giovedì 29 dicembre 2011

La banca delle sementi

(fonte: Sette-Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Nelle isole Svalbard (Norvegia), a 1.200 km dal Polo Nord, all’interno di una montagna a 120 metri di profondità, in ambienti delimitati da muri di calcestruzzo e porte d’acciaio, capaci di sostenere l’impatto di un terremoto, di attacchi nucleari e terroristici, sono custoditi milioni di semi ed il loro patrimonio genetico che garantirebbero, in caso di calamità catastrofiche per la Terra, una rinascita delle coltivazioni. Esistono inoltre localmente anche altri tipi di banche dei semi ad esempio nella cittadina USA di Ames (Iowa), qui le sementi (in particolare cereali e mais) sono in stanze refrigerate a bassi livelli di umidità, oppure a Harbu (Etiopia) dove la Ethio Organic Seed Action, ha realizzato una banca dei semi per fornire una sicurezza in più ai contadini che dovessero perdere il raccolto o in caso di siccità. Ancora negli Usa e sempre nell’Iowa esiste l’antica Seed Savers Excange, l’organizzazione dedita alla conservazione e scambio delle sementi senza fine di lucro.
Queste banche hanno lo scopo, anche, di garantire al maggior numero di persone l’accesso ai semi e quindi garantire le coltivazioni e coltivazioni diverse. Infatti ormai superata la cifra di 7 miliardi di abitanti sulla Terra, gli esperti si interrogano sulle reali capacità del nostro pianeta di sostenere anche da un punto di vista alimentare tale boom demografico. Nonostante il ritmo di crescita sia rallentato (+1.1%) e si preveda che a livello mondiale nel 2070 si stabilizzi, alcuni dati però preoccupano, in quanto si prevede che alcune regioni invece triplicheranno la propria popolazione, ad esempio i paesi africani e l’India che entro 10 anni supererà la Cina quale paese più popoloso. Si presenteranno quindi, sul piano delle coltivazioni alcuni problemi, quali quello ecologico (il sempre maggior impiego di fertilizzanti per garantire prodotti alimentari più rapidamente), energetico e perdita della biodiversità.
Eppure la produzione alimentare oggi sarebbe in grado di soddisfare la domanda mondiale, sarebbe, ma esistono due problemi, la cattiva e non equa distribuzione di tali prodotti e l’aumento esponenziale (in particolare da parte di Brasile e Cina) di proteine animali (carne bovina). Infatti per produrre un chilo di carne bovina si consumano 10 chili di proteine vegetali (oggi 1 miliardo di persone non ha di che mangiare). Interventi necessari dovrebbero indirizzarsi sull’ecosistema, come ricorda Claudia Sorlini, ex preside della Facoltà di Agraria di Milano, intervistata da Sette: “il terreno non deve essere sfruttato eccessivamente per poi essere abbandonato quando non produce più. […] In occidente, invece si dovrebbero evitare le monocolture o le colate di cemento che sottraggono aree fertili all’agricoltura”. Altri aspetti su cui lavorare la riduzione degli sprechi (circa il 30-35% degli alimenti) e le difficoltà, in particolare nei paesi più poveri di poter conservare a lungo i cibi, in mancanza di un’adeguata catena del freddo. Ed ancora l’aumento delle materie prime alimentari. Secondo il Food Price Index della FAO, in un anno il costo del cibo è aumentato del 39%, dei cereali del 71%.
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mercoledì 28 dicembre 2011

In Svizzera si insegna sempre meno l’italiano

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

In molti licei svizzeri dei cantoni tedeschi sembra sempre più difficile imparare l’italiano quale seconda lingua. Infatti, ad esempio, nel Canton Obvaldo è stato stabilito che non sarà più obbligatorio al liceo apprendere l’italiano per conseguire il diploma di maturità, pochi mesi fa anche il Cantone di San Gallo aveva fatto la stessa scelta, per poi dover tornare sui propri passi per intervento del dipartimento federale dell’Interno su pressione del ASPI (Associazione Svizzera dei Professori di Italiano). Eppure la Costituzione elvetica prevede, riconosce e garantisce il plurilinguismo della Confederazione (le lingue ufficiali sono: tedesco, francese, romancio e italiano). La decisione di emarginare lo studio dell’italiano sembra riscontrare un certo consenso dell’opinione pubblica, mossa anche dalla campagna pro tedesco e pro francese di alcuni quotidiani nazionali; infatti quest’ultimi dinanzi alle considerazioni che ricordavano che di fatto la lingua italiana è, comunque, quella di Dante e di Boccaccio, hanno risposto, tra serio e il faceto, con vignette ed interventi vari, che l’italiano è anche la lingua di Berlusconi, una provocazione che però rende bene l’idea di come l’Italia sia, per la Svizzera, il paese meno amico di quelli a lei confinanti.
I cantoni tedeschi hanno risposto alle polemiche indicando che gli studenti, se lo desiderano, potranno studiare l’italiano nei cantoni vicini, una soluzione, però, logisticamente difficile da mettere in pratica e comunque una spinta disincentivante allo studio dell’italiano.
In Svizzera, oggi, l’italiano è la prima lingua ufficiale nel solo Canton Ticino, ed è parlato, frequentemente e correttamente, da circa il 6,4% degli svizzeri.
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lunedì 26 dicembre 2011

Contadini africani sfrattati

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Dal 2001 ad oggi circa 227 milioni di ettari di terreno in Paesi in Via di Sviluppo (PVS) sono stati acquistati o dati in concessione a società straniere (cinesi, indiane, coreane ed europee). L’intento è, prevalentemente nobile, infatti queste società si sono impegnate per la riforestazione di queste terre e per garantire l’uso intensivo di campagne sottoutilizzate o destinate fino ad oggi ad una agricoltura semplicemente di sostentamento.
Nell’articolo del Corriere della Sera è citato l’esempio dell’Uganda, in cui la britannica New Forests Company (NFC) controlla 20 mila ettari nei distretti di Mubende, Kiboga e Bugiri (altrettanti ettari la NFC li controlla in Tanzania e Mozambico). In queste terre sono state distrutte le originarie piantagioni (banani, manghi, avocado, fagioli e cereali) e sostituite con coltivazioni di pini ed eucalipti al fine di produrre legname in modo da evitare il deforestamento di altre zone. La NFC, inoltre, ha accompagnato le nuove piantagioni con l’apertura di scuole, piccoli ambulatori, scavato pozzi e fognature e stipulato programmi economici con le piccole comunità locali. Al di là delle conseguenze per il mercato agricolo interno dei paesi africani, il problema di questa presenza straniera nelle campagne africane è legato al fatto della proprietà della terra. Infatti, in molti paesi africani raramente esiste la proprietà individuale della terra, ma spesso appartiene allo Stato che la concede in uso per decenni a famiglie di contadini o a veterani. In alcuni casi vi sono famiglie che da oltre 40 anni coltivano la terra dello Stato, spesso queste terre statali sono trasmesse di padre in figlio, altre volte lo Stato le ha cedute con regolare contratto di vendita. Ma adesso che la terra è divenuta per molti governi africani un bene da vendere o da dare in concessione ai ricchi stranieri, ecco che sono scattate le confische o le revoche di vecchi contratti d’uso di migliaia di ettari. Secondo alcuni dati delle ONG, in Uganda, circa 20.000 contadini sarebbero stati cacciati, anche con l’uso della violenza, dalle terre a cui si dedicavano da decenni o di cui erano proprietari. Purtroppo in molte regioni dell’Africa un atto di proprietà di un umile contadino non ha spesso molto valore.
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domenica 25 dicembre 2011

Kim Jong-il sarà imbalsamato dai russi?

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Sembra che il governo nord-coreano abbia già contattato il Centro imbalsamatori di Mosca, lo stesso che da quasi 80anni cura la salma, anch’essa imbalsamata, di Lenin, conservata nel mausoleo della Piazza Rossa, perché si occupi di rendere eterne le spoglie di Kim Jong-il, il dittatore nord-coreano deceduto la settimana scorsa. Ed il Centro di imbalsamatori, diretto oggi da Valerij Bykov, è lo stesso a cui fu affidato nel 1994 il corpo di Kim Il-Sung, il padre di Kim Jong-il. Nel 1994 l’operazione Kim Il-Sung costò ai coreani 1 milione di dollari e 800 mila all’anno per la conservazione. Ma è lunga la lista delle salme di leader più o meno famosi, trattati dal centro di imbalsamatori. La prima fu quella già ricordata di Lenin, anche se il risultato non fu molto positivo (sono visibili solo la faccia e le mani e la pelle non ha un colore naturale), poi, nel 1953, quella di Stalin, conservata in maniera perfetta nel mausoleo di Lenin e poi da lì rimossa, per volere di Kruscov, e sepolta in un cimitero, ed ancora quella dell’ex presidente del Comintern, il bulgaro Dimitrov, dell’ex leader della Cecoslovacchia, Gottward, del vietnamita Ho Chi-min (nonostante avesse chiesto in punto di morte di essere cremato), dell’angolano Neto, dei presidenti della Mongolia e della Guyana, ecc…
Oggi però il centro che si avvale di 12 tecnici sembra attraversare un periodo di crisi. Infatti, pur avendo aperto anche ai privati, sono sempre meno le richieste di imbalsamazione; fino ad alcuni anni fa provenivano principalmente dagli ambienti di malavitosi, ma non sempre i corpi, trivellati, potevano essere correttamente conservati, comunque, il servizio offerto dal centro comprendeva nel prezzo anche la costruzione di un mausoleo. Ma adesso l’imbalsamazione sembra essere superata, difatti di moda è divenuta la crio-conservazione in azoto liquido, che costa anche molto meno (10 mila dollari per salvare il solo cervello, 45 mila per l’intero corpo).
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Di seguito riporto un mio articolo pubblicato su Microstoria nel 2005, dedicato a Girolamo Segato, un ottocentesco imbalsamatore che nella sua avventurosa vita scoprì una misteriosa tecnica per la conservazione dei corpi.
Testo e foto di Roberto Di Ferdinando

Oggi la figura di Girolamo Segato è poco nota (1), eppure questo ottocentesco erudito bellunese, trapiantato a Firenze, fu naturalista, cartografo, disegnatore, esploratore ed egittologo di una certa fama. La sua continua passione per la conoscenza multidisciplinare e per l’avventura difatti lo portarono ad essere tra i primi europei ad esplorare l’intero Egitto effettuando qui importanti rilievi geografici e scoperte archeologiche oltre che apprendere le misteriose tecniche per la conservazione dei tessuti umani, per cui oggi nel mondo scientifico è principalmente ricordato. Ma la sua esistenza fu anche caratterizzata da continue avversità: infiniti problemi finanziari che non gli permisero di completare studi e ricerche, oltre che a condannarlo alla povertà, e le avversità verso il suo operato da parte della comunità scientifica che lo spinsero a non rivelare mai il segreto del suo procedimento di pietrificazione dei tessuti umani, che rimane ancor oggi un mistero.
Ma procediamo per ordine. Girolamo Segato nasce a Vedana (Belluno) il 13 giugno 1792 e già da adolescente muove i suoi interessi verso gli studi di chimica, botanica e mineralogia. Tra il 1809 ed il 1818 frequenta varie scuole spostandosi tra Treviso, Belluno, Rovigo e Venezia; infatti le modeste disponibilità economiche della propria famiglia non gli permettono di svolgere percorsi di studi completi, che effettua comunque da autodidatta e grazie all’aiuto di alcuni dotti amici. Nel 1818 è a Venezia e tramite alcuni conoscenti è introdotto nella famiglia De Rossetti, titolare di una nota casa commerciale a Il Cairo e con incarichi diplomatici in Africa, che gli offre ospitalità ed un impiego di cancelliere in Egitto, lo stesso Egitto che, tornato in auge con la spedizione napoleonica del 1798, in seguito alle prime scoperte archeologiche rappresenta la meta più affascinante per i ricercatori europei di quel periodo. Segato quindi si trasferisce a Il Cairo, dove la nuova attività impiegatizia non gli impedisce di iniziare le prime esplorazioni del paese. Tra il 1818 e il 1823 visita in lungo e largo l'Egitto, partecipando a spedizioni per la stesura di rilievi geografici, che aggregandosi a quelle militari. Durante questi viaggi si interessa alle antichità egizie: visita piramidi e monumenti, che riproduce in precisi disegni, rinviene cadaveri di uomini ed animali pietrificati, e si avvicina così allo studio della mummificazione. Nell’estate del 1820 viaggia per ottanta giorni nel deserto, mentre nel 1822 raggiunge la piramide di Abu-Sir che esplora da solo rimanendo tre giorni consecutivi, senza mai uscire, a 15 metri sotto terra. Rientra quindi a Il Cairo, ma è ormai una persona completamente diversa nello spirito e nel fisico. Il clima dell'Egitto si dimostra nocivo per la sua salute e decide così nel dicembre del 1822 di fare rientro in Europa, a Livorno, dove i De Rossetti gestiscono una banca di assicurazioni marittime e sono in grado di ospitarlo. Ma il destino si prepara a muovere contro Segato, infatti, molti reperti recuperati dal Segato naufragano sulla rotta per il Vecchio Continente, mentre nell’incendio della casa egiziana vanno distrutti tutti i suoi documenti, disegni e rilievi. Preso dallo sconforto non ritornerà più in Egitto e decide invece di trasferirsi a Firenze, che ritiene il luogo più adatto a soddisfare il suo perenne desiderio di istruzione, accettando qui l’impiego di rappresentante della banca De Rossetti.
Giunge a Firenze nel giugno del 1824 e la sua fama di esploratore gli apre inizialmente gli ambienti culturali della città, frequenta la famiglia dell’avvocato Anton Cino Rossi, della cui figlia, Isabella, si innamorerà, ed ottiene udienza perfino dal Granduca Leopoldo II, attento collezionista di antichità egizie. Segato comunque non abbandona i suoi studi, sebbene ancora una volta la mancanza di denaro e le forti avversità scandiscano la sua vita. Si cimenta infatti nella stesura di un’opera sull’Egitto, tema di moda nella Firenze del periodo. Dopo tre anni di lavoro, dato che un finanziamento promesso dal Granduca non era mai giunto, decide di pubblicare l’opera in società con l'ingegnere Lorenzo Masi, il primo fascicolo esce con il titolo: "Saggi pittorici, geografici, statistici, idrografici e catastali sull'Egitto”, ma non incontra il favore del pubblico. Segato però non si perde d’animo, contrae debiti ed inizia a lavorare al secondo fascicolo, che però non vide mai la luce, infatti Masi fugge a Parigi con i soldi ed i disegni originali. Girolamo cade così in uno stato di angoscia e nelle più crudeli angustie finanziarie, non potendo nemmeno più contare sui dei De Rossetti, che avevano nel frattempo liquidato la loro banca. Ottiene prestiti da familiari ed amici che tenta di restituire pubblicando alcune carte geografiche: dell'Africa settentrionale (1830), della Toscana (1832) e dell’Impero del Marocco, lavori di alta qualità, ma che non gli portano profitti.
Contemporaneamente alle sue iniziative editoriali, Segato conduce nel suo laboratorio all'ultimo piano di Palazzo Spini, sul Lungarno Acciaiuoli, anche alcune ricerche chimiche: sull'amalgama dei metalli, sull'ambra artificiale e mette in pratica le conoscenze egiziane sulla pietrificazione. Dopo essersi esercitato su insetti e piccoli animali, decide di far esperimenti anche sui tessuti umani. All’amata Isabella donerà due gocce pietrificate del suo sangue, perché, come disse lui stesso: "le donne anche il sangue vogliono". Ma non si ferma qui, ottiene dagli studenti dell'Ospedale di Santa Maria Novella campioni anatomici, che trasforma in pietra, pur mantenendo i colori, le forme ed i caratteri originali e conservando, ecco l’eccezionalità del suo procedimento, la loro flessibilità. Non rivela il metodo del suo procedimento per paura che qualcuno possa carpirne il segreto, ma la scoperta si diffonde ovunque, tanto che il suo nome e la sua fama varcano i confini di Firenze; Gioacchino Belli gli dedica perfino un sonetto, mentre dall’estero giungono richieste per i suoi servigi, che lui respinge in quanto:"la mia seduttrice mi tien forte" alludendo a Firenze la città che ha amato, senza essere ricambiato. Infatti la sua scienza incontra l’ostilità di molti medici di corte che, vedendosi eclissati da un autodidatta, non riconoscono valido il suo metodo. Forti critiche gli giungono, lui che era religioso, anche dalla Chiesa che giudica la pietrificazione contraria alla legge divina: "polvere sei e polvere ritornerai"; additato come il mago egiziano, nel 1833 gli è quindi rifiutata la cattedra di chimica tecnologica. Segato ormai poverissimo ed incompreso, continua con enormi difficoltà i suoi esperimenti e si circonda di pochi amici, tra cui l’avvocato Luigi Pellegrini ed il professor Luigi Muzzi. Proprio quest’ultimo invierà un memoriale al Papa Gregorio XVI per invocare una maggiore comprensione per la opera di Segato. Nel 1836 il Papa dichiara che la scoperta del Segato non è contraria ai principi cristiani ed autorizza i suoi studi. Ma è troppo tardi, infatti il 3 febbraio 1836 Girolamo muore di polmonite a Firenze, alcuni giorni dopo aver distrutto i suoi appunti sulla pietrificazione. Il segreto di questa muore quindi con lui. Segato è sepolto a Firenze nel chiostro della Basilica di Santa Croce, sul suo sepolcro si legge: “Qui giace disfatto Girolamo Segato da Belluno che vedrebbesi intero pietrificato se l’arte sua non periva con lui... Esempio di infelicità non insolito"(2).

