lunedì 27 dicembre 2010

Gli UFO sono già tra di noi

Intervista a Paul Davies, il direttore dello staff che gestirà il primo contatto con gli alieni
(fonte: Sette-Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

venerdì 24 dicembre 2010

Un augurio di buone festività a tutti i nostri amici e lettori

Un augurio di buon Natale e nuovo anno a tutti i nostri lettori ed amici. Quest'anno, con un pò di fatica, ma grazie soprattutto agli sforzi di Roberto, siamo riusciti ad inserire ben 63 notizie. Cercheremo di migliorarci anche in futuro. Di nuovo auguri a tutti.

Tutti in India

I grandi della terra si sono susseguiti in visite ufficiali, e commerciali, in India, l’economia più dinamica
(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

UE: il disgustoso politicamente corretto

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

mercoledì 22 dicembre 2010

Wikileaks: Assange libero, Manning in carcere, in un duro carcere

Chi è Manning? E’ il marines che ha scaricato illegalmente i dispacci secretati USA e che li ha consegnati ad Assange, il quale, così, è divenuto il personaggio dell’anno, il “castigatore” della diplomazia occulta.
E Manning?
(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Indagini alimentari

Curiosità e ricerche sulle tendenze alimentari del mondo.
(fonte: Sette-Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

lunedì 20 dicembre 2010

2048: la fine di Israele

(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

venerdì 17 dicembre 2010

La felicità non passa di moda

Oggi molti leader europei propongono di cambiare gli indici per misurare il benessere. Basta ricorrere al PIL, puntiamo a misurare la felicità dei cittadini per conoscere il loro benessere. Il 18 marzo del 1968, Robert Kennedy, candidato alla presidenza USA, alcuni giorni prima di essere assassinato, fece questo discorso, sul PIL e la felicità.
A cura di Roberto Di Ferdinando

I dispacci italiani nell’era di Wikileaks

(fonte: Sette-Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

giovedì 16 dicembre 2010

FantaWikileaks

E se fosse tutto una montatura USA?
A cura di Roberto Di Ferdinando

sabato 11 dicembre 2010

I soldi non fanno la felicità

Il premier inglese ha deciso di varare un nuovo indice, che non si basi solo sul PIL, per misurare il benessere del paese.
(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

martedì 7 dicembre 2010

Medaglia d’Onore ed è vivo

Consegnata al giovane paracadutista statunitense, Salvatore Giunta, la Medaglia d’Onore del Congresso, la più alta onorificenza per un militare USA, la prima, dopo tanti decenni ad un militare in vita.
(fonte: Il Venerdì de La Repubblica), a cura di Roberto Di Ferdinando

domenica 5 dicembre 2010

Ancora su Wikileaks: riflessioni su democrazia e potere

Le rivelazioni di Wikileaks, gli effetti sulle democrazie occidentali, il ruolo della diplomazia, ed il suo "11 settembre".

sabato 4 dicembre 2010

La vendetta di Putin

I Mondiali di Calcio del 2018 alla Russia. Dopo le Olimpiadi, anche per i Mondiali, gli USA di Obama si vedono superati dall’amica-nemica Russia.
A cura di Roberto Di Ferdinando

Quanto vale una vita umana?

(fonte: FOCUS Italia), a cura di Roberto Di Ferdinando

martedì 16 novembre 2010

Cina e Gran Bretagna scontro sul papavero da esibire

La recente visita a Pechino del premier britannico, David Cameron, è stata turbata dalle polemiche sull’opportunità di indossare all’occhiello della giacca, da parte dei componenti della delegazione britannica, un piccolo papavero.
(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

domenica 14 novembre 2010

lunedì 8 novembre 2010

La diplomazia tedesca ed il nazismo

Il rapporto Fischer, recentemente pubblicato, denuncia che la diplomazia tedesca ebbe un ruolo attivo nella Shoah
(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

domenica 7 novembre 2010

Giordania: via la kippiah!

