mercoledì 30 marzo 2011

I giannizzeri di Gheddafi

(fonte Corriere della Sera-Wikipedia), a cura di Roberto Di Ferdinando

Assediato dai raid NATO, Gheddafi sta organizzando la sua ultima difesa ed a Tripoli, oggi la sua roccaforte, mandate vie le famose amazzoni, le guardie del corpo donne, il rais si circonda degli uomini della prima fila, i suoi fedelissimi “giannizzeri”. Militari disposti a tutto per difendere il loro capo a cui sono devoti. Infatti il regime li ha reclutati bambini, li ha fatti studiare ed addestrati, facendoli diventare un corpo paramilitare d’elite. La loro caserma è a Zanzour, che già in passato aveva ospitato, appunto, i giannizzeri. Il termine giannizzero deriva dal turco yeniçeri, cioè nuove truppe, e si riferisce alla fanteria che formava la guardia personale e dei beni del Sultano ottomano. Creato nel XIV secolo fu abolito e sterminato dal Sultano Mahmud II nel 1826. I giannizzeri formarono il primo esercito regolare ottomano, gli incaricati del sultano obbligarono le comunità cristiane che vivevano in ambiente rurale a cedere i loro figli più robusti tra l'età dei 6 e 9 anni per addestrarli alla vita militare come giannizzeri. L'addestramento avveniva in un clima di rigida disciplina, erano obbligati a rispettare il celibato ed il Sultano era considerato padre de facto di ogni soldato.
I moderni giannizzeri hanno il compito, più che militare, quello di difendere Gheddafi da eventuali attentati, oltre a montare la guardia ai vari bunker della famiglia del rais, oltre a quello di Bab El Aziziya di Tripoli, ne esistono altri, costruiti negli anni Ottanta da società svizzere, su più livelli sotterranei ed in collegamento tra loro.
RDF

lunedì 28 marzo 2011

Ancora sulla Libia

A completamento del mio commento dei giorni scorsi, vorrei qui aggiungere delle precisazioni.
I precedenti e recenti interventi sotto egida ONU (Afghanistan ed Irak), furono anch’essi carichi di perplessità e dubbi. In Afghanistan, subito dopo l’11 settembre, l’intervento militare fu “motivato” dalla desiderio USA di intervenire per vendicarsi dell’attacco subito dal terrorismo internazionale e dimostrare, più verso l’interno che l’esterno, con un gesto di forza, che il paese non era in ginocchio. In quel momento storico, nel 2002, il governo talebano, inviso quasi a tutto il mondo, era il nemico ed obbiettivo ideale da colpire. Ovviamente i legami tra il governo talebano ed il terrorismo internazionale furono evidenti, ma mai accertati e quindi delle perplessità, sacrificate sull’altare dell’interventismo e della solidarietà agli USA feriti, vi furono anche lì.
Ancora maggiori i dubbi dell’opinione internazionale sull’intervento per abbattere Saddam Hussein, un altro dittatore sanguinario, come Gheddafi, ma in quella stagione, 2003, ritenuto molto pericoloso, una minaccia per il suo arsenale di missili chimici (risultati poi convenzionali) ed il finanziamento alla rete terroristica internazionale (questo invece verificato). Ma anche allora, la lotta al terrorismo sembrava ritenere necessario questo uso della forza.
Se torniamo, invece, indietro negli anni, vediamo l’intervento militare-umanitario in Serbia e in Kosovo, voluto dal presidente Clinton e gestito dalla Nato (con partecipazione prevalente di paesi a guida socialdemocratica, come l’Italia), ma senza alcuna autorizzazione ONU. In quell’occasione le bombe furono sganciate per fermare l’eccidio dei kosovari da parte della pulizia etnica serba, tale operazione portò alla cessazione delle violenze, di lì a poco alla caduta del regime di un altro violento tiranno, Milosevic, ed alla nascita di una nuova entità geografica e riconosciuta internazionalmente (la Repubblica Kosovara). Ma non mancò chi, in quell’occasione, criticò l’intervento militare NATO, ritenuto difatti un’ingerenza nei fatti interni di un paese; alla fine però solo discussioni dottrinali, in effetti solo grazie all’intervento militare, e senza l’ONU, fu possibile fermare, fortunatamente, la ferocia delle violenze serbe.
Precedentemente, invece, era fallito nel sangue, l’intervento ONU in Somalia, a guida USA, passato alla storia come il primo intervento militare-umanitario, per fermare le violenze interne nel Corno d’Africa. Dopo vent’anni la Somalia è ancora a pezzi, i caschi blu infatti si ritirarono in silenzio dalle sabbie somale dopo pochi mesi dal loro plateale sbarco (ripreso in diretta dalle televisioni internazionali), contando morti e feriti.
Detto questo, Gheddafi, oggi è più pericoloso degli allora Milosevic, governo talebano e Saddam Hussein? Nella rivolta libica, il governo locale si è reso responsabile di violenze tali da giustificare un intervento militare-umanitario internazionale? La ribellione in Libia è una questione interna o internazionale? Perché l’ONU ed il suo braccio armato, l’Alleanza dei Volenterosi, ha deciso di prendere parte, appoggiando una parte del conflitto? Infatti, negli interventi in Afghanistan ed Irak non vi furono fazioni contrapposte in uno scontro militare. Gli avversari allora furono i regimi sovrani di quei paesi, rei di una illecita condotta internazionale più che per il non rispetto dei diritti fondamentali nei confronti delle loro popolazioni, come invece, allora si sbandierò, altrimenti, seguendo questo secondo criterio, l’ONU dovrebbe autorizzare il bombardamento, ad esempio della Corea del Nord, di Cuba, dell’Iran, di parte dell’Africa ed anche della Cina, ipotesi fantastiche, irrealizzabili nell’ultimo caso, infatti Pechino e membro permanente del Consiglio di Sicurezza, l’organo autorizzato a concedere l’uso della forza agli stati membri, ed ha, inoltre, il diritto di veto. Proprio in questo momento e così, le Nazioni Unite dimostrano tutti i loro limiti, un’istituzione da rivedere.
RDF

