeasement fu abbinato alla Conferenza di Monaco ed assunse un significato estre-mamente negativo. Neville Chamberlain, non fu però l'artefice dell'appeasement, ma l'ereditò da altri come strategia del compromesso, che nasceva dalla consapevolezza della debolezza della Gran Bretagna.
Dopo l’occupazione della Cecoslovacchia gli interessi della Germania puntavano alla Polonia. A Versailles era stato stabilito che la Prussia fosse divisa dalla Germania centroeuropea tramite un corridoio che giunge-va fino al Mare del Nord, a Danzica, città posta sotto il controllo delle SdN. Hitler pensava non solo di ridare continuità geografica alla Germania eliminando il corridoio di Danzica, ma sapeva che il controllo della Polo-nia significava il dominio nell'Europa centro-orientale. Vi erano però degli ostacoli. La Polonia infatti era legata da un alleanza con la Francia ed inoltre un'operazione militare in quella regione voleva dire coinvolgere anche l'URSS. La Gran Bretagna e la Francia di fronte alle pretese tedesche sulla Polonia avvertirono Berlino che avrebbero difeso, militarmente l’indipendenza, ma non il territorio della Polonia (in Gran Bretagna iniziò a diffondersi il detto: "Ma perché morire per Danzica?"). Londra ribadì il principio per il quale il Trattato di Versailles poteva essere modificato, e Danzica rientrava in questi termini, ma le richieste di Hitler andavano oltre la Danzica tedesca. I britannici e i francesi si convinsero che difficilmente l’espansionismo tedesco sarebbe stato fermato con mezzi diplomatici. Nei confronti dell'Unione Sovietica Berlino si tutelò firmando, nell'agosto del 1939, il patto di non aggressione con Mosca ( patto Ribbentrop-Molotov), che permise alla Germania di pensare in un secondo tempo allo scontro con l'URSS.
L’invasione della Polonia scatenò il conflitto. Hitler aveva superato il limite oltre il quale la Gran Bretagna non era più disposta a cedere.
Fine dell'appeasement
Lo scoppio della guerra pose fine alla strategia dell’appeasement del governo di Londra. Dopo l’occupazione della Polonia, l’apertura di Berlino verso Londra, perché si raggiungesse un accordo di pace che regolasse il nuovo assetto dell’Europa orientale, venne respinto da Chamberlain, per il quale era impossibile ricevere garanzie e pace dalla Germania nazista. Inoltre durante i drammatici giorni di Dunkurque la pressione interna al governo di Londra perché si raggiungesse ad una soluzione con i tedeschi che garantisse la salvezza del Regno Unito fu contrastata da Churchill; la guerra doveva continuare fino alla definitiva sconfitta di Hitler, "Combatteremo sulle spiagge, sui mari, sulle colline, ma non ci arrenderemo mai".
Comunque furono presenti nel panorama politico britannico esponenti ancora favorevoli alla pace con l’Hitler vincitore. Infatti una storiografia più sensazionalista riferisce che il Duca di Windsor, che salì al trono nel gennaio1936 con il nome di Edoardo VIII per poi abdicare nel dicembre per poter sposare l'americana, non nobile, Wallis Warfield Simpson, fosse un sostenitore della politica di appeasement. Non solo, fu fatto allontanare dalla Gran Bretagna (nel luglio del 1940 fu nominato rappresentante della corona nel possedi-mento delle Bahamas), perché al centro di un piano che lo voleva a capo a Londra di un governo fantoccio che firmasse un accordo di pace con la Germania. A sostegno di questa tesi ci si riferisce anche alla miste-riosa missione, nel maggio del 1941, di Rudolf Hesse (fu l'inviato di Hitler a Londra per trattare la pace?). Negli ambienti conservatori inglesi infatti la preoccupazione principale era il socialismo, ed un'unione tra Gran Bretagna e Germania contro il pericolo sovietico non era totalmente respinta.
La politica britannica di appeasement era nata per difendere l’Impero dalle diverse e contemporanee minac-ce (Germania, Giappone, Italia), ed allontanare i rischi di una guerra per la quale Londra era impreparata (debolezza economica e militare). Eppure nel 1939 la Gran Bretagna fu costretta, ancora impreparata, ad entrare in guerra, alla fine della quale sarebbe uscita ancor più indebolita ed incapace di opporsi al processo di decolonizzazione.