(1) Per approfondire la vita e l’operato di Girolamo Segato si rimanda a:
I. Pocchiesa – M. Fornaio, Girolamo Segato, esploratore dell'ignoto, Edizioni Media Diffusione, Belluno, 1992.
G. Pieri, Girolamo Segato, Istituto Veneto di Arti Grafiche, 1936.
Nel gennaio del 2006 il Centro di Documentazione per la Storia dell'Assistenza e Sanità Fiorentina ha dedicato una giornata di studi alla sua opera
(2) Delle opera di Segato oggi rimangono 214 realizzazioni conservate nel Museo del Dipartimento di Anatomia dell’Università degli Studi di Firenze, mentre i lavori custoditi a Vedana andarono perduti nelle invasioni austriache del 1848 e 1917 e quelli conservati al Museo della Scienza di Firenze distrutti con l’alluvione del 1966. Anche da morto il destino si accanì contro Segato.

giovedì 22 dicembre 2011

Il cristianesimo è la religione più diffusa

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Secondo la ricerca di The Pew Forum, anche per quest’anno il cristianesimo continua ad essere la religione più diffusa nel mondo, con circa 2 miliardi e 180 milioni di fedeli (1/3 della popolazione totale), seguono i musulmani, 1,6 miliardi di persone (il 23,4% della popolazione della Terra). Dei 2 miliardi e rotti di cristiani, il 50,1% è costituito dai cristiani, il 37% dai protestanti e il 12% dagli ortodossi.
Ma quanti sono gli atei?
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martedì 20 dicembre 2011

Le vere origini della bandiera dell’Unione Europea

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

La settimana scorsa Vittorio Messori nel suo articolo, “L’8 dicembre, Fatima e i segni della storia”, apparso sulle pagine del Corriere della Sera, ricordava l’avverarsi dei fatti, divenuti poi storici (tra cui la nascita e la caduta dell’URSS) preannunciati dalle parole della Signora di Fatima o legati all’8 dicembre, cioè alla Vergine Maria. Tra questi anche una curiosità che riguarda l’origine della bandiera ufficiale dell’Unione Europea. Messori ricorda che nel 1950 il Consiglio d’Europa indisse un concorso internazionale per stabilire il vessillo ufficiale della nascente comunità continentale. Tra i tanti lavori e bozzetti presentati da molti artisti, furono scartati tutti quelli che potevano richiamare a simboli religiosi, e nel 1955, la commissione, presieduta da Paul Lèvy, di religione ebraica, optò per l’attuale stemma: una bandiera azzurra con 12 stelle d’oro (in origine erano d’argento) disposte a semi cerchio. Si spiegò la scelta in quanto il celeste richiamava (e richiama) l’ufficialità e l’autorevolezza dell’istituto (i colori celesti e blu spesso hanno questo significato di solennità) che tale simbolo rappresentava (e rappresenta), le 12 stelle si riferivano invece ai 12 paesi allora membri della comunità. Ma in verità l’artista che aveva realizzato tale stemma, il belga Arsène Heitz, negli anni successivi spiegò da dove aveva tratto ispirazione e modello per tale bandiera-stemma. Heitz, devoto alla Vergine Maria, aveva scelto l’azzurro quale richiamo al colore della Vergine e le stelle sono quelle che circondano, tradizionalmente, il capo nelle immagini di Maria, 12 come le tribù di Israele, come gli apostoli e come le dodici stelle impresse sulla Medaglia Miracolosa del 1830 di cui una copia Heitz portava sempre al collo.
Per finire occorre ricordare che la firma del documento ufficiale che stabilì l’adozione di tale stemma quale vessillo della comunità comunitaria avvenne proprio l’8 dicembre del 1955.
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venerdì 16 dicembre 2011

L’Italia la più ricca dei paesi del G7

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

In questo periodo di forte crisi economica e finanziaria per l’Italia, appare strano, curioso, forse frutto di un errore, l’annuncio che il nostro paese, oggi, comunque, è un paese ricco. E dovremmo crederci visto che a fornire questo dato è un’autorevole istituto, la Banca d’Italia. Difatti è il risultato ottenuto da un’indagine sulla ricchezza delle famiglie italiane riferita all’anno solare 2010 che ha preso in considerazione i patrimoni immobiliari (terreni e abitazioni), finanziari (depositi in conto corrente, titoli di Stato, obbligazioni ed azioni) ed i debiti degli italiani. Tale ricchezza ammonta a 8.640 miliardi di euro (nel 2007 era 8.925 miliardi di euro), quindi la ricchezza netta (al netto dell’inflazione) in Italia per famiglia è di 356.370 euro, e pro capite a 142.481. Si parla però di media ed ecco comprendere meglio perché gli italiani, giustamente, in grande maggioranza, non si sentono e non sono ricchi. Infatti il 10% delle famiglie italiane possiede il 45% della ricchezza del Bel Paese, mentre il 50% della popolazione possiede solo il 10% della ricchezza italiana (dati del 2008).
Comunque la ricchezza netta delle famiglie italiane nel 2009 è stato pari a 8,3 volte il reddito disponibile lordo, ed è il dato più alto tra i paesi del G7 (nel Regno Unito è 8 volte, in Francia 7,5, in Giappone 7, in Canada 5,5 e negli USA 4,9 volte).
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Il paese per le donne

(fonte: Sette-Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Il Word Economic Forum ogni anno pubblica il Global Gender Gap Report, cioè una ricerca-studio che registra il divario di opportunità tra uomini e donne in 135 paesi. Nel 2011 l’Islanda è risultato il paese in cui le donne vivono meglio e godono di maggiori opportunità. I dati analizzati hanno interessato quattro campi: opportunità economiche (salari, percentuale di donne che lavorano e che svolgono lavori specializzati), educative (scolarizzazione e possibilità di accedere ai livelli più alti di istruzione), salute (aspettativa media di vita), opportunità politiche (possibilità di elettorato attivo e passivo e di ricoprire alte cariche istituzionali). Il podio di questa classifica ha visto tre paesi europei e tutti e tre dell’area del Nord Europa: Islanda, che non a caso dal 2008 è guidata da un premier donna che sta conducendo, con scelte coraggiose, il paese fuori dalla più grande crisi economica della sua storia, la Norvegia e la Finlandia. Gli USA sono al 17° posto di questa classifica, la nostra Italia solo al 74°. Gli ultimi tre posti sono occupati dal Ciad, Pakistan ed ultimo, lo Yemen.
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mercoledì 14 dicembre 2011

Il gas di scisto

(fonte: Espansione), a cura di Roberto Di Ferdinando

Si chiama gas di scisto o shale gas, ed è il metano disperso nelle rocce scistiche, cioè derivanti dalla trasformazione dell’argilla. Sulla Terra vi sarebbero giacimenti imponenti di questo gas, ma la sua estrazione è difficile e costosa, infatti le particelle di questo gas sono mescolate con quelle delle rocce che le contengono, e quindi l’estrazione è problematica. Ma sarebbe corretto dire, era problematica, infatti gli USA hanno sviluppato nuove tecniche e tecnologie per estrarrlo più “facilmente” e non a caso gli Stati Uniti sono diventati il primo paese produttore di questo gas, contribuendo ad aumentare le riserve mondiali da 200 ad 800 trilioni di metri cubi, capaci di soddisfare i bisogni energetici per almeno altri 200 anni. E con la crisi economica e l’aumento dei prezzi dei derivati del petrolio e del gas tradizionale, il gas di scisto è divenuto così conveniente. La corsa all’estrazione in casa di tale gas sta coinvolgendo la Cina (sempre più affamata di risorse energetiche), la Gran Bretagna, la Spagna, l’Algeria e l’Ucraina che hanno scoperto di avere nei propri sottosuoli dei veri tesori. Ma è la Polonia il paese che giace sul più grande giacimento sfruttabile di gas di scisto. L’utilizzo commerciale di tale gas, rivoluzionerebbe anche la geopolitica energetica, infatti per molti di questi paesi europei (basti pensare alla stessa Polonia), finirebbe la dipendenza dal gas russo e Mosca vedrebbe ridimensionato il suo ruolo di vicino “ingombrante e pressante”.
In Italia non esistono invece le possibilità di sfruttare industrialmente lo shale gas e per molti non è un male. Infatti se tale gas è conveniente dall’altra parte le tecniche estrattive hanno un impatto invasivo sull’ambiente. Le zone in cui vi sono i centri d’estrazione di questo gas si trasformano manifestando paesaggi quasi lunari, inoltre, per poterlo estrarre viene iniettata a profondità di 3.500/4.500 metri, una miscela di acqua, sabbia e sostanze chimiche. Come si legge dall’articolo di Angelo Allegri su Espansione: “l’acqua aiutata dagli additivi spacca la roccia, la sabbia sostituisce le particelle di gas che emigrano verso la superficie. […] occorrono colossali quantità di acqua e l’iniezione nel terreno di sostanze chimiche”. I giacimenti si trovano sotto le falde acquifere e quindi gli agenti chimici potrebbero inquinarle sia nella fase di discesa che in quella di risalita (non a caso il Maryland e la Francia hanno vietato sul proprio territorio questo tipo di trivellazioni).
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martedì 13 dicembre 2011

Il cibo sprecato

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Nelle settimane scorse si è svolto il Food and Nutrition, un forum sull’alimentazione proposto dalla Barilla ed ospitato dall’Università Bocconi di Milano. Dai numerosi interventi di esperti, tavole rotonde, conferenze e dibattiti è uscita una panoramica, per molti aspetti drammatica, dell’alimentazione mondiale. Infatti risulta che ogni anno nella spazzatura finisce un miliardo di tonnellate di cibo, che un miliardo di persone soffre la fame, mentre oltre un miliardo è vittima di disturbi e malattie legate ad una eccessiva e squilibrata alimentazione (l’80% degli over 65 è affetto da almeno una patologia cronica, e il 50% affetto da due o più malattie). Con almeno 22 milioni di tonnellate di cibo, periodicamente buttato via, si potrebbero sfamare almeno 44 milioni di persone con un giro di affari di 12 milioni di euro. E non solo cibo, esiste anche il problema dello spreco dell’acqua (bene disponibile sempre in quantità minori), ad esempio in Italia si sprecano una quantità d’acqua equivalente ad un decimo del Mar Adriatico.
Altri dati preoccupati: in India ogni anno 250.000 contadini si suicidano perché le multinazionali hanno acquistato terreni coltivati in OGM, che si inaridiscono dopo poche stagioni, mentre tre sole multinazionali posseggono 1.500 brevetti alimentari. Inoltre ad aggravare la situazione la costante diminuzione della produttività agricola di vaste zone della Terra dovuta a fenomeni naturali, ma principalmente a responsabilità (ad esempio il fenomeno del land grabbing - accaparramento di terre – già trattato da RI: http://recintointernazionale.blogspot.com/2011/05/arraffa-terra.html). Ed ancora, la produzione di piante OGM che nel mondo è concentrata in 10 Paesi industrializzati, con il 96% dei 148 milioni di ettari totali di superfici coltivate a transgenico, mentre altri 19 Paesi producono il restante 4%. In Europa, nonostante la perplessità della maggioranza dell’opinione pubblica, si impiegano quotidianamente sementi OGM in Germania, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Spagna e Svezia, coinvolgendo terreni per oltre 100.000 ettari.
Intanto è stato stabilito che il 2013 sarà l’anno europeo contro lo spreco, promosso dalla Commissione agricoltura della UE.
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martedì 6 dicembre 2011

Dove vivono i più ricchi del mondo

(fonte: Espansione), a cura di Roberto Di Ferdinando

Una recente ricerca-studio di Credit Suisse (Credit Suisse Global Wealth Databook 2011) ha analizzato la ricchezza globale (ricchezza finanziaria, patrimonio non finanziario e indebitamento, dati poi incrociati con età, reddito e welfare) ed ha scoperto che nel mondo:
- sono circa mille le persone che hanno un patrimonio superiore al miliardo di dollari,
- mentre circa 1.700 posseggono più di 500 milioni di dollari,
- 30.000 persone hanno un patrimonio di almeno 100 milioni di dollari,
- e 85.000 persone, invece, ne posseggono 50 di milioni di dollari.
Più della metà di questi ricchi sono distribuiti tra il Nord America e l’Europa. Il 42% è statunitense e canadese, poi ci sono i cinesi ed al terzo posto i tedeschi (4.000) seguono gli svizzeri ed i giapponesi.
In Italia invece i miliardari sono 10, e coloro che hanno oltre 50 milioni di dollari di patrimonio sono 1.800.
Secondo questo studio nel 2011 il 10% della popolazione possiede l’84% della ricchezza globale, ma dato sorprendente (allarmante) è che l’1% possiede il 44% della ricchezza mondiale, mentre c’è una metà della popolazione della Terra che possiede circa l’1% della ricchezza globale.
Le realtà più dinamiche in tema di ricchezza sono l’India e la Cina (ha più membri nel 10% più ricco dopo Usa, Giappone, Germania e Italia, pensare che nel 2000 non c’era nessun cinese in questo gruppo di “ricchi”). Invece in Africa la metà degli adulti sta nel 10% più povero del mondo ed una presenza dell’1% nel gruppo più ricco.
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sabato 3 dicembre 2011

La prima volta: una conferenza sulla Shoah in un paese arabo

(fonte: Sette-Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Recentemente un gruppo di studenti dell’Università Al-Akhawayn di Ifrane, presso Rabat, in Marocco, ha costituito un associazione, Mimouna, che ha come obiettivo la conoscenza della storia e della cultura ebraico-marocchina ed il dialogo tra ebrei e musulmani. L’associazione ha anche organizzato una conferenza, evento unico fino ad oggi in un paese arabo, sulla Shoah. Fino ad alcuni decenni fa la comunità ebraica in Marocco era stata molto numerosa (i primi ebrei giunsero in Africa con la fondazione di Cartagine nel 814 a.C., come ricorda Stefano Jesurum nel suo articolo apparso alcune settimane fa su Sette e che riporta la notizia della conferenza) ed ha convissuto a lungo in pace con quella marocchina; oggi invece la comunità ebraica è ridottissima. La conferenza ha voluto evidenziare cosa fu la Shoah in Europa e ricordare il coraggio di re Mohammed V, che durante la seconda guerra mondiale si rifiutò di consegnare ai francesi di Vichy, che occupavano il Marocco, gli ebrei-marocchini per la deportazione in Germania (tra i 22.000 Giusti tra le Nazioni, sottolinea Jesurum, 70 sono musulmani). Alla conferenza è intervenuto anche Andrè Azoulay, consigliere ebreo dell’attuale re Mohammed VI.
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Servizi segreti militari occidentali già presenti in Siria

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Guido Olimpio, firma autorevole del Corriere della Sera ed esperto di Medio Oriente, ieri ha scritto un articolo, citando fonti arabe, in cui si rivela che in Siria, a fianco degli insorti, nella locale guerra civile che ha provocato già 4.000 morti, vi sarebbero di supporto i consiglieri militari britannici, francesi e turchi e dei reparti speciali di alcuni paesi del Golfo. Tale presenza avrebbe favorito i’introduzione in Siria di armi occidentali da fornire ai ribelli che si stanno scontrando con il governo di Assad. Sarebbero presenti sul territorio siriano, in appoggio agli insorti (notizia da verificare), anche 600 guerriglieri repubblicani libici. Elemento di coordinamento tra libici e insorti siriani, l’ex qaedista Belhadj, oggi componente del governo provvisorio libico. Belhadj avrebbe avuto in questi giorni un incontro con il governo turco per studiare come ampliare la collaborazione e l’appoggio ai ribelli siriani. Occidentali e libici avrebbero come base logistica, Iskenderun, in Turchia, e da qui farebbero quotidiane incursioni in Siria, obiettivo di queste operazioni e presenze è quello di evitare che la rivolta siriana sfugga di mano e che possa aprire la strada al terrorismo internazionale. Durante la crisi libica, agli inizi degli scontri, fu massiccia la presenza di consiglieri militari occidentali in Libia, preparando così la strada alle operazioni NATO. Oggi, invece, la presenza degli 007 occidentali in Siria ha una funzione di supporto e “controllo” degli insorti, difatti è impensabile prevedere qui una partecipazione militare della NATO o dell’Occidente sullo stile di quella attuata in Libia. Ma per fortuna qualcosa si muove.
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giovedì 1 dicembre 2011

Ho notato che…..