sabato 26 marzo 2011

SenzAtomica, trasformare lo spirito umano per un mondo libero da armi nucleari


La Soka Gakkai Internazionale, Organizzazione Non Governativa dell'ONU, nel 2007 ha avviato un decennio di educazione al disarmo nucleare attraverso mostre, campagne di sensibilizzazione e forum che hanno coinvolto cittadini di tutto il mondo. Dopo aver toccato molte città in tutto il mondo, questa esposizione, aggiornata e ampliata, approda in Italia e attraverso immagini evocative, installazioni allegoriche e testi esplicativi su pannelli, si prefigge di stimolare una riflessione individuale volta a sfidare la logica delle armi nucleari basata sulla diffidenza fra i Paesi.

In questa occasione la mostra Senzatomica è stata allestita a Firenze, dal 26 marzo al 16 aprile 2011. Divisa in quattro sezioni, la mostra pone l’accento sui seguenti punti:
- Garantire il diritto alla vita di tutti i popoli.
- Passare dalla sicurezza basata sulle armi alla sicurezza basata sul soddisfacimento dei bisogni fondamentali degli esseri umani.
- Cambiare la visione del mondo: da una cultura della paura a una cultura della fiducia reciproca.
- Le azioni che costruiscono la pace.

L’esposizione è anche l’occasione per riflettere su temi di ampio respiro come la responsabilità sociale della scienza, la responsabilità nei confronti delle generazioni future, l’impatto ambientale dei test nucleari, le spese per gli armamenti, l’inaccettabilità delle “piccole bombe atomiche” per colpire obiettivi sotterranei circoscritti.
Viene inoltre proposta la realizzazione di un “percorso bambini” che consente di
accogliere in maniera adeguata alla loro età il pubblico dei più piccini. Sarà inoltre disponibile materiale didattico, anche scaricabile on line, in modo che il
percorso educativo alla pace possa essere intrapreso o approfondito anche nelle scuole.

Lo scopo di tutte le iniziative Senzatomica è stimolare un movimento globale per la vita che punti a una “dichiarazione per l’abolizione delle armi nucleari da parte della popolazione mondiale” da sottoporre all’Assemblea Generale dell’ONU entro l’anno 2015 al fine di bandire tutte le armi nucleari dalla convivenza fra i popoli della Terra e realizzare un mondo libero dalla paura della distruzione totale.

Dove: Complesso "Le Pagliere", Viale Machiavelli 24 - Firenze.