Vietato agli israeliani indossare la kippiah sul territorio giordano.
(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Air Sarko One

La Grandeur aeronautica della Francia
(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

lunedì 1 novembre 2010

Estremo Oriente: cresce la tensione fra Giappone e Russia

Tensione fra le potenze alle Curili. Un "residuo" della Seconda Guerra Mondiale guasta le relazioni fra Russia e Giappone. Fonte "La Repubblica"

giovedì 28 ottobre 2010

Bhutan: la Felicità Interna Lorda (FIL)

Dal 2008 l’indice del PIL, del piccolo paese asiatico è stato sostituito dal FIL (l’indice della felicità interna lorda), che misura le esigenze ed i bisogni della popolazione.
(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

martedì 26 ottobre 2010

Ancora Ruanda, ancora una piacevole sorpresa

Pochi giorni fa, sulle pagine di RI, mi confrontavo con l’amico Francesco sulla notizia di Kigali, capitale del Ruanda, esempio di efficienza amministrativa ed ecologica. Adesso un’altra bella notizia dal Ruanda: gli IT-BUS.
(fonte: Io Donna-Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

domenica 24 ottobre 2010

sabato 23 ottobre 2010

Africa: il controllo strategico delle acque del Nilo

Non vi è accordo tra i paesi attraverso i quali scorrono le acque del Nilo, troppo strategico è lo sfruttamento di queste acque. Un ulteriore problema per l’Africa.
(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Le spie russe in giro per cimiteri

Rivelazioni sulle modalità operative dei servizi segreti russi
(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

venerdì 22 ottobre 2010

Roma capitale della Diplomazia mondiale

Da domani, e per una settimana, Roma ospiterà “Diplomacy”, il primo festival dedicato all’arte ed al futuro delle relazioni internazionali e della diplomazia. In vari luoghi della capitale si confronteranno studiosi di scienze politiche, giornalisti, addetti ai lavori, giovani universitari e cultori della materia. Ma protagonisti saranno i giovanissimi, con incontri nelle scuole ed un campionato nazionale del gioco di ruolo Diplomacy, progenitore del più famoso Risiko.
Il programma dettagliato del festival su: http://www.festivaldelladiplomazia.it/programma.html
(fonte: Sette-Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Il miracolo cileno

Le operazioni di recupero ed il salvataggio dei 33 minatori hanno confermato l’efficienza e lo sviluppo del Cile, ormai da alcuni anni un modello per il Sudamerica.
(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

giovedì 21 ottobre 2010

Le bombe atomiche mai realizzate

Lo storico americano, Richard Rhodes, ha dedicato 4 libri per raccontare la storia degli ordigni nucleari, un tema non solo storico, ma sempre attuale ed in evoluzione.
(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Processate quel politico

Non è il solito caso di corruzione politica, ma la vicenda dell’ex capo del governo islandese, Geir Haarde, il primo politico al mondo a finire sotto processo per la crisi economica.
(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

sabato 16 ottobre 2010

Kigali: città modello

Kigali, la capitale del Ruanda, che fu al centro del genocidio del 1994, è rinata diventando un modello di efficienza ed ecologia.
(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

mercoledì 13 ottobre 2010

venerdì 8 ottobre 2010

3 ottobre 2010, la Prima Guerra Mondiale è finita

La settimana scorsa la Germania ha pagato l’ultima tranche dei debiti della Grande Guerra, sono passati 91 anni!
(fonte: La Stampa), a cura di Roberto Di Ferdinando

mercoledì 6 ottobre 2010

USA: "dobbiamo seguire l’esempio italiano"

Il generale David Petraeus, comandante delle operazioni USA e Nato in Afghanistan ha chiesto ai propri collaboratori di prendere esempio dagli italiani per la ricostruzione dell’Afghanistan.
(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

martedì 5 ottobre 2010

Notizie dai Caraibi: Santa Lucia, non solo case ma anche stadi di cricket.

