mercoledì 24 marzo 2010

Notizie dal Somaliland: lo scellino somalo ancora in circolazione. A cura di Francesco Della Lunga






Non è un pericoloso terrorista, ma quello che rimane della divisa ufficiale della vecchia repubblica somala, in circolazione nel martoriato paese unificato e tuttora utilizzata nel Somaliland. I nostri lettori certamente sanno che la Somalia è uno stato “fallito” nel senso che, in seguito alla guerra civile scoppiata all’indomani della cacciata dell’ultimo dittatore, Mohamed Siyad Barre nel lontano 1990, l’ex colonia italiana ha visto dissolversi quelle poche istituzioni che erano state costruite e che facevano di Mogadiscio una città unica nel suo genere. Da allora ci sono stati numerosi tentativi di riportare il paese ad una vita civile, ma tutti naufragati nel nulla. Molteplici sono state le conferenze convocate dalle istituzioni internazionali, primo fra tutti l’ONU, l’IGAD, l’Unione Africana in tempi più recenti. Negli ultimi anni si sperava che il paese potesse avviarsi verso la riconciliazione e la ricostruzione. Ma la pacificazione e la ricostruzione è ancora assai lontana. Dopo la ricostituzione del Governo di Transizione Somalo, inizialmente stabilitosi in Kenia, a Nairobi, per ragioni di sicurezza fra il 2006 ed il 2007, i principali signori della guerra, rappresentanti dei vari clan che governano la Somalia centrale, erano riusciti a tornare a Mogadiscio alla fine del 2006, cacciando le “Corti islamiche”. Il governo delle Corti, che secondo molti osservatori era riuscito anche a riportare un minimo di quiete fra la popolazione e permettere la ripresa dei commerci e della vita civile, era stato cacciato grazie all’intervento delle truppe di Addis Abeba, arrivate con il “cappello” della comunità internazionale e soprattutto dell’allora capo del Governo di Transizione, Mohamed Mohalim Gedi. Ma il Governo di Transizione, che aveva recuperato il controllo di alcune parti della città, non è mai riuscito realmente ad affermarsi in questi due anni. Le fazioni che si fronteggiano nell’universo somalo sono ancora in lotta e soprattutto non sono disponibili a riconoscere il Governo di Transizione. Dopo le Corti Islamiche poi, sono arrivati altri gruppi di fondamentalisti, vicini ad Al Quaida, gli Al Shabab. Il caos regna ancora sovrano a Mogadiscio. Ma che ne è del resto della Somalia? In fondo siamo andati diretti a parlare della vecchia capitale del paese unificato dopo la decolonizzazione, ma non di altre due regioni, altrettanto importanti, che da tempo hanno proclamato la loro indipendenza da Mogadiscio. Si tratta del Puntland, un tempo governato da Abdullahi Yousuf Ahmed, diventato anche recentemente Presidente della Somalia riunificata, dopo accordi estenuanti fra le varie fazioni e dimessosi solo recentemente per favorire, sembra, l’improbabile riconciliazione (Abdullahi Yousuf Ahmed, padrone del Puntland è stato accusato da alcune ONG e da fazioni rivali, di aver sterminato oppositori politici appartenenti a clan rivali) e del Somaliland. La situazione di quest’ultima regione, la vecchia Somalia Britannica, appare assai curiosa: la regione, che ha da tempo, ancor prima del Puntland proclamato la propria indipendenza, vive in una fase di apparente pacificazione. Gli ultimi scontri risalgono alla guerra con l’Etiopia, ma poi la regione che si affaccia sul Golfo di Aden, forse perché dimenticata dal resto del mondo, sembra vivere una relativa quiete. La principale città, Hargheisa, che ne è anche la capitale, è certamente un luogo quasi misterioso ed ai più sconosciuto, tuttavia non è impossibile raggiungerla e visitarla. Recentemente, un nostro amico, studioso di preistoria e laureato all’Università di Firenze, è stato ad Hargheisa alla guida di una spedizione scientifica, volta alla ricerca di antiche pitture rupestri. Ci ha raccontato che cosa è Hargheisa e come è possibile raggiungerla. E le sorprese, non sono poche. Prima fra tutte la sopravvivenza del vecchio scellino somalo e … di altre conoscenze.