Orario: Aperta tutti i giorni fino al 16 aprile 2011, dalle 9:00 alle 22:00, venerdì e sabato chiuderà alle 23:00.


Per informazioni e prenotazioni:
E-mail: info@senzatomica.it
Sito web: www.senzatomica.it
Tel.: 055 4269810 (dalle ore 9.30 alle 13.30 dal lunedì al sabato).

Testo e foto tratte dal sito www.saimicadove.it

venerdì 25 marzo 2011

Perplessità sull’attacco alla Libia

Nei miei post precedenti avevo denunciato come la crisi libica fosse scomparsa dall’attenzione internazionale, complice anche il disastro giapponese. Avevo sottolineato come le iniziali proposte, intenti e denuncie dei Grandi del mondo contro il rais Gheddafi, nei giorni successivi allo scoppio della rivolta in Cirenaica, fossero scemate, ridotte, quasi scomparse dalle agende internazionali. Ma all’improvviso, colpo di scena, ecco l’iniziativa francese che anticipa la risoluzione 1973 ONU che autorizza l’uso della forza da parte di un’”Alleanza dei Volenterosi” e quindi operazioni militari contro il regime del Colonnello. Sinceramente non mi aspettavo tale azione di forza, auspicavo una soluzione diplomatica alla crisi libica, una soluzione all’egiziana, ma come avevo precedentemente scritto la situazione libica, e quindi anche la crisi, è diversa da quelle che hanno vissuto e stanno vivendo la Tunisia e l’Egitto e quindi era, ed è, prevedibile che anche l’epilogo fosse, sia, diverso da quelle. Ma questo non mi sottrae dallo scrivere che nel momento in cui ho saputo dell’attacco militare franco-britannico, poi anche USA, alla Libia di Gheddafi, abbia percepito una certa insofferenza. Infatti non ritengo che l’attacco alla Libia sia una cosa giusta. E’ legittimo, in quanto autorizzato dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’unico organismo predisposto ad autorizzare l’uso della forza (al di fuori dell’istituto dell’autodifesa) contro un altro paese membro, ma comunque l’ho percepita una forzatura (scusate il gioco di parole). Infatti il regime di Gheddafi è un governo sovrano (una dittatura, sanguinaria e violenta, ma comunque un governo sovrano) che amministra e controlla il proprio territorio e quindi, nonostante tutti i limiti democratici è un governo legittimo. Nelle settimane passate parte della popolazione libica ha manifestato il proprio dissenso al regime ribellandosi, usando la forza. In un paese democratico, dove non vi è possibilità di esercitare i diritti di una opposizione pacifica e democratica è inevitabile (naturale?) ricorrerete alla ribellione violenta, ma allo stesso tempo è legittimo, da parte del governo sovrano sedare con l’uso della polizia e dell’esercito, quindi con la forza, una violenta ribellione. La questione, anche etica, è sapere fino a quanto e quale tipo di forza il governo sovrano possa utilizzare per sedare una rivolta interna. Gheddafi lo aveva superato tale limite per subire la risoluzione dell’ONU?
L’intervento militare da parte dei Volenterosi, mira ad evitare che l’esercito libico ed i mercenari al soldo di Gheddafi usino violenza alla popolazione civile e quindi, in parte, anche ai ribelli (quest’ultimi, difatti fanno parte della popolazione civile), ma la risoluzione non parla di abbattere il regime di Gheddafi: lo stanno bombardando, ma non lo vogliono mandare via, è usata la violenza per fermare la violenza del rais. Queste sembrano contraddizioni.
Quindi, pare che l’intervento ONU abbia un primo scopo: sedare le violenze in Libia, con la forza, ma senza avere un progetto più a lungo termine. E questo è pericoloso, perchè si parla di un post Gheddafi in Libia, quando invece lui è ancora a Tripoli, sempre forte e minaccioso (le violenze contro i ribelli continuano), non solo, il Colonnello sta riuscendo a passare agli occhi del mondo arabo come un resistente al colonizzatore occidentale. Si parla di dividere la Libia (sempre che Gheddafi se ne vada) in due regioni, da una parte la regione di Tripoli, l’altra la Cirenaica, un fanta-progetto, infatti quale autorità esterna potrebbe imporre e far accettare uno smembramento di un paese sovrano come la Libia? Sarebbe un delitto di diritto internazionale.
Ancora una perplessità. Non sappiamo molto dei rivoltosi. Vogliono cambiare il paese, ma come? Che forma di governo vorrebbero istaurare? E’ vero che un regime peggiore di Gheddafi non può esserci e non credo che in Libia possa esserci un pericolo fondamentalista, però la diplomazia internazionale avrebbe dovuto prendere, prima, seri contatti con i rappresentanti dei rivoltosi libici, valutare la loro composizione e le loro intenzioni.
Il dubbio è che quindi i Volenterosi si siano imbarcati, con molta leggerezza e senza un piano, in una questione prettamente interna ad un paese sovrano. Lo stesso impegno lo avremmo dovuto pretendere contro la Cina per come fu sedata la rivolta di Piazza Teinnamen, contro il Sudan per gli eccidi del Darfour; e se un giorno a Cuba l’opposizione si ribellasse con le armi, cosa facciamo, bombardiamo l’Havana?
Infine ancora altre perplessità. L’Occidente ed in particolare l’Europa si stanno muovendo male. La Francia per visibilità del suo premier ed interessi economici (una Libia senza Gheddafi sarebbe più aperta ad intese commerciali con Parigi), tirandosi dietro la Gran Bretagna ha deciso di bombardare senza attendere la risoluzione ONU, gli USA prima hanno appoggiato l’iniziativa, poi però si sono defilati, l’amministrazione Obama che ha vinto le elezioni grazie anche ad un messaggio ed ad una svolta pacifista, si trova impegnata su più fronti militari, e non può accettare un altro conflitto. L’Italia, il paese più esposto per le conseguenze negative di questa crisi (accordi commerciali saltati, immigrazione massiccia, instabilità geopolitica in un paese vicinissimo, utilizzo delle proprie basi militari) ha fatto bene a chiedere fermamente che sia l’autorevole Nato a prendere in mano la gestione delle operazioni, e che vi sia un piano coordinato di impegno, ma anche di uscita, da questa crisi. Inoltre non è possibile condannare la mancata partecipazione all’iniziativa militare di altri stati membri UE, tra tutti la Germania, forse sarebbe stato meglio che la UE avesse parlato con una unica voce, questa è sempre la solita debolezza della politica estera comunitaria, che dimostra così di non esistere ancora, ma è giusto che dinanzi ad iniziative avventate l’Europa comunitaria possa avere dei distinguo importanti.
RDF