Pensavate che Santa Lucia fosse nota solo per le case di Montecarlo? Per noi italiani certamente, ma i cinesi non la pensano allo stesso modo. A cura di Francesco Della Lunga

sabato 2 ottobre 2010

L’ONU ha scelto il proprio ambasciatore per accogliere gli alieni

Mazlan Othman è la neo ambasciatrice ONU per gli alieni, infatti per molti paesi, l’arrivo sulla terra degli extraterresti è prossimo, e, quindi, è giusto prepararsi per accoglierli con tutti gli onori.
(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Donne al potere

Dopo la Finlandia anche in Svizzera le donne superano gli uomini nel governo del paese, mentre buone notizie giungono anche dall’Africa, e tutto senza quote rosa.
(fonte: Corriere della Sera e IO Donna), a cura di Roberto Di Ferdinando

mercoledì 22 settembre 2010

Le città a forma di animali

In Sudan un ambizioso, e oneroso, progetto: la costruzione di due città, una a forma di rinoceronte l’altra di giraffa.
(fonte: Sette-Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

venerdì 10 settembre 2010

Microstati, grandi alleati

Israele e Lega Araba si contendono anche sull’amicizia con la Micronesia.
(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Cuba: il comunismo in soffitta

Fidel Castro: “il comunismo non funziona più nemmeno da noi”
(fonte: Il Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

mercoledì 25 agosto 2010

Nazionalismi riuniti in Giappone

Come ogni anno il Giappone, in agosto, ricorda i propri caduti nelle celebrazioni al tempio di Yasukuni. Quest’anno si sono qui ritrovati, anche i rappresentanti delle principali organizzazioni nazionaliste e di estrema destra europee.
(fonte: Corriere della Sera) a cura di Roberto Di Ferdinando

domenica 22 agosto 2010

Palestina: onori al terrorista

Mentre il presidente USA, Obama, invita Israele e Palestina ad accelerare i tempi per i colloqui di “pace”, l’Autorità palestinese onora solennemente la morte di un terrorista. La strada della pacificazione in Medio oriente è ancora lontana (?)
(fonte: Il Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Islanda: il comico politico o politico comico?

Nel giugno scorso è stato eletto sindaco di Reykjavik, la capitale dell’Islanda, Jon Gnarr, uno dei più noti comici del paese, fin qui niente di strano, più curioso il suo programma.
(fonte: Internazionale) a cura di Roberto Di Ferdinando

lunedì 9 agosto 2010

La SuperSvizzera

La nascita di un nuova Nazione-Confederazione eccellente?
(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

venerdì 6 agosto 2010

La pacifista Spagna di Zapatero

Le truppe spagnole sono ancora presenti in Afghanistan, ma non combattono.
(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

lunedì 5 luglio 2010

La bandiera “made in Israel”

(fonte: Sette-Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

Birmania: “catturate l’elefante bianco”

La giunta militare che governa la Birmania nei mesi passati ha dato l’ordine al proprio esercito di catturare l’elefante bianco, che non è il soprannome di un dissidente, ma un raro esemplare di pachiderma dal mantello bianco che, secondo la tradizione buddhista è un potente simbolo beneaugurante.
(fonte: il Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

mercoledì 30 giugno 2010

Notizie da Johannesburg: mondiali di calcio e parallelismi geopolitici.

E’ molto in voga, in questo momento, accostare le potenze calcistiche alle potenze economiche e politiche che stanno ridefinendo il loro ruolo mondiale. Un tentativo che possiamo certamente azzardare anche noi, visti i temi che ci piace trattare. A cura di Francesco Della Lunga

lunedì 28 giugno 2010

Il paese delle donne (in politica)

Nelle elezioni politiche della settimana scorsa in Finlandia, il Partito di Centro è risultato leader della nuova coalizione di governo. A presiedere il partito la giovane Mari Kiviniemi, incaricata così a diventare Primo Ministro. In Finlandia Presidente e della Repubblica e Premier, caso rarissimo, sono donne.
(fonte: Corriere della Sera), a cura di Roberto Di Ferdinando

venerdì 18 giugno 2010

Quell’incontro a Milano tra israeliani e palestinesi.