Il governo di Londra era riuscito ad individuare i pericoli (minacce all’Impero e guerra), ma l’appeasement gli aveva permesso solo di rinviarli. Al di là dei limiti di tale politica, di fronte all’espansionismo tedesco, la Gran Bretagna non era riuscita a dotarsi di una strategia alternativa alla conciliazione, che coinvolgesse, in maniera più diretta, la Francia e l’URSS in un fronte antitedesco.
RDF
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Approfondimento

L'appeasement francese
Negli anni venti la Francia si era dimostrata estremamente decisa nei confronti della Germania, ma la Ger-mania, uscita sconfitta dalla Prima Guerra Mondiale, era la debole Repubblica di Weimar, che assalita da una profonda crisi economica e da attacchi politici interni, fu vittima di colpi di stato promossi da gruppi di estrema sinistra ed di estrema destra. All'inizio degli anni trenta il comportamento dei governi francesi nei confronti della Germania sembrò invece cambiare. La Francia fu attraversata da una grave crisi politica, nel 1932 si succedettero 5 governi, mentre nel 1933 le difficoltà istituzionali si accompagnarono a quelle econo-miche. Contemporaneamente all'ascesa di Hitler in Germania, in Francia trionfava la linea diplomatica del Ministro degli esteri Joseph Paul-Bancour, che confidava nella possibilità di ripescare formule di sicurezza collettiva (accordi internazionali) per limitare la Germania in Europa ed il Giappone in Asia. Ma nel 1934 la costituzione di un governo di solidarietà nazionale guidato da Gaston Doumergue, vide occupare il Quai d'Orsay da Louis Barthou. Barthou era un forte sostenitore della strategia di non dialogo con la Germania di Hitler, in quanto Hitler andava contrastato non favorito nel suo progetto revisionista. Per contrastare la Ger-mania Parigi scelse quindi di aprire all'URSS, fino allora rimasta isolata diplomaticamente. La scelta sovieti-ca della Francia non convinse gli ambienti britannici, da sempre diffidenti del bolscevismo. Il fronte antitede-sco disegnato da Barthou crollò con la morte dello stesso Ministro, caduto vittima di uno spettacolare, quanto misterioso attentato a Marsiglia mentre riceveva il re di Jugoslavia Alessandro I (la responsabilità dell'attentato fu degli estremisti nazionalisti croati di Ante Pavelic; ma a tutt'oggi rimangono dubbi sul coinvolgimento nell'attentato del regime italiano, contrario alla politica balcanica della Francia). Il successore di Barthou fu Pierre Laval, convinto nell'abbandonare il legame con Mosca per recuperare invece l'intesa con Gran Bretagna ed Italia.
La linea diplomatica francese fu nuovamente stravolta nella primavera del 1936, quando le elezioni furono vinte dal Fronte Popolare, ed entrò a far parte del governo, guidato da Leon Blum, anche il partito comuni-sta. Le linee di politica estera furono dettate dal Ministro degli esteri, Yvon Delbos, ed dal segretario generale Léger, che predilessero l'aiuto ai repubblicani spagnoli e l'adozione di una politica di basso profilo nei confronti di Italia e Gran Bretagna. Ma la scelta di non intervento nella guerra civile spagnola, voluta da Gran Bretagna, URSS, Germania ed Italia, fu accettata anche dalla Francia, mettendo in crisi il Cartello delle sinistre e riportando alla paralisi la vita politica francese. Blum tornò brevemente al governo nella primavera del 1938. Il governo cadde e fu sostituito da quello guidato da Edouard Daladier e dal suo Ministro degli esteri Georges Bonnet, i quali sebbene convinti delle intenzioni aggressive di Hitler, continuarono per una politica di conciliazione con la Germania, e nel dicembre del 1938 firmeranno a Parigi con il Ministro degli esteri tedesco Joachim Von Ribbentrop un accordo di non aggressione. Si riconobbero solennemente come definitive le frontiere esistenti fra i due paesi. I tedeschi riferirono però che nei colloqui, Bonnet, indirettamente, aveva riconosciuto l'influenza germanica nell'Europa dell'est. Da quel momento la Francia non potette che rassegnarsi alla politica britannica di ricercare un'intesa con la Germania riguardo l'Europa.
RDF
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Bibliografia orientativa
E. Di Nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali 1918-1999, GLF Editori Laterza, Roma, 2000.
J. B. Duroselle, Storia Diplomatica dal 1919 al 1970, Edizioni dell'Ateneo, Roma, 1972.
A. Eden, Le Memorie di Anthony Eden-Di fronte ai dittatori 1931-1938- Garzanti, Milano, 1962.

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