giovedì 24 marzo 2011

Su la testa, Argentina! - Desaparecidos e recupero della memoria storica - 2^ Edizione


Esaurita la prima tiratura, l’autore ha preparato questa nuova edizione aggiornata al 31 dicembre 2010: dai desaparecidos al ritorno alla democrazia, dalla condanna dell’impunità al
recupero della memoria storica ai grandi processi contro i torturatori

Il Libro
Il libro affronta molti argomenti: analizza i meccanismi repressivi della dittatura più feroce della storia argentina, quella degli anni 1976-1983 (campi di concentramento clandestini, torture, desaparecidos); traccia un profilo storico dell’atteggiamento tenuto da società civile e istituzioni nei confronti dei desaparecidos, dal ritorno della democrazia nel 1983 fino ai giorni nostri; documenta la situazione in corso in Argentina per quanto riguarda la tutela dei diritti umani, la lotta contro l’impunità e il recupero della memoria storica.
Esplora, inoltre, un fenomeno del tutto dimenticato della storia italiana: la tragedia di migliaia di nostri connazionali desaparecidos in Argentina negli anni della dittatura militare, tra il silenzio indifferente di società e Stato italiani e i collegamenti con la Loggia P2. Focalizza l’attenzione su questo dramma italiano, anche tramite le testimonianze dirette dei familiari e di alcuni sopravvissuti e analizzando i tre processi svolti dalla magistratura
italiana tra il 1997 e il 2010