A cura di Roberto Di Ferdinando

Nelle ultime settimane ho notato un fatto che, in questo periodo di crisi, di spread e finanziarie continue, può apparire molto banale, ma non per questo ho timore di condividerlo su RI. Prendete un giornale di oltre un mese fa ed uno di questi giorni. Cosa appare a prima vista? Cosa notate di differente? Quello che ho notato io è che la parola (cognome) Berlusconi oltre un mese fa appariva dalla prima alla quindicesima pagina di tutti i giornali italiani, sia nei titoli che negli articoli, ed in molte pagine dei quotidiani e riviste straniere. Ed oggi? Oggi Berlusconi non è più citato nelle prime pagine dei quotidiani. Un esempio: sul Corriere della Sera di oggi, Berlusconi era citato nella didascalia di una foto a pag. 10, poi il deserto. Anche negli articoli dedicati alla strategia del PDL nell’appoggiare più meno le scelte economiche del governo Monti, Berlusconi è citato due volte, meno di Alfano e dei “colonnelli” La Russa e Gasparri. Una dimostrazione che fino a quando si ha potere si è sulla ribalta, ma perso questo per essere considerati (ricordati) occorre (aver dimostrato di) possedere altissime capacità e qualità, altrimenti le luci si spengono rapidamente.
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mercoledì 30 novembre 2011

La salma di Franco

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Il nuovo governo spagnolo, che si insedierà prima di Natale, avrà un’ulteriore questione da affrontare, come se non bastassero già quelle di natura economica e finanziaria, e sarà di natura storica. Infatti sei mesi fa 12 professori universitari, docenti di diritto, storia e scienze politiche furono incaricati dal precedente governo a dare un parere sull’opportunità o meno di spostare la salma del generale Francisco Franco, il Caudillo che rimase al potere in Spagna dal 1939 al 1975. Attualmente i resti di Franco riposano nella Valle de los Caidos, il mausoleo presso Madrid che raccoglie tutti i caduti (repubblicani e franchisti) della guerra civile spagnola (1936-39). I dodici hanno sentenziato, invece, che la salma sia traslata dalla Valle e che la famiglia del Generale stabilisca un altro luogo dove conservarla. In verità tre dei dodici esperti hanno dissentito dalla decisione dei loro colleghi, dichiarando di fatto che la esumazione contribuirebbe a dividere l’opinione pubblica. Il governo Zapatero volle la commissione dei professori, secondo alcuni critici, perché l’ormai ex premier spagnolo voleva così colpire il partito popolare, in vantaggio nelle previsioni di voto, che ha tra le proprie fila gli eredi della destra franchista. Il Partito Popolare guidato da Mariano Rajoy, che ha vinto le elezioni e che sarà il prossimo premier, invece, ha fatto capire che difficilmente rispetterà la decisione dei 12.
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I prodotti “halal”

(fonte: articolo di Carlo Panella su Espansione), a cura di Roberto Di Ferdinando

Con la parola araba halal si indicano i prodotti del settore alimentare, cosmetico e farmaceutico che possono essere acquistati dai musulmani in quanto per la loro produzione è garantito il rispetto dei dettami del Corano. I prodotti “halal” riguardano un mercato mondiale dal valore di 500 miliardi di euro annuali (54 in Europa e 5 in Italia). Il fenomeno commerciale è talmente importante che recentemente in Italia è nata un’organizzazione di professionisti (Halal Italia) che, in collaborazione con la Comunità Religiosa Islamica Italiana (Co.re.is.), verifica questa conformità e rilascia una certificazione che vale tre anni. Quindi tutti i prodotti per essere certificati halal non devono contenere carne di maiale; non solo, gli animali devono essere macellati secondo un particolare procedimento: sgozzati con una lama affilatissima che è usata esclusivamente per il rituale della macellazione, il gesto deve essere unico e continuo, senza interruzioni, colui che lo compie deve essere musulmano ed al momento di questo atto deve pronunciare in arabo il basmalah, cioè le seguenti parole: “in nome di Dio, Clemente, Misericordioso”, e rivolgere il capo dell’animale verso la Mecca.
Inoltre tutti i prodotti per avere tale certificazione non devono contenere alcool o derivati o composti chimici dell’alcool, ne grassi derivati da carne impura. Ovviamente i prodotti, prima di essere halal, devono essere conformi alle normative europee e italiane in tema di igiene e sicurezza alimentare.
L’Iniziativa Halal Italia ha ottenuto il sostegno da parte dei ministeri della Salute, degli esteri, dello Sviluppo economico e dell’Agricoltura, e i ministri di questi dicasteri nel 2010, presenziarono alla presentazione ufficiale di Halal Italia che si svolse nelle sale della Farnesina.
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martedì 29 novembre 2011

RI suggerisce "Gandhi, il risveglio degli umiliati". Autore Jacques Attali, Editore Fazi 2011. Commento di Francesco Della Lunga

Per quale ragione dovremmo tornare a leggere Gandhi e la sua azione politica e spirituale? Forse perché anche nell’era contemporanea potremmo avere bisogno di un Gandhi, o anche una piccola parte di quello che questo piccolo ma grandissimo uomo seppe fare. Ma forse anche perché il percorso del più famoso padre dell’indipendenza indiana fu commovente ed allo stesso tempo spettacolare. Per chi abbia interesse a conoscere le linee portanti del suo pensiero o rileggerlo in chiave più critica si possono suggerire due letture di base con due volumi di facile reperibilità sugli scaffali delle principali librerie. Il primo, un volumetto dell’Einaudi, dal titolo “Antiche come le montagne”, racchiude le principali massime e citazioni del suo pensiero. Il secondo invece, dal titolo “Gandhi, Il risveglio degli umiliati” ci permette di ripercorrere la vita, la lotta politica e spirituale di una delle personalità più illustri di tutto il Novecento ovvero del Mahatma Gandhi, colui i cui “pensieri, parole, azioni sono in totale armonia”.
Un invito a leggere ed a scoprire o riscoprire questa grandissima personalità la cui vita irripetibile si intreccia fra la sua personale ricerca della spiritualità vista come un percorso che ogni indiano (ma anche ogni essere umano) avrebbe dovuto fare, la ricerca della Verità come unico metodo per arrivare vicini a Dio, l’affermazione della consapevolezza come mezzo per gli umili per affermarsi in un mondo in cui la disparità sociale era stratificata. La Verità e le forme assolutamente originali con le quali Gandhi l’avrebbe espressa sarebbe stata poi la base ed il mezzo per il perseguimento di un grande obiettivo politico, l’Indipendenza, che l’India stava maturando e che avrebbe concretizzato proprio grazie all’azione politica di Gandhi. Preparazione spirituale prima, presa di coscienza dell’importanza della nazione indiana nella Storia e della sua ineluttabilità verso l’indipendenza, azione politica conseguente. Gli strumenti principali di questa azione, già sperimentata con un certo successo in Sudafrica, sarebbe sfociata nell’azione “non violenta” (o ahimsa) spinta fino alle estreme conseguenze, fino al ribaltamento della dicotomia non violenza/violenza ed al suo ribaltamento e quindi con l’affermazione della forza della non violenza rispetto alla violenza pura. La “non violenza”, a seconda della finalità, avrebbe potuto sprigionarsi con la ribellione alle decisioni dell’autorità inglese, i digiuni di massa, la non collaborazione, il boicottaggio delle merci occidentali. Sulle merci quali espressione del mondo occidentale Gandhi nutrì sempre una forma di rifiuto e diffidenza perché da un lato le riteneva lontane dalla cultura della popolazione indiana, dall’altro perché ritenute strumenti di un mondo che avrebbe condannato la nazione alla dipendenza dallo straniero.
Gandhi percepisce forse per primo fra i leader di fine Ottocento l’importanza della comunicazione politica, da qui la fondazione di giornali attraverso i quali far conoscere il proprio pensiero (ad esempio la testata denominata Harijan, figli di Dio, termine con il quale Gandhi chiamava i Dalit) , la potenza simbolica di concetti chiave come “ahimsa” o “nonviolenza”, oppure la resistenza passiva, lo sciopero della fame o satyagraha, il boicottaggio, ma anche un’azione sociale e politica che fece di lui una delle persone più affascinanti e di grande ascendente presso i circa 400 milioni di indiani del tempo.
Eppure, nonostante la Non Violenza e Verità, resistenza passiva e boicottaggio, digiuni e non collaborazione Gandhi non sarebbe riuscito a sconfiggere direttamente con la sua azione l’impero Britannico. Le cause dell’abbandono dell’India, come anche per le altre colonie inglesi sparse per il mondo, sarebbero state da attribuire in larga parte dallo sforzo condotto durante il secondo conflitto mondiale dal quale la Gran Bretagna, pur vittoriosa nella guerra, avrebbe dovuto abbandonare il suo ruolo di potenza mondiale nonostante l’ostinazione di Churchill che espresse il suo scetticismo verso la concessione di forme di indipendenza anche tenui e di cui si ricorda una celebre battuta con la quale sostenne di “non essere diventato Primo Ministro per mettere in liquidazione l’Impero Britannico”. Gandhi visse spesso questi insuccessi anche con frustrazione, comprendendo che gli indiani non erano, nonostante tutto, ancora pronti ad abbracciare la Non Violenza e la Verità. La Violenza, che Gandhi avrebbe combattuto fino alla fine e per colpa della quale sarebbe caduto, non sarebbe stata estirpata dalla sua azione politica. Ma anche il suo messaggio non sarebbe stato compreso a pieno dagli indiani. La sua lotta in favore degli intoccabili o a favore degli ultimi della terra, il suo desiderio di riunire, in continuità con il lascito dell’Impero Britannico Hindu e Musulmani, non sarebbe stato compreso. Gandhi morì nel 1948 dopo che la violenza religiosa ed interetnica aveva preso il sopravvento, già durante l’epilogo della Seconda Guerra Mondiale ed esplosa dopo l’abbandono dell’India da parte della Corona Britannica. Sarebbe morto per mano di un Musulmano (Nathuram Godse), comunità verso la quale Gandhi avrebbe espresso sempre il suo più totale ed incondizionato sostegno.
L’autore, dopo aver ripercorso efficacemente i punti principali della vicenda politica e spirituale del Mahatma, prova a tracciare un bilancio alla luce anche dello sviluppo che l’India ha avuto in questi anni. Intanto fa un sunto del suo pensiero affermando che “senza dubbio, l’aspetto più affascinante ed importante di Gandhi” riguardava il fatto che “per cambiare il mondo, bisogna cambiare se stessi ed avere come più alta ambizione, modesta ed orgogliosa al tempo stesso, quella di dominare la propria violenza, i propri desideri, la propria sessualità, i propri sentimenti, per liberarsi di qualsiasi traccia di bestialità; poi con l’aiuto delle pratiche ascetiche e di meditazione, ottenere un potere su di se rinunciando al potere sulle cose; infine, e solamente infine, mettere questo potere al servizio di un ideale di un’estrema esigenza, facendone dono agli altri”. “Gandhi sapeva, per esperienza, che ogni uomo, lui compreso, poteva diventare un bruto, un mostro, un assassino. Che ciascuno aveva ed ha dentro di sé allo stesso tempo una bestialità smisurata ed una formidabile capacità di amore. Dunque si riconosceva il diritto di predicare solo ciò che lui stesso riusciva a mettere in pratica. Mentre tutti gli altri leader rivoluzionari si accontentavano di elaborare dei piani per cambiare il mondo dalla propria scrivania, lui non voleva imporre un “uomo nuovo”, ma voleva diventarlo lui stesso e convincere poi con il suo sacrificio. Preferiva dare l’esempio piuttosto che lezioni”.
Al di là degli strumenti da lui inventati ed utilizzati per la sua battaglia politica (in larga parte assai attuali anche nella nostra epoca, soprattutto il boicottaggio, strumento utilizzato con frequenza, fra gli altri, dai movimenti antiglobalizzatori mentre altri funamboli della politica, come l’italiano Pannella, attuano spesso digiuni per protestare contro leggi ritenute inique), al di là del raggiungimento dell’Indipendenza indiana, al di là anche dei fallimenti che avrebbe patito, rimane un messaggio di speranza del quale, anche gli scettici, sentono il bisogno.

domenica 27 novembre 2011

L’esame che paralizza la Corea del Sud

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Il 10 novembre scorso la Corea del Sud si è completamente bloccata per non disturbare i 690 mila candidati all’esame CSAT (College Scholastic Ability Test), cioè l’esame che ogni anno seleziona i giovani più preparati per accedere alle migliori università nazionali. Il blocco è stato totale, in quanto in Corea del Sud tale test è una cosa seria. Infatti, l’accesso alle migliori università per i coreani rappresenta forse l’unica via per arrivare ai migliori (più pagati e più prestigiosi) impieghi professionali. Quindi nelle settimane che precedono il test-day i ritmi della quotidianità di molti coreani sono dettati dall’esigenza di arrivare a quel giorno, non solo preparati sulle materie, ma anche in salute, lucidi e con una buona dose di fortuna dalla propria parte. Ecco quindi che il paese si adatta a queste esigenze. I candidati al test cambiano la loro dieta, in particolare si eliminano cibi che potrebbero richiamare eventi sfortunati, ad esempio la banana (la buccia di banana è legata all’immagine dello scivolone), niente porridge (è un “pasticcio” di riso, quindi non bisogna richiamare in alcun modo la possibilità di sbagliare), vietate alghe e snack, anch’essi legati al significato di scivolare, cadere. La perfetta preparazione all’esame coinvolge anche la religione ed i momenti spirituali. I templi buddhisti organizzano riti specifici per i candidati e le loro famiglie che vivono questi giorni con grandi aspettative, speranze, ma anche timori, mentre nelle chiese di svolgono preghiere e si celebrano funzioni al caso. Nei giorni precedenti al test è consigliato, quale buoni auspici, regalare carta igienica (ha il significato di risolvere) e forchette (cogliere l’occasione, arpionare le risposte giuste). E dato che i candidati in questi giorni sono quasi “sacri”, ecco i consigli dati agli esaminatori del test ed alla cittadinanza perché non li disturbino. I docenti che dovranno presiedere alla prova d’esame sono invitati a non tossire, a non utilizzare profumi invadenti ed a non masticare gomme. Per evitare che i gli esaminandi siano distratti da particolari rumori in quel giorno gli orari degli aerei sono stravolti, mentre le borse affari, molti uffici ed attività aprono un’ora più tardi per permettere ai candidati di arrivare alla sede del test senza incontrare particolare traffico, nonostante sia concesso loro, in particolari casi, anche la scorta della polizia.
Esami simili ed a cui è data la stessa importanza (in Corea del Sud è aumentato il numero di suicidi tra i giovani che non riescono a superare il CSAT), si svolgono anche in Cina (gaokao) ed in Corea del Nord.
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Il Ministero degli Affari Esteri italiano vende