La prima volta che israeliani e palestinesi si misero a sedere allo stesso tavolo, accadde a Milano, nel 1989.
(fonte: Sette-Corriere della Sera) a cura di: Roberto Di Ferdinando

mercoledì 24 marzo 2010

Notizie dal Somaliland: lo scellino somalo ancora in circolazione. A cura di Francesco Della Lunga






Non è un pericoloso terrorista, ma quello che rimane della divisa ufficiale della vecchia repubblica somala, in circolazione nel martoriato paese unificato e tuttora utilizzata nel Somaliland. I nostri lettori certamente sanno che la Somalia è uno stato “fallito” nel senso che, in seguito alla guerra civile scoppiata all’indomani della cacciata dell’ultimo dittatore, Mohamed Siyad Barre nel lontano 1990, l’ex colonia italiana ha visto dissolversi quelle poche istituzioni che erano state costruite e che facevano di Mogadiscio una città unica nel suo genere. Da allora ci sono stati numerosi tentativi di riportare il paese ad una vita civile, ma tutti naufragati nel nulla. Molteplici sono state le conferenze convocate dalle istituzioni internazionali, primo fra tutti l’ONU, l’IGAD, l’Unione Africana in tempi più recenti. Negli ultimi anni si sperava che il paese potesse avviarsi verso la riconciliazione e la ricostruzione. Ma la pacificazione e la ricostruzione è ancora assai lontana. Dopo la ricostituzione del Governo di Transizione Somalo, inizialmente stabilitosi in Kenia, a Nairobi, per ragioni di sicurezza fra il 2006 ed il 2007, i principali signori della guerra, rappresentanti dei vari clan che governano la Somalia centrale, erano riusciti a tornare a Mogadiscio alla fine del 2006, cacciando le “Corti islamiche”. Il governo delle Corti, che secondo molti osservatori era riuscito anche a riportare un minimo di quiete fra la popolazione e permettere la ripresa dei commerci e della vita civile, era stato cacciato grazie all’intervento delle truppe di Addis Abeba, arrivate con il “cappello” della comunità internazionale e soprattutto dell’allora capo del Governo di Transizione, Mohamed Mohalim Gedi. Ma il Governo di Transizione, che aveva recuperato il controllo di alcune parti della città, non è mai riuscito realmente ad affermarsi in questi due anni. Le fazioni che si fronteggiano nell’universo somalo sono ancora in lotta e soprattutto non sono disponibili a riconoscere il Governo di Transizione. Dopo le Corti Islamiche poi, sono arrivati altri gruppi di fondamentalisti, vicini ad Al Quaida, gli Al Shabab. Il caos regna ancora sovrano a Mogadiscio. Ma che ne è del resto della Somalia? In fondo siamo andati diretti a parlare della vecchia capitale del paese unificato dopo la decolonizzazione, ma non di altre due regioni, altrettanto importanti, che da tempo hanno proclamato la loro indipendenza da Mogadiscio. Si tratta del Puntland, un tempo governato da Abdullahi Yousuf Ahmed, diventato anche recentemente Presidente della Somalia riunificata, dopo accordi estenuanti fra le varie fazioni e dimessosi solo recentemente per favorire, sembra, l’improbabile riconciliazione (Abdullahi Yousuf Ahmed, padrone del Puntland è stato accusato da alcune ONG e da fazioni rivali, di aver sterminato oppositori politici appartenenti a clan rivali) e del Somaliland. La situazione di quest’ultima regione, la vecchia Somalia Britannica, appare assai curiosa: la regione, che ha da tempo, ancor prima del Puntland proclamato la propria indipendenza, vive in una fase di apparente pacificazione. Gli ultimi scontri risalgono alla guerra con l’Etiopia, ma poi la regione che si affaccia sul Golfo di Aden, forse perché dimenticata dal resto del mondo, sembra vivere una relativa quiete. La principale città, Hargheisa, che ne è anche la capitale, è certamente un luogo quasi misterioso ed ai più sconosciuto, tuttavia non è impossibile raggiungerla e visitarla. Recentemente, un nostro amico, studioso di preistoria e laureato all’Università di Firenze, è stato ad Hargheisa alla guida di una spedizione scientifica, volta alla ricerca di antiche pitture rupestri. Ci ha raccontato che cosa è Hargheisa e come è possibile raggiungerla. E le sorprese, non sono poche. Prima fra tutte la sopravvivenza del vecchio scellino somalo e … di altre conoscenze.