L’AUTORE
ORLANDO BARONCELLI, laureato in Giurisprudenza, è redattore di «Testimonianze», per cui scrive di politica estera e diritti umani, e collaboratore di «Diario»: per entrambe le riviste ha seguito soprattutto le storie dei desaparecidos italoargentini e la lunga lotta dei familiares per scoprire la verità e ottenere giustizia. Su questi argomenti è stato relatore in numerose conferenze e convegni. Docente di diritti umani e diritti dei popoli nel progetto Scuola-Territorio della Provincia di Firenze rivolto alle medie superiori, nel 2004 è stato curatore del libro Percorsi per minori stranieri. Problemi e prospettive edito dal Comune di Firenze. Dal 1996 è il responsabile dell’Argentina per il “Centro Studi e Iniziative America Latina” di Firenze.
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E' RECINTO INTERNAZIONALE che ringrazia Orlando Baroncelli per averci inserito nei ringraziamenti del suo libro. Grazie Orlando!!!!!

venerdì 18 marzo 2011

Gli eroi di Fukushima

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Da quando una settimana fa sul Giappone si è abbattuto il micidiale connubio terremoto-tsunami, 50 tecnici della Tokyio Electric Power Company (TEPCO – la quarta azienda al mondo in materia di produzione di energia), sono chiusi ed isolati nella centrale nucleare di Fukushima, seriamente danneggiata dal cataclisma, per cercare di limitari i danni e la fuoriuscita di materiale e sostanze radioattive. Da quasi una settimana i 50 tecnici stanno lavorando in condizioni sanitarie e logistiche minime, essendo esposti a livelli altissimi di radiazioni radioattive ed in mancanza di forniture adeguate ad affrontare l’”apocalisse”. Sembrano essere, oggi, gli unici che possono salvare il paese del Sol Levante e quella zona da un disastro naturale senza precedenti. Il Premier Naoto Kan gli ha implorati: “Voi siete i soli che possono risolvere questa crisi. Ritirarsi è impensabile”. Così i 50 tecnici, Eroi, rimasti e rimanendo ai loro posti di lavoro, sono condannati, sicuramente, visto il livello di radiazioni a cui sono esposti, a gravi e prossime malattie, se non la morte. Oggi, domani e nei prossimi giorni, è giusto ricordare l’impegno ed il sacrificio di questi anonimi tecnici, ridimensionando l’importanza che forse, frettolosamente, attribuiamo a notizie provenienti da altre parte del mondo. Onore ai 50 Tecnici di Fukushima, purtroppo, oggi anonimi, ma hanno nomi e cognomi, delle storie, vite e famiglie.
RDF

martedì 15 marzo 2011

Gheddafi si sta salvando

A cura di Roberto Di Ferdinando

Le tragiche vicende del Giappone hanno spostato l’attenzione internazionale dalla rivolta libica, e, in silenzio, Gheddafi, sentendosi meno sotto pressione, sta riconquistando terreno e respingendo i ribelli. Tutte le dichiarazioni forti dell’Occidente contro la violenza del rais nel sedare la rivolta interna sono, adesso, sempre più rare, i piani inglesi di armare i ribelli sono stati abbandonati, le zone no fly, per salvare i rivoltosi dai bombardamenti governativi, non saranno istituite, le navi USA si tengono lontane dalle coste della Libia e la pressione dell’amministrazione Obama perché Gheddafi abbandoni il paese si è indebolita. Gheddafi sta riprendendo il controllo del paese. Cosa non ha funzionato? Molto, ma principalmente sono stati sottovalutati molti aspetti.
Rispetto alla Tunisia ed all’Egitto, in Libia la rivolta è stata molto più armata e cruenta, e qui l’esercito è rimasto, al di fuori di alcune defezioni, dalla parte del rais, a cui deve, difatti, molto, sul piano del prestigio e del potere. Gli incarichi cruciali dell’esercito sono ricoperti da persone appartenente ala stessa tribù del Colonnello, ed in Libia questo ha una valenza molto importante. Ben Ali e Mubarak si resero ben conto di non aver più il controllo del proprio potere, Gheddafi, invece, dopo i tentennamenti dei primi giorni, ha risposto con decisione e violenza militare e mercenaria ai ribelli, contando sull’appoggio di alcune tribù e su oltre trent’anni di potere dispotico e sulla censura di qualsiasi opposizione, un controllo quindi ferreo e militare del paese senza alcuna apertura all’esterno (Egitto e Tunisia, nonostante non democrazie, sotto i loro precedenti presidenti erano paesi aperti con il resto del mondo). La rivolta libica inoltre è una ribellione di libici contro il proprio governo quindi una questione interna alla Libia, nonostante Gheddafi sia un dittatore-terrorista, la comunità internazionale poteva, e può, fare poco. Inimmaginabile, infatti, un bombardamento od un’invasione militare della Libia, come invece le amministrazioni statunitensi precedenti e la Nato previdero per la Serbia (anche lì c’era un dittatore sanguinario, Milosevic, ma l’intervento militare era giustificato dal mettere fine all’eccidio della minoranza kosovara) e, anche con l’appoggio dell’ONU, per l’Iraq (un altro violento satrapo, Saddam Hussein, che però nessuno, neanche nel mondo arabo, voleva salvare e che dopo l’11 settembre era il nemico meno pericoloso per gli USA da attaccare e vincere per dare un segnale di forza al terrorismo internazionale). Gheddafi quindi si sta salvando, perché ha investimenti diffusi in tutto il mondo ed in un periodo di crisi economica pochi mercati finanziari ed economici sarebbero disposti a perdere questi soldi, perché la Libia controlla importanti ed ingenti risorse energetiche indispensabili all’Occidente che vuole una ripresa economica, perché gli USA sono già impegnati su vasti teatri ed aprirne un altro, nel cuore del Mediterraneo e dall’esito non scontato, non piace alle gerarchie militari statunitensi, perché Gheddafi garantisce una Libia laica, perché, alla fine a molti conviene che il Colonnello rimanga al potere a Tripoli. Quindi, purtroppo, buon Gheddafi a tutti!
RDF