(fonte: Il Mondo), a cura di Roberto Di Ferdinando

Nel momento in cui l’Italia è al centro di una crisi economica e finanziaria a tutti è chiesto un sacrificio ed anche lo Stato sta valutando e muovendosi per snellire (risparmiare) la propria macchina. Ai vari ministeri è stato chiesto di ridurre le spese e mettere sul mercato beni immobili inutilizzabili od esosi per il loro mantenimento. Anche al Ministero degli Affari Esteri italiano, l’“elegante” rappresentante dell’Italia all’estero, è stato chiesto di dismettere più o meno prestigiose sedi o dimore oggi inutilizzabili. Ecco quindi che il ministero si è subito messo in azione. I giuristi della Farnesina hanno espresso un parere all’ex governo Berlusconi, ribadito a quello Monti, sulla possibilità di permettere l’alienazione dei beni immobili posseduti dal dicastero all’estero, più problematica, invece, la vendita per quei beni provenienti da lasciti ereditari. Secondo la rivista il Mondo, un gruppo di giovani ambasciatori sta compilando l’elenco dei vari immobili da porre sul mercato, cercando di risolvere, dove si presentano, problemi e vincoli per la loro vendita. La lista comprenderebbe circa 60 immobili ed alcuni terreni, gli immobili riguardano appartamenti o sedi di consolati ormai chiusi, in particolare in Svizzera, Francia e Germania. Tra le proprietà sul mercato l’ex consolato italiano a Bellinzona, Svizzera (1.700 mq valutato 2,25 milioni di euro, ma che necessita di un intervento importante di ristrutturazione), oppure il consolato, anch’esso chiuso da anni, di Antananarivo, in Madagascar. La vendita di questi beni, attraverso aste o contrattazioni private, permetterebbe alla Farnesina di incassare tra i 30 e i 50 milioni di euro. Ma la cifra potrebbe aumentare, infatti, si è pensato anche di vendere prestigiose sedi consolari o dei nostri istituti di cultura all’estero, per trasferirli in sedi più economiche. Tale discorso è più difficile per le sedi dell’ambasciate in quanto forti sono le resistenze della diplomazia di dismettere queste residenze e sedi, inoltre esistono per molte sedi di ambasciate degli accordi gratuiti di comodato d’uso o di scambio con il paese ospitanti. Ad esempio, l’ambasciata italiana a Parigi, in rue Varenne, è di nostra disponibilità secondo uno scambio, infatti a Roma, all’ambasciata francese è stato concesso, gratuitamente, palazzo Farnese (ex ambasciata a Roma del Regno delle Due Sicilie e confiscato dal Regno d’Italia nel 1860).
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martedì 22 novembre 2011

Israele continua la sua guerra non dichiarata

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Circa 15 giorni fa nella base militare di Bigdaneh, in Iran, è avvenuto un incidente che ha provocato la morte di 17 persone, tra cui il generale Hassan Moghaddam, il responsabile dei programmi missilistici iraniani. Secondo alcune fonti di intelligence, non si tratterebbe di un incidente, ma di un vero e proprio sabotaggio, messo in atto dai servizi segreti israeliani. E’ noto che se l’Iran dovesse riuscire a dotarsi di un arsenale nucleare il paese più esposto ad un aggressione missilistica iraniana sarebbe Israele, il quale non credendo molto sul fatto che le istituzioni internazionali condannino e sanzionino l’Iran per il suo progetto nucleare non pacifico, ha deciso di continuare nella sua strategia di guerra non dichiarata a Teheran. Infatti non è la prima volta che accadono misteriose esplosioni nelle basi missilistiche iraniane o che militari o tecnici che operano al progetto nucleare degli ayatollah muoiano in circostante ed attentati misteriosi. Non solo, due virus informatici (Stuxnet e Duqu) avrebbero infettato gli impianti nucleari iraniani rallentandone i lavori. Tutti questi attacchi sarebbero opera del Mossad, appoggiato dai servizi segreti Usa e britannici. Nessuna conferma, ma la portata e le modalità operative degli attentati farebbero pensare ad Israele. E questa serie di incidenti sta mettendo in confusione le gerarchie iraniane, mai certe dinanzi ad un incidente se sia un sabotaggio od un fatto casuale. Non a caso le autorità iraniane stanno indagando sulle cause della morte a Dubai di Ahmad Rezai, figlio di Mohsen, ex capo dei Pasdaran. La morte di Ahmad sarebbe avvenuta per motivi naturali, ma essendo Dubai un centro di traffici e di spionaggio non è da escludere un’”eliminazione mirata”.
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domenica 13 novembre 2011

Per favore, fermatelo!

A cura di Roberto Di Ferdinando

Il presidente francese Sarkozy si è offerto al Presidente della Repubblica, Napolitano, di venire in questi giorni a Roma, accompagnato dalla cancelliera Merkel, per sbloccare la questione politica e le ultime resistenze del PDL sull’incarico a Monti e coordinare con il nuovo premier italiano l’agenda economica e finanziaria del nostro paese. Basta, sinceramente basta. Non ne posso più di Sarkozy ed in particolare della sua spocchia che poi non ha nessun fondamento. Dopo aver offeso pubblicamente il Presidente del Consiglio italiano, prima dandogli di uomo senza testa (intervista rilasciata al filosofo Levy e pubblicata la settimana scorsa del Corriere della Sera), e poi sbeffeggiandolo, con sorrisi ed ammiccamenti, all’ormai famosa conferenza stampa di Cannes del G20, adesso offende l’Italia, dicendoci che ci spiegherà lui come e da chi dovremmo essere governati e quali provvedimenti prendere. Ma come mai tutto quest’attivismo e risentimento verso l’Italia? La situazione economica del nostro paese ovviamente sta mettendo in crisi l’UE e la zona Euro, e se dovessimo dichiarare default (al momento molto difficile), la prossima economia ad essere sotto attacco ed in grossa difficoltà sarebbe quella francese. Infatti Parigi e Berlino stanno mandando lettere e cartoline a vari paesi comunitari, oggi a Grecia ed all’Italia, e prima ancora all’Irlanda, al Portogallo ed alla Spagna. Ma come mai nessun intervento (lettera, invito, sms, mail) a Parigi? Il deficit francese si aggira infatti intorno al 7% (non dovrebbe superare il 3%) ed il debito pubblico tocca l’87% del Pil (non dovrebbe superare il 60%). Certa nostra stampa raramente ricorda questi dati, più inclini ad esaltare le iniziative comunitarie di Sarkozy che però è mosso solo ed ovviamente, dall’interesse francese. Le banche francesi infatti sono in difficoltà perché si erano esposte precedentemente con il caso dei fondi subprime e principalmente con la Grecia. Se la crisi non si fermasse i mercati finanziari punirebbero, per i parametri non rispettati, la Francia, non a caso da alcune settimane le agenzie di rating stanno valutando di confermare oppure no la triplice A ai titoli di stato francesi. Un declassamento francese nel 2012, anno delle elezioni presidenziali francesi,sarebbe per Sarkozy un’umiliazione troppo grande e pregiudicherebbe di fatto la sua rielezione. Non è infine da escludere che le mosse supponenti contro l’Italia del nuovo Napoleone, che mirano a formare un governo tecnico e non politico, siano anche dovute ad un piano di assalto della finanza francese ai gioielli di famiglia dell’Italia (Eni, Enel e Finmeccanica), come già avvenne nel 1992 durante l’ultima crisi italiana.
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sabato 12 novembre 2011

UNA NUOVA COSCIENZA PER UN NUOVO PIANETA

"Abbiamo raggiunto un punto di cruciale importanza nella nostra storia.
Siamo all'inizio di un nuovo periodo di evoluzione sociale, spirituale e culturale.
Stiamo evolvendo verso un sistema interconnesso, basato sull'informazione,
che abbraccia l'intero pianeta.
La sfida che ora dobbiamo affrontare è quella di scegliere il nostro futuro e creare una società globale pacifica e cooperante, continuando così la grande avventura dello spirito e
della consapevolezza sulla Terra".

estratto dal “Manifesto della Coscienza Planetaria”
firmato da Premi Nobel della Pace e personalità internazionali.

http://www.censimentoglobale.it/


I CREATIVI CULTURALI E LA NASCITA
DELLA NUOVA CULTURA GLOBALE
Il sociologo Paul Ray ha definito i “Creativi Culturali” come le persone sensibili al degrado della Terra e al dolore umano, che si interessano all’ecologia, alla pace, al volontariato, ai diritti umani, alla salute naturale, alla spiritualità, al commercio etico. I Creativi Culturali siamo tutti NOI che in ogni parte del mondo desideriamo un mondo migliore e cerchiamo di realizzarlo con amore nella vita quotidiana e nella società. Noi e le nostre associazioni stiamo creando una nuova Cultura Globale. Secondo le ricerche sociologiche internazionali (Usa, Italia, Giappone, Francia, Ungheria, ecc.) oggi siamo il 37-40% della popolazione e siamo in costante crescita. Siamo un numero enorme di persone responsabili e creative che potrebbero cambiare la società e le scelte globali ma NON abbiamo potere perché siamo frammentati in miriadi di movimenti e associazioni.
NON siamo consapevoli di essere parti del più grande
Movimento Culturale Planetario mai esistito.
IL PROGETTO GLOBALE 2012 - 2018
LA MASSA CRITICA E LA RETE PLANETARIA
LA CRISI GLOBALE SI PUO’ RISOLVERE SOLO CON UN SALTO DI CONSAPEVOLEZZA
Per cambiare la situazione occorre una “Massa Critica” dell’1% di persone e associazioni
che si riuniscano consapevolmente!
Per creare insieme un futuro vivibile, prima che il degrado ecosistemico e sociale diventi irreversibile,
occorre raggiungere entro la fine del 2012 una Massa Critica di 60 milioni di persone nel mondo (450 mila in Italia), che darà vita alla Rete Globale delle associazioni che operano per un mondo pacifico e sostenibile
riunendo così gli oltre 2 miliardi di Creativi Culturali oggi sparsi in ogni angolo della Terra
Uniti possiamo realizzare la nostra visione di una società globale pacifica e cooperante.
SE ANCHE TU VUOI UN PIANETA
PIU’ UMANO PACIFICO E SOSTENIBILE
ISCRIVITI ORA AL CENSIMENTO GLOBALE: http://www.censimentoglobale.it/

Club di Budapest

Fondato nel 1993, il Club di Budapest è un'associazione internazionale dedicata a sviluppare un nuovo modo di pensare e nuove etiche che aiuteranno ad affrontare i cambiamenti sociali, politici ed economici del XXI secolo.

Con il suo elenco di rinomati membri internazionali e giovani persone creative e attraverso i suoi Club Nazionali con i loro ampi spettri di progetti e attività, il Club avvia un dialogo tra generazioni e culture, tra scienza e arte, tra teoria e pratica, ciò aiuta lo sviluppo effettivo di strategie per azioni eticamente responsabili con un intento globale.

La filosofia del Club di Budapest è basata sulla realizzazione che le enormi sfide che l’umanità sta attualmente affrontando possono essere sconfitte solamente attraversio lo sviluppo di una coscienza culturale globale.

Il punto di vista del Club di Budapest è focalizzato su una coscienza culturale con una prospettiva globale.

Come Greenpeace combatte per le questioni ecologiche, l’UNICEF per i bambini e Amnesty International per i diritti umani, il Club di Budapest si batte per i valori culturali e per il valore della/e cultura/e.


Il Club interpreta se stesso come un costruttore di ponti tra scienza e arte, etica ed econ omia, tra cognizione e realizzazione, tra vecchio e giovane, così come tra le differenti culture del mondo. Uno dei primi obiettivi del lavoro dei club è lo sviluppo di una "Nuova Etica".

Lo sviluppo di un nuovo modo di pensare richiede grande creatività. Questo è sempre stato di dominio di artisti, scienziati, pensatori non convenzionali e insegnanti spiritualin e più recentemente da imprenditori. Con la loro ispirazione, potere creativo, visioni e rilevanza universale, essi hanno, in ogni generazione, procurano gli impulsi che aiutano a dar forma a valori culturali. Come membri creativi così come membri onorari, essi giocano un ruolo decisivo nello sviluppo del Club. I valori del Club di Budapest sono da sentirsi obbligatoriamente non come un dogma costituito. Essi sono derivati da una totale attitudine al dialogo.

Per ulteriori informazioni: http://www.club-of-budapest.it/main.htm

Bin Laden ucciso in 90 secondi

(fonte: Il Giornale), a cura di Roberto Di Ferdinando

Le autorità statunitensi non hanno mai rivelato i particolari dell’operazione di Abbottabad del maggio scorso quando i reparti speciali USA uccisero il ricercato numero uno: Osama Bin Laden. Secondo le poche notizie diffuse dal Pentagono e dall’amministrazione Obama, Bin Laden fu ucciso dopo un prolungato conflitto a fuoco, durante il quale Osama si era difeso con le armi. Invece i fatti sembrerebbero essere andati diversamente ed a renderli noti è un libro che è prossimo ad uscire e dal titolo “Seals, Target Geronimo” (i Seals sono i reparti speciali della marina statunitense e Geronimo era il nome in codice che i servizi segreti USA avevano dato ad Osama – i nativi americani non devono essere stati contenti di aver visto chiamare un terrorista con il nome di un fiero guerriero indiano). Autore del libro è Chuck Pfarrer, ex comandante per l’appunto proprio dei Seals, che ha intervistato personalmente i protagonisti dell’operazione, che comunque nel libro rimangono, opportunamente, anonimi. Il Comando delle Forze Speciali statunitensi ha però dichiarato che il libro non è stato autorizzato e che Pfarrer non avrebbe mai incontrato i marines. Eppure il libro, secondo le anticipazioni uscite nei giornali, risulta contenere particolari dettagliati sull’operazione e quindi da ritenere attendibile. Pfarrer racconta che il reparto dei Seals si calò dall’elicottero con le corde direttamente al terzo piano della palazzina di Abbottabad ed iniziò a controllare il corridoio e le stanze, quando ad un certo punto si aprì una porta. Osama si affacciò nel corridoio per chiudere subito violentemente la porta. Due Seals fecero irruzione nella stanza e videro Amal Al sadah, la moglie 27enne yemenita di Osama che copriva con il proprio corpo il marito. Il primo incursore fece fuoco con il mitragliatore M4, con silenziatore, e colpiscì la caviglia della donna, che cadde a terra, Bin Laden, scoperto, quindi si buttò di lato e tentò di prendere il suo fedele kalashnikov, ma prima fu colpito al petto e poi un secondo proiettile lo trafisse sotto l’occhio uccidendolo sul colpo. L’operazione si concluse in 90 secondi (secondo la versione ufficiale i Seals entrarono nella villetta dal piano terra ed avanzarono e salirono al terzo piano facendosi strada con un continuo conflitto a fuoco). Il libro descrive poi in maniera molto umana i componenti di questi reparti super addestrati composti da proprie macchine da guerra. Scott Kerr (nome inventato da Pfaffer) è il comandante del gruppo dei sei Seals, e nel libro è descritto il momento in cui Kerr sente il suo cuore battere in maniera molto accelerata mentre sta per comunicare a Washington che Geronimo è stato abbattuto. Od ancora, Frankl Leslie (altro nome inventato dall’autore), sopravvissuto alla caduta dell’altro elicottero invisibile che era precipitato nell’avvicinamento alla villetta, che sente l’emozione mentre effettua l’analisi del DNA per confermare l’identità del cadavere. Secondo il comando USA la storia sarebbe inventata, ma Pferrer sembra aver dimostrato il contrario, infatti a dimostrare di aver intervistato effettivamente i componenti del gruppo e di aver avuto da loro la narrazione veritiera dei fatti, ha raccontato alla CNN l’incontro tra un capo della Cia, Mc Raven, e Scott Kerr, in cui Mc Raven spiegava al militare che il satellite posizionato sopra la villetta di Osama aveva confermato la presenza in quella casa del terrorista, grazie alla misurazione dell’ombra; un dettaglio che non era mai emerso nella versione ufficiale.
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Sarkozy ed Obama: “Netanyahu? Un bugiardo”

(fonte: Il Giornale)