Luca Bachechi, studioso di preistoria e protostoria dell’Università di Firenze, ci racconta il suo viaggio ad Hargheisa, capitale del Somaliland, a dicembre 2009 (tutte le foto ci sono state gentilmente concesse da Luca Bachechi)
RI (Recinto Internazionale): Caro Luca, ci racconti un po’ del tuo viaggio ad Hargheisa? Come si arriva nella capitale del Somaliland?
LB: Ad Hargheisa, anche se può sembrare incredibile, si può arrivare facilmente con regolari voli di linea che la collegano a Gibuti e ad Addis Abeba. In città ci sono molti alberghi, anche se pochissimi sono quelli che ricordano uno standard occidentale, però sono difficilmente prenotabili dall’estero. È consigliabile procurarsi un accompagnatore (anche perché quasi nessuno parla l’inglese o una lingua facilmente comprensibile da noi europei). Non mi chiedere però come trovare un accompagnatore: non esistono agenzie turistiche e, come sempre in questi casi, ci si deve fidare delle proprie sensazioni scegliendo e mettendosi d’accordo con una delle tante persone che si offrono di farti da guida. Un po’ più complicato è raggiunge Hargheisa via terra: il paese di confine che si trova provenendo dall’Etiopia si chiama Wuchale ed è un vero e proprio porto franco dove, oltre ad articoli particolari (armi, autovetture di dubbia provenienza, ecc.) si può acquistare, a prezzi incredibilmente bassi, ogni genere di oggetto elettronico proveniente dalla Cina. Per raggiungere Wuchale si deve passare per Harar, importante città dell’est etiopico, e poi percorrere, attraversando Jiggiga, circa 200 km di “strada(?!)” in circa 6 ore. Arrivati a Wuchale occorre lasciare la vettura etiope e disbrigare le pratiche per l’attraversamento di frontiera (per entrare nel paese bisogna essere in possesso di un visto che viene rilasciato, tra mille difficoltà amministrative, dalle legazioni diplomatiche del Somaliland presenti ad Addis Abeba o a Gibuti). Si devono poi attraversare a piedi un centinaio di metri di terra di nessuno e, passato l’esame dei doganieri del Somaliland, si deve pensare a trovare una vettura somala. L’offerta è molto varia, sia nel prezzo che nelle condizioni delle vetture, ma la cosa fondamentale è quella di riuscire a trovare un autista cha sappia parlare almeno qualche parola di inglese. Risolto il problema vettura si può partire alla volta di Hargheisa: ci aspettano circa 90 km dei quali i primi 20 sono costituiti da una semplice pista di sabbia e i rimanenti da un nastro asfaltato in pessime condizioni. Ogni 10 km circa si incrociano dei check-point militari presso i quali avviene il controllo dei documenti e, se il chat (la droga locale) non ha alterato troppo le facoltà mentali dei controllori, ogni volta tutto si risolve con una sosta di poco più di mezz’ora . Si arriva così a destinazione, dopo un viaggio durato più di un giorno per percorrere gli scarsi 300 km che dividono Harar da Hargheisa. Naturalmente tutto ciò si ripete, al contrario, una volta che dobbiamo rientrare in Etiopia. In questo caso dobbiamo preventivamente ottenere un visto dall’Ambasciata etiope in Hargheisa.

RI: In questi paesi capita spesso di trovare dei soggetti, identificati come “poliziotti” che viaggiano sui “pick up” armati di Kalashnikov ed armi di vario tipo. Che sensazione si ha? Si corre il rischio di sparire da qualche parte? Ci si può fidare di queste persone o non abbiamo alternative?
LB: Il primo approccio non è piacevole, si ha proprio la sensazione di essere in balia della volontà di quelle persone che, tra l’altro, sono sistematicamente sotto l’effetto del chat. In realtà poi ci si rende conto che da parte delle autorità locali esiste una certa preoccupazione rivolta a salvaguardare l’incolumità dei pochi visitatori stranieri.
RI: Che “clima politico” si avverte ad Hargheisa? Si notano tracce dei conflitti passati?
LB: Il “clima” è buono, tutto sembra apparentemente tranquillo e sempre apparentemente il governo pare controllare ogni angolo del paese. L’unica traccia visibile dei passati conflitti è costituita dalla carcassa di un Mig che, approntato a monumento, fa bella figura nella piazza principale della città. Il monumento vuole ricordare l’unico successo bellico (l’ abbattimento di una aereo nemico) avvenuto durante la guerra con la Repubblica Somala (quella di Mogadiscio).
RI: Qual è la moneta in vigore nel paese?
LB: Lo scellino somalo, antica reminescenza del controllo inglese. Le banconote in circolazione sono unicamente quelle da 500 scellini che valgono all’incirca 0,025 centesimi di Euro: ce ne vogliono 40 per fare un euro: immaginatevi i pacchi di banconote che occorrono per effettuare i pagamenti!

RI: I rapporti con l’Etiopia sono buoni?
LB: Per il momento sì, ma ben sappiamo che in quelle aree si passa presto dall’amicizia all’odio.
RI: In definitiva: che cosa spinge il viaggiatore a venire in queste aree ormai marginali ma indubbiamente affascinanti dell’Africa Orientale?
LB: L’avventura e la ricerca dell’ebbrezza legata al pericolo sempre presente. No, scherzo, in realtà sono terre ricche di storia, dei veri e propri crocevia di antiche civiltà che ancora celano gran parte dei loro “tesori”; paesi dove gli archeologi possono vedere realizzati tutti i loro più reconditi desideri, ma anche il semplice turista culturale può trovarvi grandi stimoli e provare considerevoli emozioni. Non è una terra consigliabile a chi cerca divertimenti e relax. La città di Hargheisa in particolare, seppure riunisca più di 90.000 abitanti, non offre nessuna attività di svago, neppure un cinema.

RI: Come sono andate le tue ricerche?
LB: Bene, molto bene. In Etiopia abbiamo individuato e documentato ben 18 nuovi (del tutto sconosciuti) siti con arte rupestre preistorica; in Somalia ho potuto visitare una delle località più affascinanti del mondo per quanto riguarda l’arte preistorica: Las Geel. Cercate questo nome su internet e vi renderete conto della bellezza del luogo. Inoltre ho incontrato le massime autorità dello Stato con le quali ci siamo fatti solenni promesse di reciproche collaborazioni future relative a ricerche archeologiche. In sintesi il giudizio finale è: viaggio indimenticabile, veramente consigliato, ma solo a chi possiede molto spirito di adattamento e una grande pazienza.


Articolo a cura di Francesco Della Lunga
Tutte le foto sono di Luca Bachechi

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