venerdì 11 marzo 2011

Scomparse le amazzoni libiche

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Da quando è scoppiata la rivolta in Libia, il Colonnello Gheddafi, nelle sue meno frequenti apparizioni in pubblico, non è più circondato dalle amazzoni, le sue guardie del corpo, delle avvenenti donne soldato, ma, invece, è scortato da vigorosi militari uomini. Gheddafi si è sempre vantato nelle sue visite ufficiali delle sue pretoriane, esibendole con sfarzo: 40 donne in tutto, che hanno fatto voto di castità, non possono sposarsi, super dedite al capo, addestrate al culto della personalità e fedeltà fino alla morte, al rais. Eppure sembrano scomparse, alcuni sostengono che sia la manifestazione che il leader libico è solo, abbandonato anche dalle sue pretoriane, altri, invece, ritengono che le amazzoni, non sono scappate, ma, fedelissime, siano con Gheddafi nel suo bunker, la caserma di Bab Al Aziziya a Tripoli, ultima ed estrema difesa del Capo. Questo reparto speciale al femminile, infatti, fu istituito al tempo della guerra fredda ispirandosi alle indicazioni di Karl Hansech, ex spia della DDR, che aveva pianificato donne addestrate in modo infallibile, pronte a tutto e meno attratte, rispetto agli uomini, dal potere. Ma che fino hanno fatto?
RDF

domenica 6 marzo 2011

2 marzo 2011. Gli ottant'anni di Gorbaciov.

Apprendiamo dalle pagine di Repubblica, con un bell’articolo di Fiammetta Cucurnia che Gorbaciov ha compiuto, il due marzo scorso, ottant’anni. I più giovani non sanno forse chi è Gorbaciov o che cosa è stato. Di Francesco Della Lunga

sabato 5 marzo 2011

Mercenari in Africa

Gheddafi continua a resistere grazie anche ai mercenari che ha recentemente assoldato. L’Africa continua così ad essere, con le sue innumerevoli guerre, il continente in cui i mercenari trovano largo impiego.
(fonte Corriere della Sera e Qutoidiano Nazionale-La Nazione), a cura di Roberto Di Ferdinando