“Non lo posso più vedere, è un bugiardo”. “Tu non ne puoi più di lui? E io allora che ci devo parlare tutti i giorni?”. È lo scambio di battute tra il presidente francese, Sarkozy (che nonostante la sua bassa statura, guarda tutti dall’alto verso il basso e in maniera spocchiosa giudica gli altri) e quello USA, Obama, invece il bugiardo di cui parlano è il premier israeliano, Netanyahu. Questa conversazione è stata colta dai giornalisti durante l’ultimo vertice del G-20, a Cannes, un fuori onda di cui non esiste una registrazione, ma le centinaia di giornalisti lì presenti giurano che le parole dette sono state queste. Il 3 novembre scorso, infatti, l’organizzazione consegna ai giornalisti le cuffie per la conferenza stampa dei due presidenti che non si accorgono, mentre si preparano, che uno dei due microfoni è acceso, ed ecco quindi lo scambio che è ascoltato dai presenti. Ma i giornalisti curiosamente non diffondono la notizia un po’ clamorosa, devono infatti trascorrere 5 giorni, prima che il sito “Arret sur images”, specializzato nell’analisi dei filmati diffonda l’interpretazione del labiale dei due leader. Giornalisti troppo zelanti verso i due potenti presidenti (sono troppo bravi per sbagliare!!!), tanto da autocensurarsi?
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Togliete il Nobel all’Aiea

(fonte: Corriere della Sera e Il Giornale)

In settimana l’AIEA (Agenzia internazionale dell’energia atomica), presieduta da Yukiya Amano, ha certificato che l’Iran dal 2003 sta lavorando alla bomba atomica. Ed a confermare, da almeno due anni, questa notizia sono i servizi segreti di almeno 10 paesi. Eppure fino a due anni fa, curiosamente, ma non tanto curiosamente, cioè fino a quando a capo dell’AIEA c’era stato l’egiziano Mohamed El Baradei, i rapporti dell’agenzia indicavano che lo sviluppo nucleare iraniano era solo pacifico. Non solo El Baradei, in quanto presidente AIEA fu insignito con la sua agenzia del premio Nobel del 2005 (una clamorosa topica). Al di là del premio buttato via (dovremmo interrogarci anche sull’effettiva importanza ed autorevolezza di questi premi) la preoccupazione oggi si sposta sull’Egitto. Infatti El Baradei è candidato alla guida del paese, che tra 15 giorni andrà al voto per le presidenziali. El Baradei ha annunciato in campagna elettorale di aprire ai Fratelli Musulmani e di rivedere il rapporto con Israele, forse auspica di tesserlo con i suoi amici iraniani, anche se sciiti? Che gioco faceva all’Aiea e fa oggi El Baradei?
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lunedì 7 novembre 2011

Tensioni tra Israele e Turchia per colpa del gas

(fonte: Espansione), a cura di Roberto Di Ferdinando

Ormai sono due paesi ex amici ed alleati Israele e Turchia. Recenti vicissitudini hanno portato alla rottura del loro strategico rapporto di “vicinanza”. Quindi nessun scalpore se oggi litigano, con forti tensioni, anche per il gas. Per il gas del Mar Egeo. Infatti a grande profondità marine esistono i più ricchi giacimenti di gas metano scoperti negli ultimi 10 anni. Le trivelle israeliane hanno iniziato a lavorare a circa 130 km dalle coste di Israele e quasi alla stessa distanza dalle coste di Cipro, che ha autorità sui giacimenti. Gerusalemme ha ottenuto il loro sfruttamento grazie ad un accordo stipulato con la repubblica greca-cipriota, storica “avversaria” della Turchia (Erdogan ha chiesto che i proventi siano condivisi anche con la parte turco-cipriota). Lo sfruttamento israeliano sarà completo nei prossimi anni e garantirà a Israele un’autosufficienza energetica (fondamentale visto l’accerchiamento ostile in cui deve vivere), non solo, potrà perfino esportare gas.
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Scenari di guerra in Medio Oriente

(fonte: Il Giornale), a cura di Roberto Di Ferdinando

Non si fa che parlarne, infatti sembra prossimo l’attacco israeliano all’Iran. Motivo del conflitto, tra i tanti secondo Gerusalemme, l’ormai certa disponibilità di Teheran di un armamento nucleare. Secondo gli analisti e gli strateghi militari Israele sarebbe in grado di portare un attacco aereo all’Iran per almeno 24 ore, un attacco che però non impedirebbe una risposta dura dell’Iran. Gli ayatollah potrebbero utilizzare vettori armati con testate convenzionali, chimiche, batteriologiche ed anche nucleari, per colpire Israele e le regioni meridionali dell’Europa (qualora l’attacco israeliano fosse appoggiato da paesi occidentali). Ma dinanzi all’utilizzo di armi di distruzioni di massa, Israele non avrebbe remore ad impiegare i missili balistici Jericho (gittata di 4 mila km) e le testate nucleari miniaturizzate che possono essere lanciate dai sottomarini che sono operativi nel Golfo dell’Oman. A questo punto, se in difficoltà, Teheran a sua volta amplierebbe il suo raggio d’attacco, colpendo obiettivi statunitensi e Nato in Irak ed Afghanistan (primo obiettivo colpire la base aerea Shindad) e qui inoltre verrebbero attivate le cellule dei locali miliziani che da anni sono finanziati ed armati dall’Iran. Un attacco all’Iran inoltre mettere in agitazione le piazze arabe, in particolare in quei paesi dove la “primavera” non ha avuto voce. Minacciata quindi l’apparente stabilità dell’Arabia Saudita e della penisola arabica. Ad aumentare le tensioni i continui proclami iraniani con cui si rivendica lo stato del Bahrain, sede del comando della Quinta flotta Usa, quale provincia iraniana. Non solo, Teheran controlla lo stretto di Hormuz e quindi le vie di trasporto del petrolio. Per ritorsione l’Iran potrebbe chiudere lo stretto e quindi bloccare circa il 50% delle forniture mondiali del greggio. Ed ancora, l’Iran ha una rete di pasdaran presente in vari paesi stranieri pronta ad attivarsi per colpire con attentati ambasciate e centri ebraici. Infine, come anticipato nel precedente post, l’Iran potrebbe colpire Israele attraverso gli Hezbollah in Libano; i missili forniti loro dalla Siria permetterebbero nei primi giorni del conflitto di lanciare almeno 1.000 missili (oltre a quelli forniti ad Hamas a Gaza) sul territorio israeliano. Una Terza Guerra Mondiale?
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sabato 5 novembre 2011

Prossimo obiettivo l’Iran?

(fonti: Corriere della Sera e Il Giornale)

Se ne parla ormai da alcuni anni, ma adesso sembra proprio prossimo un attacco militare all’Iran. Infatti non è stata smentita una notizia apparsa su un quotidiano israeliano di un attacco, in inverno od a primavera prossimi contro Teheran. Notizia poi confermata da un ufficiale inglese, rimasto anonimo, al Guardian. L’attacco difatti non vedrebbe l’intervento solo degli israeliani, ma esiste un piano più complesso dell’operazione, studiato dal Pentagono. I governi inglesi e francesi avrebbero già garantito ad Obama la loro disponibilità ad offrire l’utilizzo di propri reparti militari speciali, sottomarini e missili Tomahawk. Martedì prossimo l’Agenzia Internazionale sull’energia atomica (AIEA) presenterà un rapporto in cui sarà dimostrato che l’Iran entro il 2014 sarà in possesso della sua prima arma nucleare. Ma l’Iran comunque è già oggi una minaccia militare per Israele e la regione, infatti Teheran dispone di centinaia di missili Shibab 3 e Shibab 3b che possono raggiungere obiettivi a 2.100 km di distanza contenendo fino a 1.150 chili di dinamite o sostanze chimiche. La politica della mano tesa voluta da Obama e delle sole sanzioni sembra non funzionare, Teheran continua i suoi programmi nucleari, con il rischio che una volta che l’Iran ottenga l’arma nucleare anche l’Arabia Saudita e l’Egitto spingano per ottenerla, in tal modo la regione diventerebbe ancora più calda. Israele quindi non si fida ed ecco che la settimana scorsa gli israeliani hanno testato presso la base di Palmahim, vicino a Tel Aviv un nuovo missile a lungo raggio, mentre sul cielo di Sardegna si sono addestrati simulando attacchi a distanza aerei israeliani con Eurofighters italiani, Tornado tedeschi e F-16 olandesi. Ovviamente la scelta di attaccare l’Iran non sarà facile e leggera. Israele sta difatti studiando una operazione militare che metta subito Tehran in ginocchio impedendole una risposta efficace, la paura israeliana è che avviato l’attacco, potrebbe essere a sua volta obiettivo di circa 100.000 missili che le potrebbero essere sparati dall’Iran, dagli Hezbollah dal Libano, da Hamas dai territori di Gaza e dalla Siria. Infine Israele non crede fino in fondo ad un appoggio USA a questa operazione, e senza un avvallo di Washington sarebbe più dura far digerire all’opinione pubblica internazionale tale intervento militare. Infatti, Il governo Netanyahu non è convinto che Obama autorizzi un'altra guerra in un anno di elezioni presidenziali; non a caso nei giorni scorsi l’amministrazione statunitense ha mandato in Israele Leon Panetta, il capo del Pentagono, per sapere le reali intenzioni israeliane. Forse, però, questa volta Israele potrebbe anche agire da sola. Ancora poca pace in Medio Oriente.
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giovedì 3 novembre 2011

La Gran Bretagna punta alla felicità interna. A cura di Francesco Della Lunga

Ricordate il dibattito sulla felicità interna di cui anche Roberto, su RI ha parlato poco tempo fa? Pare che questo concetto abbia colpito la fantasia dei politici in un periodo in cui sono assai criticati ed in cui le vecchie politiche economiche e sociali hanno perso gran parte del loro fascino. Il Primo ministro britannico, David Cameron si starebbe convertendo al nuovo super indice sulla felicità interna di un paese perché effettivamente, in Gran Bretagna, avvolti dallo stereotipo della pioggia e della nebbia durante la stragrande maggioranza dell’anno (anche se questo elemento atmosferico pare, ahinoi, in disarmo …. pure lui!) si ha certamente bisogno di essere più solari e felici. A parte le battute, il governo starebbe seriamente lavorando su una lista di quesiti da porre ai cittadini britannici da cui desumerebbe non solo un indice da utilizzare in futuro come strumento di misurazione, appunto, dell’umore del paese, ma anche degli importanti suggerimenti per indirizzare al meglio le politiche economiche e sociali. Ma quali sarebbero queste famose domande? Ce lo racconta Repubblica, in un editoriale a firma di Enrico Franceschini, che presumibilmente verrà pubblicato nel numero di domani. Siete soddisfatti della vostra vita? Siete soddisfatti di vostra moglie (o di vostro marito)? Come giudicate la vostra salute fisica e mentale? Avete un lavoro e ne siete soddisfatti? Siete contenti di vivere nel vostro quartiere e avete paura del crimine? Siete soddisfatti del vostro salario? Avete ricevuto una buona istruzione? Vi fidate dei politici nazionali e locali? Queste sono le principali domande. Considerato il periodo è bene che queste domande non vengano fatte in Italia. Probabilmente le risposte sarebbero radicali. Nel nostro paese così assolato, la pioggia persiste in maniera particolare e non solo in inverno!
Francesco Della Lunga

mercoledì 2 novembre 2011

Quando i francesi non ridevano

A cura di Roberto Di Ferdinando

Il Patto di stabilità e crescita (PSC) è un accordo stipulato nel 1997 tra i paesi membri dell’UE, al fine di mantenere fermi i requisiti di adesione all'Unione Economica e Monetaria europea (Eurozona) ed entrato in vigore nel 1999. Il patto sancisce che gli Stati membri che, soddisfacendo tutti i cosiddetti parametri di Maastricht, hanno deciso di adottare l'euro, devono continuare a rispettare nel tempo quelli relativi al bilancio dello stato, ossia: un deficit pubblico non superiore al 3% del PIL e un debito pubblico al di sotto del 60% del PIL (o, comunque, un debito pubblico tendente al rientro). Il Patto prevede anche un sistema di richiami e sanzioni (avvertimento, raccomandazione e sanzione) per quei paesi membri e dell’eurozona, che non rispettano i suddetti parametri. Negli anni successivi molti paesi, tra cui anche i “primi della classe” Germania e Francia non hanno rispettato i parametri del Patto senza però essere mai sanzionati. Infatti, citando Mario Monti in un’ intervista di alcuni mesi fa a www.euractiv.it: “[…]quando la Commissione propose di conferire poteri più incisivi a Eurostat per vigilare sulla veridicità dei conti pubblici, la Francia e la Germania si opposero. Analogamente quando, nel 2003, questi due Paesi violarono il Patto di Stabilità e la Commissione propose di emettere gli avvertimenti del caso, così come era stato già fatto per Irlanda e Portogallo, il Consiglio Ecofin, sempre sotto la pressione di Francia e Germania e con l’aiuto dell’Italia, decise di non applicare il corretto enforcement delle regole”. In quel 2003, il voto dell’Italia, che in quella stagione nono era sotto controllo per i propri conti pubblici (deficit pubblico entro il 3% e debito pubblico in diminuzione, leggera, ma in diminuzione), fu fondamentale per far passare la linea politica dell’asse Parigi e Berlino ed evitare loro l’umiliazione della sanzione, sarebbe stata la prima volta che una sanzione avrebbe colpito le economie prime dell’UE. In quella stagione francesi e tedeschi, piangenti, ottennero aiuto, sicuramente non disinteressato, ma comunque un aiuto decisivo, degli “inaffidabili” italiani.
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lunedì 24 ottobre 2011

Omaggio ad Antonio Cassese

Apprendiamo dalle colonne di Repubblica.it la notizia della morte del Prof. Antonio Cassese, uno dei più noti e stimati giuristi di diritto internazionale. Per un suo profilo si può vedere l’articolo pubblicato da Repubblica di oggi:

http://www.repubblica.it/persone/2011/10/22/news/cassese_morte-23672785/?ref=HREC2-2

Apprendiamo con grande dispiacere dalle colonne di Repubblica la notizia della morte del Prof. Cassese. Docente di Diritto Internazionale alla Facoltà di Scienze Politiche Cesare Alfieri di Firenze, è stato uno dei più noti e stimati studiosi di Diritto Internazionale. Anche a noi piace ricordarlo, non tanto per il fatto di essere stati degli amici o dei conoscenti, perché siamo stati dei semplici studenti di quella materia alla preparazione del Concorso Diplomatico, quanto per quello che rappresentava per noi, un mito del Diritto Internazionale, presidente del Tribunale Speciale per i crimini della ex Jugoslavia, fra il 1993 con i conflitto in corso ed il 1997. Noi avevamo incrociato il Professore, eravamo fra i tanti studenti che hanno sognato, anche per un po’, di lavorare negli ambiti delle carriere internazionali e Diritto Internazionale era una materia che aveva il suo fascino. A noi piace ricordarlo così, come figura “mitica”, “irraggiungibile”, di grande prestigio, figure che riescono ancora a far sognare un po’ gli studenti e a far amare le discipline di studio, grazie al semplice carisma personale.

Francesco Della Lunga e Roberto Di Ferdinando

sabato 22 ottobre 2011

Le soldatesse australiane potranno andare in prima linea

(fonte: Sette-Corriere della Sera)

Il ministro della Difesa australiano, Stephen Smith, ha annunciato che entro 5 anni le soldatesse australiane potranno partecipare ad operazioni di prima linea, tra cui sminamento, difesa aerea, combattimento nell’artiglieria e cavalleria, quindi circa il 17% delle operazioni svolte dalle forze armate dell’Australia. Il ministro ha aggiunto, difatti, che “in futuro la scelta del ruolo di un militare in battaglia dipenderà quindi unicamente dalle sue capacità, non dal sesso”. Dal 1899 le donne sono arruolate nelle forze armate australiane ed oggi rappresentano il 12,8% del totale.
Non sono molti però i paesi dove le donne, non solo si possono arruolare, ma anche partecipare ad operazioni di guerra. Riporto di seguito alcuni dati in merito, pubblicati dal settimanale Sette-Corriere della Sera.
In Canada dal 1982 le donne si arruolano e possono essere impiegate in teatri di guerra, dal 2002 fanno parte anche degli equipaggi dei sottomarini.
In Gran Bretagna, le donne rappresentano il 9% delle forze armate, ma non possono essere impiegate in operazioni che possano prevedere la vicinanza o l’uccisione del nemico.
In Danimarca l’arruolamento alle donne è molto limitato, ma ad oggi le donne sono il 5% dei soldati dell’esercito, il 6,9% della marina e l’8,6% dell’aviazione.
Dalla nascita di Israele le donne partecipano alla difesa del paese. Per le donne il servizio militare dura due anni, ed è obbligatorio. In operazioni di guerra ad oggi sono impiegate 1.500 soldatesse.
Dal 2001 in Nuova Zelanda le donne possono arruolarsi in fanteria, mezzi corazzati e artiglieria.
In Italia, dal 1999 le donne sono ammesse nelle Forze Armate, ma non possono ricoprire ruoli in prima linea.
In Spagna, invece è dal 2007 che le donne si arruolano (sono il 9% sul totale dei soldati), ma qui possono essere dispiegate anche in teatri di guerra ed in prima linea.
Infine gli USA, dal 1941 esiste il Woman’s Army Auxiliary Corps e nel 1989, nell’invasione di Panama, per la prima volta nella storia militare statunitense, una donna, il capitano Linda L. Bray, ha guidato un plotone di uomini in battaglia.
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venerdì 21 ottobre 2011

Sangue e Sorrisi

di Roberto Di Ferdinando

La popolazione libica festeggia, e ne ha buoni motivi, la morte di Gheddafi, invece mi appaiono fuori luogo i sorrisi e le dichiarazioni di soddisfazione di molti leader politici del resto del mondo. Ancora una volta, come avvenne per l’assassinio di Osama Bin Laden, i capi di governo e di stato e i rappresentanti di istituzioni locali e mondiali esprimo il loro piacere per una morte. Soddisfazione per la morte di un tiranno, ma pur sempre una morte violenta di una persona. Gheddafi è stato ucciso disarmato, non sappiamo molto degli ultimi minuti di vita del rais, ma da quello che sappiamo e visto, al momento della sua esecuzione in strada era disarmato. Leggere ed ascoltare i presidente Obama e Sarkozy ed il premier Cameron esaltare la morte, e quella morte di Gheddafi, mi ha lasciato l’amaro in bocca. Credo, infatti, che questi importanti leader, a capo di importanti e storiche democrazie, avrebbero dovuto chiedere garanzie perché Gheddafi potesse essere giudicato da un tribunale internazionale (esisteva un mandato di cattura), o da un tribunale libico. Il fatto che si tratti di un dittatore, non significa che debba morire in maniera violenta, come lo stesso Gheddafi faceva uccidere molti suoi avversari. E’ proprio questo che si distingue una condotta civile da una incivile tipica di un dittatore. Anche se Gheddafi è stato ucciso da uno o più suoi connazionali, l’Occidente è comunque responsabile di questo assassinio violento verso un uomo disarmato. Ieri mattina il convoglio di auto su cui viaggiava il rais mentre lasciava Sirte, è stato colpito dai missili lanciati da un mirage francese e da un drone statunitense, coordinati dal comando della Nato. Ma la Nato, in Libia, non aveva come mandato quello di salvaguardare la popolazione libica dalla controrivoluzione di Gheddafi? A me pare che la Nato negli ultimi mesi sia andata oltre il mandato ONU, collaborando a stanare ed uccidere Gheddafi. Questo è stato possibile perchè una costruzione (democratica?) della Libia post Gheddafi senza la presenza, anche lontana, in esilio, del rais, appariva a molti leader occidentali la soluzione migliore, il rais era diventato una figura scomoda, Francia e Gran Bretagna hanno invece, adesso la possibilità di ritrattare i loro accordi commerciali con la nuova Libia, da un punto di forza maggiore. Non solo, molti leader che oggi sorridono alla morte di Gheddafi, nel recente passato hanno stretto la mano, sempre sorridendo al rais, ma in un civile processo, con un Gheddafi che avrebbe rievocato gli incontri cordiali con premier britannici e capi di stato francesi, illustrando gli accordi che queste storiche democrazie avevano stipulato con il folle dittatore di tripoli, sarebbe stata un’immagine un po’ imbarazzante, in particolare per il “volenteroso” Sarkozy. Gheddafi è stato condannato a morte senza un processo, la Nato ha condotta una guerra in Libia senza che l’opinione pubblica si ponesse dei dubbi sulla sua opportunità, Sarkozy e Cameron ben presto si recheranno a Tripoli per stipulare accordi energetici vantaggiosi per Parigi e Londra e tutti vissero felici e contenti.
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mercoledì 19 ottobre 2011

L’ex nazista agente della Germania Federale

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

La rivista tedesca Der Spiegel recentemente ha rivelato, citando documenti declassificati della CIA, che Franz Rademacher, collaboratore del Ministro degli Esteri del terzo Reich, Von Ribbentrop, ed ideatore del piano Madagascar - l’operazione che prevedeva la deportazione degli ebrei in Africa -, negli anni ’60 fu ingaggiato dai servizi segreti tedeschi. Rademacher nel 1952 fu condannato a tre anni e 5 mesi di reclusione per il suo passato nazista, ma lasciato in libertà perché non c’erano pericoli di fuga, fuggì dalla Germania per rifugiarsi in Siria, dove si mise in contatto con ex nazisti che appoggiavano la rivoluzione algerina. Nel 1962 fu arruolato, secondo i documenti della CIA, dai servizi segreti tedeschi, con cui aveva sempre mantenuto dei legami, inviando dal Medio Oriente periodici rapporti. Nel 1963 fu però arrestato dai siriani, riconsegnato ai tedeschi, condannato e nuovamente scarcerato. Morì nel 1973 mentre attendeva da anni un terzo giudizio, ma niente, fino alla scoperta dei rapporti CIA, era venuto fuori della sua collaborazione con le autorità federali tedesche.
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sabato 15 ottobre 2011

I droni USA

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

I droni sono velivoli aerei senza pilota che gli Stati Uniti stanno utilizzando da circa dieci anni per colpire obiettivi strategici e terroristi in territori ostili. Il nome tecnico è MQ-Reaper, ha un’autonomia di volo di circa 4.000 km, può mantenere una velocità di crociera di 370 chilometri orari e raggiunge l’altitudine massima di 15.240 metri. E’ armato con missili Hellfire e bombe a guida laser e costa 13,5 milioni di dollari. Il Pentagono e la CIA prediligono utilizzare questo velivolo per missioni delicate: dove non è possibile inviare soldati a terra o dove un caccia (con pilota) potrebbe essere intercettato, anche se, comunque, un caccia non può avere la precisione di un drone. I droni sono guidati via satellite da equipaggi che si trovano in territorio americano (una stazione di comando si trova in Nevada). Il primo Reaper ad operare fu nel 2002, su autorizzazione dell’allora presidente USA, George W. Bush, per colpire Al Harithi, un terrorista di Al-Qaeda. Ma il boom del suo impiego si è avuto con l’amministrazione Obama, infatti nel 2010 sono state portate a termine 118 missioni con i droni e nel 2011, ad oggi, le missioni compiute con questi velivoli telecomandati sono 50. I droni sono stanziati, pronti a partite per le loro missioni, nelle isole Seychelles (per colpire i terroristi Shabab in Somalia e Al-Qaeda in Yemen) ed a Gibuti, alcuni droni, per colpire in Afghanistan, sono partiti da aeroporti pakistani. Ma nel frattempo a Washington stanno studiando di potenziare l’impiego di questi velivoli, non a caso la diplomazia statunitense sta lavorando per avere le autorizzazioni ad aprire due basi per i droni, una in Etiopia e l’altra nella Penisola Arabica. Non solo, i tecnici militari USA stanno studiando anche una più evoluta versione dei droni. Oggi, infatti, l’equipaggio che guida a distanza il drone, si compone di un pilota e di un addetto alle armi, ed è quest’ultimo a premere il pulsante per colpire l’obiettivo. La nuova versione vedrebbe invece il Reaper guidato solo dal computer a cui spetterebbe la decisione di sganciare il missile; così, pensano gli ufficiali statunitensi, non vi sarebbero più i rimorsi di coscienza per l’addetto alle armi che, in caso di vittime civili (sono numerose quelle causate, per errore, dai missili dei droni), non potrebbe essere più incriminato.
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venerdì 14 ottobre 2011

Il modello turco per l’Africa

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Il premier turco Erdogan recentemente ha visitato ufficialmente i paesi nordafricani, registrando un buon consenso dalle locali popolazioni. Negli stessi territori africani, una volta sotto il controllo del Sultano di Istanbul, oggi la Turchia è presente, con una dinamica attività diplomatica ed economica (si vedano i precedenti post dedicati da RI alla Turchia). Ma la presenza turca nell’africa musulmana sta provocando malumore in alcune capitali arabe. Infatti l’Arabia Saudita e il Qatar ambiscono ad un ruolo primario nella fase post “primavera araba”, ed ancora l’Iran (paese comunque non arabo) che vede nella caduta dei vecchi tiranni nord africani la possibilità di sfruttare il vuoto politico per appoggiare i locali partiti religiosi e radicali ed essere il protagonista nella regione. Ma il modello islamista laico proposto dalla Turchia (che attrae anche per la sua forte crescita economica) è un pericolo per le ambizioni geopolitiche dell’Iran sciita ed del wahabismo saudita, un motivo in più, perché l’Occidente sostenga la politica, non solo africana, della Turchia.
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lunedì 10 ottobre 2011

Danimarca: il governo che piacerebbe all’anti-casta

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

La settimana scorsa si è insediato a Copenaghen, giurando dinanzi alla regina di Danimarca, il neo governo danese. Un governo che presenta molte novità. Per la prima volta per il paese scandinavo, il governo è guidato da una donna, Helle Thorning-Schmidt, di 44 anni a capo di una coalizione di centro-sinistra, dopo dieci anni di esecutivi di centro destra. Il nuovo governo è formato da 23 ministri, di cui 9 donne e l’età media dei ministri è di 43 anni. Il più giovane è Thor Moger, il ministro delle finanze, di 26 anni (il più giovane ministro della storia politica danese) e studente in Scienze Politiche. Moger ha un preciso programma finanziario: la tassa sul grasso (imposta addizionale sui cibi ipercalorici), imposte sulle sigarette ed una riforma fiscale che mira a ridurre la povertà. Ministro dell’Ambiente, Ida Auken di 32 anni, che ha promesso che entro il 2020 “metà di tutta l’energia consumata dalla Danimarca sarà tratta dal vento” e che la riduzione delle emissioni di CO2 sarà del 40%. Ed ancora, Manu Sareen, di 44 anni, di origine indiana che è il neo ministro della Chiesa e dell’uguaglianza e Astrid Krag Kristensen, 28 anni, ministro della Sanità (trattamento più rapido dei tumori, più attenzione alle cure psichiatriche per bambini e giovani, eliminazione della deduzione fiscale per l’assicurazione sanitaria privata. E come se non bastasse, tutto il governo si è presentato al Palazzo della Regina per il giuramento, in bicicletta, nessuna auto blu.
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lunedì 3 ottobre 2011

Strage di Bologna: la pista palestinese?

(fonte: Sette-Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, esiste una sentenza definitiva con cui sono stati individuati quali esecutori dell’attentato e giudicati colpevoli due neofascisti, Francesca Mambro e Valerio Fioravanti. Eppure ancora oggi sembra che tutto non sia stato accertato. A riaprire le polemiche su questa sentenza ed a rinnovare alcune perplessità sulle indagine di allora, la notizia recente che due estremisti tedeschi, legati al terrorista internazionale Carlos, fossero presenti sulla scena dell’attentato. Tale notizia ha rilanciato la teoria, caldeggiata anche dalle memorie di Francesco Cossiga, che la strage possa essere responsabilità del terrorismo palestinese, eppure fin dall’inizio, nonostante alcuni indizi, tale pista non fu mai percorsa dagli investigatori. Angelo Panebianco, dalle pagine di Sette, prova ad avanzare delle ipotesi per queste “mancanze” d’indagine. “negli anni Settanta/Ottanta vigeva quello che Cossiga battezzò il “lodo Moro”, un’intesa tacita fra l’Italia e i movimenti armati palestinesi che assicurava ai loro aderenti un occhio di riguardo, anche sul nostro territorio, da parte delle autorità italiane”. Infatti, secondo i sostenitori della pista palestinese, la stage fu provocata, volutamente, oppure accidentalmente (l’esplosivo detonò mentre alcuni terroristi palestinesi lo stavano trasportando, oppure mentre transitava quale pacco merce spedito dal nord Europa ed Italia e destinato per un altro obiettivo) dai terroristi palestinesi, e se fosse venuta fuori questa verità dalle indagine, sarebbero entrate in crisi il governo democristiano e la sua politica filo-palestinese e filo-araba. Invece “era molto più rassicurante (e creare anche molte meno rogne nei rapporti DC e PCI) ricondurre alla pista nera l’attentato”.
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giovedì 29 settembre 2011

Google a Gerusalemme

(fonte: Sette-Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Dopo quattro anni il governo israeliano e Google sono arrivati ad un accordo. Google infatti prossimamente potrà attivare il servizio Street View a Gerusalemme, cioè la mappatura tramite foto e fruibile on line di tutte le vie della città. Il governo di Israele ha sciolto la sua riserva su questa iniziativa dopo che ha ottenuto tutte le garanzie sulla sicurezza; non a caso è vietato ai turisti fare fotografie dall’aereo. Non tutti gli abitanti di Gerusalemme però hanno accolto la notizia positivamente. Ad esempio gli ebrei ortodossi del quartiere di Mea Sharim che si oppongono fermamente alla riproduzioni di immagine della loro zona, e ritengono i turisti che si addentrano al loro quartiere degli intrusi, e spesso gli “accolgono” a sassate. Invece il comune di Gerusalemme vede in Google Street View un servizio utile per i turisti. Israele è il primo paese del Medio Oriente in cui verrà attivato tale servizio.
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lunedì 26 settembre 2011

La mancanza di Obama

A cura di Roberto Di Ferdinando

Durante il discorso per la 66esima Assemblea Generale dell’Onu a New York, il 21 settembre scorso, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, nel commentare l’iniziativa ONU-Nato in Libia ha ringraziato tutti i paesi che hanno composto il Club dei Volenterosi, escludendo però dall’elenco e quindi dai ringraziamenti solo l’Italia. Molti analisti, più nazionali che internazionali, hanno interpretato questa voluta dimenticanza quale il desiderio dell’amministrazione USA di non dare una sponda, un appoggio a Silvio Berlusconi al centro di più questioni giudiziarie, sostenendo il pensiero diffuso e condiviso in Occidente che la compagine di centro-destra sia inadeguata a guidare una paese membro del G-8, oppure che il non ringraziamento all’Italia sia stato voluto da Obama per ricordare quanto malumore provocarono negli ambienti di Washington, all’inizio della rivolta libica, le titubanze italiane nello schierarsi militarmente contro Gheddafi , ritenuto da Roma un’”amico” (Obama non ha mai ricevuto alla casa Bianca, ufficialmente, Silvio Berlusconi) . Tutte queste analisi sono plausibili e condivisibili, forse anche corrette, ma ciò non esclude, ovviamente è solo la mia opinione, che Obama abbia mancato di garbo diplomatico. Infatti l’Italia sebbene in ritardo ha fatto il suo dovere, essendo il terzo paese per numero di missioni nel cielo libico, inoltre ha dato la disponibilità delle proprie basi ed ha rasentato una crisi di governo per partecipare alla missione. Al di là delle responsabilità e delle incapacità di Berlusconi, in Libia sono intervenute le Forze Armate italiane, che rappresentano, in guerra, ma anche nel periodo di pace, l’Italia e la sua democrazia. L’intervento il Libia è stato autorizzato da scelte di politici eletti democraticamente; nonostante le mille difficoltà che sta attraversando il paese, gli italiani, da decenni fedeli alleati degli USA, si sono assunti l’impegno di partecipare alla missione, pur confrontandosi quotidianamente con la mancanza di soldi pubblici, ed ancora i soldati italiani sono presenti ed impegnati in Libia. Oggi il nostro paese vive un tragico periodo, di cui in parte ne è responsabile questo governo, lo si colpevolizzi, ma non si coinvolga l’Italia, e le si renda il giusto onore, non accettiamo lezioni, sgarbate, da nessuno.
Viva l’Italia.
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mercoledì 21 settembre 2011