martedì 1 marzo 2011

Le particolarità della rivolta in Libia

A cura di Roberto Di Ferdinando

La sanguinosa rivolta in Libia sembra apparire diversa, nelle modalità in cui si sta sviluppando e nell’esito, da quelle delle vicine Tunisia ed Egitto.
Innanzitutto la scarsità di informazioni e notizie dalla Libia. Le rivolte egiziane e tunisine sono state documentate da immagini e resoconti dei telegiornali e quotidiani; seppur con mille difficoltà i cronisti internazionali hanno raccontato le manifestazioni delle popolazioni locali. Manifestazioni che hanno spinto prima Ben Alì e poi Mubarak ad “abdicare”. A Tripoli, invece, Gheddafi resiste, tra mille difficoltà ed ammutinamenti di alcuni suoi fedeli, ma continua a resistere. La percezione è che gli insorti abbiamo raggiunto il loro massimo sforzo, “liberando” alcune città (Misurata, Bengasi, Al Bayda, Derna e Tobruk), ma che non abbiano la forza, in particolare militare, per sferrare l’ultimo assalto a Tripoli e quindi a Gheddafi. Il rais, a sua volta, pur ridimensionato e meno sbruffone, resiste, forte anche di parti consistenti dell’esercito e dei mercenari che gli sono fedeli e che stanno, massicciamente e con violenza brutale, respingendo l’assalto dei ribelli nelle altre zone del paese ancora contese. Sembra quindi essere ad un punto di stallo, di impasse tra i due fronti in conflitto. La partita sembra giocarsi adesso negli ambienti diplomatici. La rivolta di Tunisi, infatti, non aveva scaldato i cuori delle cancellerie occidentali, troppo piccolo il paese per cui preoccuparsene oltre il dovuto. Diversa l’attenzione internazionale rivolta agli avvenimenti egiziani. L’Egitto, infatti, è un paese di oltre 80 milioni di abitanti, con una popolazione, per oltre il 50% al di sotto dei 25 anni, insoddisfatta e delusa, dove il Fratelli Musulmani, l’opposizione integralista messa fuori legge, ha comunque un buon seguito, è un paese che confina con Israele con cui ha comunque firmato e rispettato fino ad oggi un trattato di pace, Il Cairo, inoltre controlla il canale di Suez e le vie delle petroliere. Ma qui a tranquillizzare gli USA è stato il fatto che la guida del paese dei faraoni è stata presa dall’esercito egiziano, un istituzione laica e che deve il suo potere e forza ai miliardi di dollari provenienti dagli Stati Uniti. Diversa quindi la situazione in Libia: qui Gheddafi resiste, avendo un buon esercito per confrontarsi con i ribelli interni, i rischi di infiltrazione di Al Qaeda tra la popolazione è alta, dalle spiagge della Libia, attualmente indifese, partono le ondate migratorie verso le coste europee, mentre per altre vie terrestre migliaia di profughi si stanno dirigendo verso le già martoriate Tunisia ed Egitto; i ribelli controllano alcuni siti petroliferi importanti, ma altrettanti rimangono in mano al governo di Tripoli che Gheddafi potrebbe utilizzare anche come merce di scambio per allentare la pressione internazionale su se stesso, la fornitura di petrolio libico, infatti, potrebbe essere a rischio a breve (l’Italia dipende per buona parte dal petrolio e dal gas libico), ed ancora, la famiglia Gheddafi in questi decenni ha finanziato e fatto investimenti in tutto il mondo e molte economie dipendono da questi soldi, un’altra arma in mano al rais per contrattare la sua posizione con l’Occidente.
Gli Stati Uniti hanno però avvallato la decisione ONU di rinviare a giudizio Gheddafi alla Corte Penale Internazionale, l’amministrazione Obama, inoltre, sta prevedendo piani umanitari armati per fermare l’aviazione libica nei bombardamenti contro i ribelli (verso la Libia si stanno muovendo le portaerei USA dal Mar Rosso mentre si stanno allertando e preparando le basi Nato e statunitensi più vicine alla Libia) e per sostenere con finanziamenti ed aiuti gli insorti, gli inglesi auspicano di poter perfino armare i ribelli, mentre l’UE sta allestendo piani per sanzioni contro la Libia, oltre che per accogliere i profughi. Ma tutto questo attivismo occidentale ha suscitato un certo malumore in alcune capitali non europee. La Russia e Cina, ad esempio, sono pronte a condannare qualsiasi ingerenza occidentale nella questione libica.
Difficile, quindi, senza un gesto di distensione od una fuga di Gheddafi trovare una soluzione pacifica alle vicende libiche. La preoccupazione è quindi che il rais, non solo resisti, ma, viste le notizie frammentate che nelle ultime ore ci stanno giungendo, riconquisti le sue posizioni con sanguinosa violenza e vendetta, ed ristabilisca lo status quo, che potrebbe essere accolto perfino positivamente da alcuni governi e mercati economici da decenni in affari con il terrorista Gheddafi.
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