L'appeasement

Testo di Roberto Di Ferdinando

Nella seconda crisi irachena la scelta diplomatica dei governi di Francia e Germania di non appoggiare gli Stati Uniti nella guerra preventiva all'Iraq, ma di ricercare invece una via pacifica per il disarmo del regime di Bagdad, fu paragonata, da alcuni analisti politici, all'atteggiamento di conciliazione e compromesso (appea-sement) adottato dalla Gran Bretagna negli anni trenta, nei confronti delle iniziative aggressive della Germa-nia di Hitler e dell'Italia di Mussolini.
Il termine inglese di appeasement quindi, dopo molti decenni in cui era rimasto relegato nei testi di storia, ritornò d'attualità. In realtà però cosa è stato l'appeasement? E perché nel tempo ha assunto un valore e-stremamente negativo?
Un'analisi semplicistica potrebbe farci tradurre la parola appeasement come distensione, ma ricorrendo all'Oxford Dictionary entriamo in possesso di una definizione molto più complessa: to buy off an aggressor by concession usually at the sacrifice of principles (tacitare l'aggressore con concessioni, sacrificando i prin-cipi). Il termine contiene un riferimento ad un atteggiamento perdente, un rimando ad una posizione di debo-lezza che costringe a venire a patti con l'avversario. Se inoltre collochiamo quest'atteggiamento nel periodo tra le due guerre, abbiamo chiaro che in quegli anni la Gran Bretagna fu costretta ad affrontare una situazio-ne di continua crisi internazionale, consapevole della propria posizione di fragilità, ereditata dalla fine della Prima Guerra Mondiale. Si rendeva così necessario per gli ambienti politici britannici l'adozione di una stra-tegia di politica internazionale che puntasse, non allo scontro militare, a cui il paese era impreparato, ma al dialogo ed al compromesso con quelle nazioni che potevano rappresentare una minaccia per la pace in Eu-ropa e per l'Impero. Per Londra infatti era indispensabile avere equilibrio e stabilità nel vecchio continente per concentrarsi nella difesa dell'Impero da cui dipendeva la sopravvivenza economica della Madrepatria. L'Impero comprendeva estesi possedimenti in Asia, Africa, Oceano Atlantico e Pacifico. La difesa di questi era garantita dalla marina militare britannica che controllava Gibilterra, Malta, Suez ed era presente nel Mar Nero.
La nascita dell'appeasement avvenne così nel momento in cui la Gran Bretagna avvertì la propria debolezza e la contemporanea presenza di minacce per i propri interessi in Europa e nel mondo.
Appeasement negli anni venti?
Alcuni storici individuano l'avvio di questa politica britannica di conciliazione già negli anni venti, partendo dalla constatazione che la Gran Bretagna, seppur vincitrice, usciva pesantemente indebolita economicamen-te e militarmente dalla Prima Guerra Mondiale. Durante il conflitto era dovuta ricorrere ai prestiti degli Stati Uniti che andavano ora rimborsati; lo sforzo militare era stato ingente e si trovavano molte difficoltà finanziare per riammodernare e ricompletare i settori della difesa. La recessione internazionale inoltre, nella prima metà degli anni venti, era stata affrontata con un'errata politica monetaria (rivalutazione della sterlina) che aveva reso i prodotti inglesi troppo cari, gettando in crisi ampi settori industriali, con gravi conseguenze sociali. Contemporaneamente a queste difficoltà interne corrispondeva in politica estera una certa disponibilità del governo di Londra a fare concessioni alla Germania ed all'Italia. Nel gennaio 1923 l'occupazione militare del bacino carbosiderurgico tedesco della Ruhr da parte della Francia, come punizione per il mancato rispetto da parte della Germania delle riparazioni di guerra, previste dal trattato d pace di Versailles del 1919, spinse Londra a prendere le difese di Berlino. Definì l'operazione un grave errore ed accusò la Francia di generare ulteriori divisioni tra gli europei. La Gran Bretagna colse l'occasione per condannare il sentimento francese di révanche contro Berlino, che era stato alla base del duro trattato di pace imposto alla Germania.
Oppure nell'ottobre 1925 quando la Gran Bretagna svolse la funzione di garante del Trattato di Locarno. Il Trattato prevedeva l'accordo tra la Francia e la Germania di non modificare con la forza i confini (Alsazia e Lorena) fissati sempre a Versailles. Ma il Ministro inglese, il conservatore Austen Chamberlain, non fece pressioni su Berlino perché confermasse ufficialmente i propri confini ad est, con la Cecoslovacchia e la Polonia, con quegli stessi stati contro i quali, tredici anni più tardi, si abbatteranno le rivendicazioni territoriali di Hitler.
Riguardo l'Italia di Mussolini il governo conservatore presieduto da Stanley Baldwin appoggiò Roma presso la Società delle Nazioni (l'associazione di stati sorta a Versailles per mantenere la pace nel mondo) contro la Grecia nella crisi di Corfù. La crisi aveva come pretesto l'uccisione, in un attentato sul confine greco-albanese, di alcuni delegati italiani, componenti di una commissione internazionale; ma trovava origine nell'espansione dell'influenza italiana in Albania. Mussolini come rappresaglia bombardò ed occupò l'isola greca. La Gran Bretagna, che insieme alla Francia controllava politicamente l'organizzazione di Ginevra, di fronte alla minaccia italiana di abbandonare la SdN riconobbe i diritti di riparazione dell'Italia. Mussolini infatti riscontrava una certa stima a Londra, gli era riconosciuta la capacità di aver riportato l'ordine sociale in Italia, sebbene con strumenti non democratici (in quegli anni gli inglesi ritenevano che qualsiasi male è minore del fermento sociale). Questa stima sarà alla base dei buoni rapporti tra Gran Bretagna ed Italia fino alla seconda guerra mondiale, con l'eccezione della parentesi della crisi etiopica del 1935. Sebbene poi già negli anni venti fu proprio la Gran Bretagna ad aprire le porte dell'Africa al regime fascista, infatti è del 1925 il riconoscimento britannico di interessi economici italiani in Etiopia e della cessione di Jarabub sul confine tra Egitto e Libia.
Questi avvenimenti non possono però farci credere che, già negli anni venti, la Gran Bretagna potesse pen-sare all'appeasement. Tali scelte britanniche non preludevano ad una strategia precisa di politica estera, si presentavano invece come scelte del momento, in relazione a situazioni diverse e particolari. L'Italia e la Germania non rappresentavano così una minaccia per Londra ed il suo Impero. Mussolini era infatti impe-gnato nella fascistizzazione dell'Italia ed in politica estera le ambizioni imperialiste del regime erano ancora lontane, mentre la Germania, uscita dalla Prima Guerra Mondiale sconfitta, era la debole Repubblica di Weimar, assalita da una grave crisi istituzionale ed economica. Potremmo invece ritenere che l'atteggiamen-to britannico nell'appoggiare Berlino e nel limitare il desiderio di vendetta francese nei confronti della Germa-nia, avesse come scopo l'eliminazione di motivi d'instabilità nel cuore dell'Europa, in un momento in cui gli interessi britannici erano rivolti al di fuori del vecchio continente. Nell'Oceano Pacifico la Gran Bretagna ave-va infattiun'alleanza dal 1902 con il Giappone. Il Giappone però era riuscito, durante la Prima Guerra Mon-diale, ad aumentare il controllo su alcune importanti zone strategiche (Corea e Siberia orientale), minaccian-do gli interessi economici degli Stati Uniti (principio della porta aperta). Londra, su consiglio di Washington non rinnovò l'alleanza con Tokyio, ma la sostituì con un'accordo militare-navale con gli Stati Uniti. Inoltre per limitare ulteriormente l'azione giapponese nel 1922 fu firmato a Washington un trattato per il disarmo navale che dette per oltre un decennio la supremazia navale nel Pacifico agli Stati Uniti ed alla Gran Bretagna.
L'ascesa di Hitler
Corretto invece è collocare la nascita dell'appeasement britannico intorno alla metà degli anni trenta. In quel periodo Londra stava cercando di uscire dalla crisi economica ereditata dalla depressione americana del 1929. Gli stretti rapporti finanziari con gli USA ed una cattiva gestione dell’emergenza economica avevano accentuato nel paese i fenomeni recessivi, provocando alta disoccupazione e inevitabili tensioni sociali.
Contemporaneamente in campo europeo la nascita di una Germania forte, in un sistema politico internazio-nale incerto e debole, poteva rappresentare un elemento di preoccupazione. Nel 1935 la Germania non era più la debole Repubblica di Weimar ed era percepita come una possibile minaccia.
Eppure fino ad allora l’ascesa al potere di Hitler era stata interpretata dalla Gran Bretagna in maniera positi-va, in quanto rappresentava la garanzia per la formazione di un governo forte e stabile, in una Germania de-bole ed in crisi, favorendo la ripresa economica tedesca in modo tale da opporsi all’influenza francese sul continente e creando un equilibrio in Europa. Londra aveva giudicato il Trattato di Versailles eccessivo nei riguardi di Berlino e aveva manifestato la disponibilità ad una sua modifica. Infine negli ambienti politici d’oltremanica si elogiava il carattere anticomunista propagandato dal nazionalsocialismo tedesco, ma anche dal fascismo italiano; in Gran Bretagna, attraversata nuovamente da gravi difficoltà economiche e tensioni, infatti ancora vivo era il ricordo della crisi sociale suscitata dallo sciopero delle Trade Unions del 1926 che aveva paralizzato il paese per quasi un anno e diffuso la paura per il bolscevismo.
Nel 1935 però i programmi di Hitler per una grande e potente Germania e la nazificazione del paese inizia-rono a spaventare Londra. Il nuovo Primo Ministro, il conservatore Baldwin, auspicava quindi l’instaurazione di un clima di pacificazione e d’equilibrio fra i vari soggetti europei, in modo tale da poter lasciare la Gran Bretagna libera di occuparsi dei propri possedimenti al di fuori dell’Europa. Londra però non doveva preoc-cuparsi solo della Germania in Europa, ma anche delle aspirazioni italiane nel Corno d'Africa, porta d’accesso ai Dominions dell’Asia. Non solo, dal 1931 la presenza militare giapponese in Cina si faceva sem-pre più pressante; anche l’Asia era minacciata.
Sulla carta la Gran Bretagna controllava bene il canale di Suez grazie ai mandati amministrativi sulla Pale-stina, aveva inoltre basi militari in Iraq, Palestina, Transgiordania (attuale Giordania) ed Egitto. Era anche presente sulla costa orientale del Mar Rosso, grazie alla sua politica di influenza in Arabia ed il controllo di Aden. Ma in realtà questo controllo non era totale. Le navi erano vecchie, la Marina spendeva tutti i soldi per mantenere e difendere la base navale di Singapore che era fondamentale per il controllo dei domini dell'E-stremo Oriente. Il Mediterraneo rimase quindi un punto centrale proprio in un momento di debolezze. La stra-tegia diventava quella di non mantenere la flotta nei punti chiave dell'Impero, perché non c'erano risorse per farlo, ma di spostarla rapidamente per le necessità. La strada Mediterraneo-Suez-Mar Rosso divenne allora fondamentale per arrivare a Singapore, che fra le due guerre si trasformò in una priorità assoluta.
Il governo britannico non poteva intervenire con la propria flotta contemporaneamente in tutte le aree impe-riali per contrastare le varie minacce. Si rendeva così necessario giungere ad un compromesso con gli av-versari. L’appeasement diventava una strategia obbligata.
Dal febbraio del 1932 a Ginevra si prolungavano lentamente i lavori della Conferenza per il disarmo genera-le. La Germania chiedeva la fine degli obblighi militari imposti dal trattato di Versailles e rivendicava il princi-pio del Gleichberectingung, cioè la parità dei diritti tedeschi in materia di armamenti. Il Cancelliere tedesco Bruening che doveva affrontare l'opposizione nazista interna aveva bisogno di un successo; anche se la Germania stava già attuando segretamente un riarmo grazie agli accordi con l'URSS, avviati nel 1921, che consentivano a reparti tedeschi di sperimentare nuove armi e compiere esercitazioni sul suo territorio. Se gli inglesi ed americani non erano contrari a riconoscere il riarmo tedesco, i francesi si opposero invece in ma-niera decisa. I contrasti riguardo il riarmo tedesco durarono fino all'ottobre del 1933, quando Hitler, salito al potere nove mesi prima, decise di abbandonare la conferenza e la Società delle Nazioni. Non solo, nel mar-zo del 1935 Hitler annunciò la ripresa della coscrizione militare obbligatoria. Questa violazione avrebbe potu-to dare il via libera a Francia, Italia e Gran Bretagna per attuare severe reazioni, compreso l'uso della forza; ma si ebbero solo dure denunce, ogni paese infatti continuò le proprie azioni unilaterali per perseguire i pro-pri interessi nazionali. Hitler approfittando delle divergenze tra i suoi antagonisti europei avanzò agli inglesi la proposta di un disarmo navale che avrebbe stabilito che la Germania avrebbe potuto costruire naviglio da guerra per una stazza sino al 35% di quella posseduta alla Gran Bretagna. La percentuale poteva salire al 45 per i sottomarini, con la possibilità di superare questo limite in modo unilaterale dopo un colloquio con il governo britannico. Nel 1935 la Gran Bretagna firmando un patto navale con la Germania, manteneva la su-premazia della flotta britannica. Londra non potendo potenziare la propria forza navale imponeva a quella tedesca un limite, ma riconosceva così il diritto a Berlino di riarmarsi. La soddisfazione della Gran Bretagna di aver ottenuto un risultato positivo, non poteva nascondere le preoccupazioni degli altri paesi, che vedevano, dopo la coscrizione obbligatoria decisa unilateralmente dalla Germania, il potenziamento militare di Hitler avvallato dal governo di Londra.
Minaccia italiana
Inaspettata fu certamente l’operazione militare italiana in Etiopia. Londra era a conoscenza degli interessi di Roma in Africa, ma in quel momento si credeva che le minacce reali per le colonie provenissero non dall'Ita-lia, ma dalla Germania e dal Giappone. Il governo di Tokyo infatti dal 1931 combatteva una guerra non di-chiarata contro la Cina, che lo aveva portato ad occupare la Manciuria ed ad uscire dalla SdN, mentre nel 1935 aveva ripudiato gli accordi di Washington del 1922, puntando al riarmo navale.
L’iniziativa italiana andava a interessare una zona strategica per i britannici, eppure la Gran Bretagna non sembrò adottare come risposta un atteggiamento di aperta ostilità. Infatti la SdN, controllata da Londra, e-manò sanzioni che però non comprensero l'embargo petrolifero all'Italia, inoltre il governo britannico non si preoccupò di chiudere il canale di Suez alle navi italiane. Tale scelta era giustificata dal fatto che Londra pensava di risolvere la questione tramite un accordo con l’Italia, il quale poteva disciplinare la presenza di Roma nel Corno d’Africa. L’interesse britannico ad un’intesa con Roma risiedeva nel fatto che il regime fa-scista, impregnato di imperialismo e desideroso di ottenere successi prestigiosi in campo internazionale, rappresentava un pericolo in un'area così importante come quella del Canale di Suez. Inoltre in un periodo di tensioni internazionali (il Giappone in Asia, la Germania in Europa) era bene tenere sotto controllo almeno l'Italia. Ma l'accordo per responsabilità comuni non fu concluso; l'Italia con enormi difficoltà occupò l'Etiopia e la Gran Bretagna vide iniziare a saltare il precario equilibrio internazionale.
Infatti ad approfittare di questa crisi internazionale fu la Germania. L’intervento italiano in Etiopia e la scarsa opposizione della SdN convinse Hitler a ritenere l’operazione africana come il risultato di un’intesa italo-britannica per formare un fronte antitedesco. Per risposta Hitler attuò la già da tempo prevista rimilitarizza-zione della Renania. Il Trattato di Versailles aveva previsto che su una fascia del territorio germanico profon-da 50 km dalla riva sinistra del Reno il governo di Berlino non avrebbe potuto far stazionare proprie truppe. La violazione di questi articoli avrebbe permesso a Gran Bretagna e Francia la difesa attiva, cioè intervenire militarmente in territorio tedesco per respingere il riarmo della regione. Il 7 marzo 36.000 soldati tedeschi rioccuparono la Renania. Britannici e francesi sebbene autorizzati non intervennero convinti che Hitler avesse impiegato nell'operazione oltre 100.000 soldati. Londra non voleva provocare uno scontro militare, dagli incerti risultati, per impedire a Berlino di rientrare in possesso di una parte del proprio territorio. Per la prima volta la Germania alterava con la forza l'ordine impostole 15 anni prima a Parigi. Così Hitler di fronte alla mancata reazione dei garanti di Versailles si sentiva più forte ed autorizzato a continuare la sua politica d'e-spansione. Toccava adesso ai confini ad est.
Instabilità in Europa
La Guerra Civile Spagnola portò il Mediterraneo al centro delle preoccupazioni britanniche. La partecipazione in Spagna di “volontari” fascisti italiani allarmò Londra, la quale intravedeva in tale iniziativa un interesse italiano, poi dimostratosi non reale, per il controllo delle coste meridionali spagnole e delle isole Baleari. Per la Gran Bretagna fu necessario; per tutelare i propri interessi nella regione e regolare quelli italiani, proporre all’Italia un patto (gentlemen’s agreement) firmato nel 1937 che, muovendo dal presupposto della cessazio-ne dell'intervento italiano in Spagna, vincolasse le due parti a non modificare lo status quo nell’area mediter-ranea. Tale intesa fu completata con gli Accordi di Pasqua del 1938, voluti dal nuovo Primo Ministro britannico, Neville Chamberlain, più interessato dei suoi predecessori ad avvicinare l’Italia. L'accordo prevedeva fra l'altro uno scambio di informazioni sui movimenti amministrativi e militari nei territori rispettivamente controllati confinanti con il Mediterraneo, il Mar Rosso e il Golfo di Aden. Impegno ad evitare contrasti nelle rispettive politiche mediorentali e conteneva una garanzia di riconoscimento dell'indipendenza e integrità dell'Arabia Saudita e dello Yemen. Inoltre reciproca dichiarazione di rispettare la convenzione di Costantinopoli del 1888 che stabiliva "in tutti i tempi e per tutte le potenze" la libera navigazione lungo il Canale di Suez. Infine la procedura di disimpegno delle forze italiane dalla Spagna, l'assenza di mire territoriali sulle isole Baleari o su altri possedimenti spagnoli, e disponibilità britannica di operarsi all'interno della SdN per rimuovere quegli ostacoli diplomatici al riconoscimento della sovranità italiana in Etiopia.
Intanto un'altra questione si apriva nel cuore dell'Europa: il destino dell'indipendenza dell'Austria.
Hitler puntava all'Anschluss: l'annessione dell'Austria alla Germania. Era quest'iniziativa vietata dal Trattato di Versailles, ma Berlino sapeva che niente era impossibile. Contrari all'annessione era stato Mussolini, pre-occupato che la Germania potesse minacciare l'Alto Adige, dove la maggioranza della popolazione era di lingua tedesca. Ma negli incontri personali tra Hitler e Mussolini il Führer tranquillizzò gli italiani. Nei piani te-deschi non vi era il Sud Tirolo. Inoltre Mussolini si era dichiarato difensore dell'indipendenza austriaca fino al 1936, cioè quando questa posizione gli aveva permesso di avere l'appoggio francese per l'iniziativa in Etio-pia. Ma nel 1938 ottenuto il controllo dell'Etiopia, visto l'interesse inglese di dialogare con la Germania e la crisi politica francese, Mussolini non aveva intenzione di entrare in contrasto con la Germania per l'Austria. Hitler doveva quindi convincere britannici e francesi riguardo l'annessione. Non fu un'impresa difficile. All'in-terno del governo conservatore britannico guidato da Chamberlain, i ministri degli esteri, prima Anthony E-den e poi Lord Halifax, erano convinti sostenitori di giungere brevemente ad un compromesso con la Ger-mania. Chamberlain invece puntava ancora alla realizzazione di un fronte internazionale che spingesse di-plomaticamente la Germania ad accettare un accordo in cui s'impegnava a non alterare l'equilibrio europeo. Nel 1937 Halifax incontrando Hitler e Goering riferì che una modifica dell'assetto internazionale in riferimento all'Austria, a Danzica ed alla Cecoslovacchia, sarebbe potuta essere accettata dalla Gran Bretagna, se fosse avvenuta pacificamente. Hitler fu convinto che aveva mano libera. La crisi politica interna alla Francia non permetteva a Parigi di ergersi come unico difensore del sistema di Versailles, anzi fu costretta ad allinearsi alla strategia britannica. Nel marzo del 1938 Hitler, agendo tramite propri esponenti, favorì un colpo di Stato a Vienna. La Repubblica austriaca cessava di esistere.

La conferenza di Monaco
Le vicende di Vienna e le pretese di Hitler verso la Cecoslovacchia rendevano la Germania un pericolo reale. E’ vero che la Germania stava riconquistando territori di lingua e cultura tedesca che le erano state tolte a Versailles, ma la preoccupazione era se Hitler si sarebbe fermato. Se questo non fosse accaduto fino a che punto le potenze democratiche sarebbero state con lui concilianti? Chamberlain sapeva che oltre una certa soglia lo scontro sarebbe stato inevitabile, ma la Gran Bretagna non era ancora pronta ad affrontarlo, si ren-deva necessario continuare a dialogare con gli avversari. Oltre alla propria impreparazione Londra non pote-va contare su alleati validi (Francia) od affidabili (URSS).
In questo clima si sollevò la questione della Cecoslovacchia. Essa nasceva riguardo al territorio dei Sudeti, un'estesa regione montana ad est della Germania, con popolazione di lingua tedesca, che a Versailles era stato deciso di annettere al nuovo stato della Cecoslovacchia (nato dall'unione della Boemia-Moravia, Alta Slesia e Slovacchia). Il Ministro degli Esteri britannico, Lord Halifax, aveva avvertito i tedeschi che se la Francia avesse attaccato la Germania, in risposta all’invasione tedesca della Cecoslovacchia (in base all’accordo di mutua assistenza del 1935 che legava Parigi e Praga) sarebbe stato impossibile per la Gran Bretagna non essere trascinata nel conflitto. Hitler aveva forse raggiunto quel punto, oltrepassando il quale sarebbe stato il responsabile dello scontro armato. In questo momento Hitler si convinse che la Gran Breta-gna rappresentava il prossimo nemico da sconfiggere. Ma anche la Germania non era pronta ancora per una guerra. Le gerarchie militari tedesche erano, in parte, contrarie all’avventura bellica; esisteva infatti un piano di occupazione della Cecoslovacchia, ma non un piano per un conflitto più ampio. Chamberlain, nell'estate del 1938, visitò più volte Berlino, Parigi e Praga con l'intento di far accettare il principio che la Cecoslovacchia potesse fare concessioni territoriali purché il restante territorio fosse garantito dalla Francia e dalla Gran Bretagna. Hitler rispose che non vi era più tempo per negoziare e pose un ultimatum per 1° ottobre, passato il quale vi sarebbe stata un'azione militare. L'attivismo di Chamberlain per favorire un dialogo tra le parti che scongiurasse la guerra, tolse Berlino dalla situazione delicata di essere la causa del conflitto. Hitler capì che la diplomazia britannica lavorava allo spasimo per evitare la guerra. La mediazione di Chamberlain portò così all’inutile Conferenza di Monaco, in quanto ormai tutto era stato deciso nel momento in cui Hitler aveva posto l’ultimatum alla Gran Bretagna e alla Francia. La Conferenza fu conclusa il 30 settembre con un'accordo che tra i vari punti stabiliva l'evacuazione cecoslovacca dai Sudeti a partire dal 1° ottobre. Chamberlain rientrò a Londra esibendo la copia dell'accordo di Monaco annunciò che la guerra era stata evitata. Era la verità; ma per quanto tempo ancora la pace sarebbe durata?
Alcuni mesi più tardi, nel marzo del 1939, Hitler, attraverso una politica di minacce, costrinse i leader politici delle regioni costituenti la Cecoslovacchia a cedere. In 15 giorni Praga, Bratislava e la regione più ad est, la Rutania, furono occupate da truppe tedesche. Hitler per la prima volta controllava territori non di lingua tede-sca. La Conferenza di Monaco, sebbene vide il trionfo della diplomazia sulla guerra, non impedì ad Hitler di aprirsi la strada per la conquista dell'est e di sottomettere milioni di persone alla Germania nazista. Da quel momento il termine appeasement fu abbinato alla Conferenza di Monaco ed assunse un significato estre-mamente negativo. Neville Chamberlain, non fu però l'artefice dell'appeasement, ma l'ereditò da altri come strategia del compromesso, che nasceva dalla consapevolezza della debolezza della Gran Bretagna.
Dopo l’occupazione della Cecoslovacchia gli interessi della Germania puntavano alla Polonia. A Versailles era stato stabilito che la Prussia fosse divisa dalla Germania centroeuropea tramite un corridoio che giunge-va fino al Mare del Nord, a Danzica, città posta sotto il controllo delle SdN. Hitler pensava non solo di ridare continuità geografica alla Germania eliminando il corridoio di Danzica, ma sapeva che il controllo della Polo-nia significava il dominio nell'Europa centro-orientale. Vi erano però degli ostacoli. La Polonia infatti era legata da un alleanza con la Francia ed inoltre un'operazione militare in quella regione voleva dire coinvolgere anche l'URSS. La Gran Bretagna e la Francia di fronte alle pretese tedesche sulla Polonia avvertirono Berlino che avrebbero difeso, militarmente l’indipendenza, ma non il territorio della Polonia (in Gran Bretagna iniziò a diffondersi il detto: "Ma perché morire per Danzica?"). Londra ribadì il principio per il quale il Trattato di Versailles poteva essere modificato, e Danzica rientrava in questi termini, ma le richieste di Hitler andavano oltre la Danzica tedesca. I britannici e i francesi si convinsero che difficilmente l’espansionismo tedesco sarebbe stato fermato con mezzi diplomatici. Nei confronti dell'Unione Sovietica Berlino si tutelò firmando, nell'agosto del 1939, il patto di non aggressione con Mosca ( patto Ribbentrop-Molotov), che permise alla Germania di pensare in un secondo tempo allo scontro con l'URSS.
L’invasione della Polonia scatenò il conflitto. Hitler aveva superato il limite oltre il quale la Gran Bretagna non era più disposta a cedere.
Fine dell'appeasement
Lo scoppio della guerra pose fine alla strategia dell’appeasement del governo di Londra. Dopo l’occupazione della Polonia, l’apertura di Berlino verso Londra, perché si raggiungesse un accordo di pace che regolasse il nuovo assetto dell’Europa orientale, venne respinto da Chamberlain, per il quale era impossibile ricevere garanzie e pace dalla Germania nazista. Inoltre durante i drammatici giorni di Dunkurque la pressione interna al governo di Londra perché si raggiungesse ad una soluzione con i tedeschi che garantisse la salvezza del Regno Unito fu contrastata da Churchill; la guerra doveva continuare fino alla definitiva sconfitta di Hitler, "Combatteremo sulle spiagge, sui mari, sulle colline, ma non ci arrenderemo mai".
Comunque furono presenti nel panorama politico britannico esponenti ancora favorevoli alla pace con l’Hitler vincitore. Infatti una storiografia più sensazionalista riferisce che il Duca di Windsor, che salì al trono nel gennaio1936 con il nome di Edoardo VIII per poi abdicare nel dicembre per poter sposare l'americana, non nobile, Wallis Warfield Simpson, fosse un sostenitore della politica di appeasement. Non solo, fu fatto allontanare dalla Gran Bretagna (nel luglio del 1940 fu nominato rappresentante della corona nel possedi-mento delle Bahamas), perché al centro di un piano che lo voleva a capo a Londra di un governo fantoccio che firmasse un accordo di pace con la Germania. A sostegno di questa tesi ci si riferisce anche alla miste-riosa missione, nel maggio del 1941, di Rudolf Hesse (fu l'inviato di Hitler a Londra per trattare la pace?). Negli ambienti conservatori inglesi infatti la preoccupazione principale era il socialismo, ed un'unione tra Gran Bretagna e Germania contro il pericolo sovietico non era totalmente respinta.
La politica britannica di appeasement era nata per difendere l’Impero dalle diverse e contemporanee minac-ce (Germania, Giappone, Italia), ed allontanare i rischi di una guerra per la quale Londra era impreparata (debolezza economica e militare). Eppure nel 1939 la Gran Bretagna fu costretta, ancora impreparata, ad entrare in guerra, alla fine della quale sarebbe uscita ancor più indebolita ed incapace di opporsi al processo di decolonizzazione.
Il governo di Londra era riuscito ad individuare i pericoli (minacce all’Impero e guerra), ma l’appeasement gli aveva permesso solo di rinviarli. Al di là dei limiti di tale politica, di fronte all’espansionismo tedesco, la Gran Bretagna non era riuscita a dotarsi di una strategia alternativa alla conciliazione, che coinvolgesse, in maniera più diretta, la Francia e l’URSS in un fronte antitedesco.
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Approfondimento

L'appeasement francese
Negli anni venti la Francia si era dimostrata estremamente decisa nei confronti della Germania, ma la Ger-mania, uscita sconfitta dalla Prima Guerra Mondiale, era la debole Repubblica di Weimar, che assalita da una profonda crisi economica e da attacchi politici interni, fu vittima di colpi di stato promossi da gruppi di estrema sinistra ed di estrema destra. All'inizio degli anni trenta il comportamento dei governi francesi nei confronti della Germania sembrò invece cambiare. La Francia fu attraversata da una grave crisi politica, nel 1932 si succedettero 5 governi, mentre nel 1933 le difficoltà istituzionali si accompagnarono a quelle econo-miche. Contemporaneamente all'ascesa di Hitler in Germania, in Francia trionfava la linea diplomatica del Ministro degli esteri Joseph Paul-Bancour, che confidava nella possibilità di ripescare formule di sicurezza collettiva (accordi internazionali) per limitare la Germania in Europa ed il Giappone in Asia. Ma nel 1934 la costituzione di un governo di solidarietà nazionale guidato da Gaston Doumergue, vide occupare il Quai d'Orsay da Louis Barthou. Barthou era un forte sostenitore della strategia di non dialogo con la Germania di Hitler, in quanto Hitler andava contrastato non favorito nel suo progetto revisionista. Per contrastare la Ger-mania Parigi scelse quindi di aprire all'URSS, fino allora rimasta isolata diplomaticamente. La scelta sovieti-ca della Francia non convinse gli ambienti britannici, da sempre diffidenti del bolscevismo. Il fronte antitede-sco disegnato da Barthou crollò con la morte dello stesso Ministro, caduto vittima di uno spettacolare, quanto misterioso attentato a Marsiglia mentre riceveva il re di Jugoslavia Alessandro I (la responsabilità dell'attentato fu degli estremisti nazionalisti croati di Ante Pavelic; ma a tutt'oggi rimangono dubbi sul coinvolgimento nell'attentato del regime italiano, contrario alla politica balcanica della Francia). Il successore di Barthou fu Pierre Laval, convinto nell'abbandonare il legame con Mosca per recuperare invece l'intesa con Gran Bretagna ed Italia.
La linea diplomatica francese fu nuovamente stravolta nella primavera del 1936, quando le elezioni furono vinte dal Fronte Popolare, ed entrò a far parte del governo, guidato da Leon Blum, anche il partito comuni-sta. Le linee di politica estera furono dettate dal Ministro degli esteri, Yvon Delbos, ed dal segretario generale Léger, che predilessero l'aiuto ai repubblicani spagnoli e l'adozione di una politica di basso profilo nei confronti di Italia e Gran Bretagna. Ma la scelta di non intervento nella guerra civile spagnola, voluta da Gran Bretagna, URSS, Germania ed Italia, fu accettata anche dalla Francia, mettendo in crisi il Cartello delle sinistre e riportando alla paralisi la vita politica francese. Blum tornò brevemente al governo nella primavera del 1938. Il governo cadde e fu sostituito da quello guidato da Edouard Daladier e dal suo Ministro degli esteri Georges Bonnet, i quali sebbene convinti delle intenzioni aggressive di Hitler, continuarono per una politica di conciliazione con la Germania, e nel dicembre del 1938 firmeranno a Parigi con il Ministro degli esteri tedesco Joachim Von Ribbentrop un accordo di non aggressione. Si riconobbero solennemente come definitive le frontiere esistenti fra i due paesi. I tedeschi riferirono però che nei colloqui, Bonnet, indirettamente, aveva riconosciuto l'influenza germanica nell'Europa dell'est. Da quel momento la Francia non potette che rassegnarsi alla politica britannica di ricercare un'intesa con la Germania riguardo l'Europa.
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Bibliografia orientativa
E. Di Nolfo, Storia delle Relazioni Internazionali 1918-1999, GLF Editori Laterza, Roma, 2000.
J. B. Duroselle, Storia Diplomatica dal 1919 al 1970, Edizioni dell'Ateneo, Roma, 1972.
A. Eden, Le Memorie di Anthony Eden-Di fronte ai dittatori 1931-1938- Garzanti, Milano, 1962.