Luca Bachechi, studioso di preistoria e protostoria dell’Università di Firenze, ci racconta il suo viaggio ad Hargheisa, capitale del Somaliland, a dicembre 2009 (tutte le foto ci sono state gentilmente concesse da Luca Bachechi)
RI (Recinto Internazionale): Caro Luca, ci racconti un po’ del tuo viaggio ad Hargheisa? Come si arriva nella capitale del Somaliland?
LB: Ad Hargheisa, anche se può sembrare incredibile, si può arrivare facilmente con regolari voli di linea che la collegano a Gibuti e ad Addis Abeba. In città ci sono molti alberghi, anche se pochissimi sono quelli che ricordano uno standard occidentale, però sono difficilmente prenotabili dall’estero. È consigliabile procurarsi un accompagnatore (anche perché quasi nessuno parla l’inglese o una lingua facilmente comprensibile da noi europei). Non mi chiedere però come trovare un accompagnatore: non esistono agenzie turistiche e, come sempre in questi casi, ci si deve fidare delle proprie sensazioni scegliendo e mettendosi d’accordo con una delle tante persone che si offrono di farti da guida. Un po’ più complicato è raggiunge Hargheisa via terra: il paese di confine che si trova provenendo dall’Etiopia si chiama Wuchale ed è un vero e proprio porto franco dove, oltre ad articoli particolari (armi, autovetture di dubbia provenienza, ecc.) si può acquistare, a prezzi incredibilmente bassi, ogni genere di oggetto elettronico proveniente dalla Cina. Per raggiungere Wuchale si deve passare per Harar, importante città dell’est etiopico, e poi percorrere, attraversando Jiggiga, circa 200 km di “strada(?!)” in circa 6 ore. Arrivati a Wuchale occorre lasciare la vettura etiope e disbrigare le pratiche per l’attraversamento di frontiera (per entrare nel paese bisogna essere in possesso di un visto che viene rilasciato, tra mille difficoltà amministrative, dalle legazioni diplomatiche del Somaliland presenti ad Addis Abeba o a Gibuti). Si devono poi attraversare a piedi un centinaio di metri di terra di nessuno e, passato l’esame dei doganieri del Somaliland, si deve pensare a trovare una vettura somala. L’offerta è molto varia, sia nel prezzo che nelle condizioni delle vetture, ma la cosa fondamentale è quella di riuscire a trovare un autista cha sappia parlare almeno qualche parola di inglese. Risolto il problema vettura si può partire alla volta di Hargheisa: ci aspettano circa 90 km dei quali i primi 20 sono costituiti da una semplice pista di sabbia e i rimanenti da un nastro asfaltato in pessime condizioni. Ogni 10 km circa si incrociano dei check-point militari presso i quali avviene il controllo dei documenti e, se il chat (la droga locale) non ha alterato troppo le facoltà mentali dei controllori, ogni volta tutto si risolve con una sosta di poco più di mezz’ora . Si arriva così a destinazione, dopo un viaggio durato più di un giorno per percorrere gli scarsi 300 km che dividono Harar da Hargheisa. Naturalmente tutto ciò si ripete, al contrario, una volta che dobbiamo rientrare in Etiopia. In questo caso dobbiamo preventivamente ottenere un visto dall’Ambasciata etiope in Hargheisa.

RI: In questi paesi capita spesso di trovare dei soggetti, identificati come “poliziotti” che viaggiano sui “pick up” armati di Kalashnikov ed armi di vario tipo. Che sensazione si ha? Si corre il rischio di sparire da qualche parte? Ci si può fidare di queste persone o non abbiamo alternative?
LB: Il primo approccio non è piacevole, si ha proprio la sensazione di essere in balia della volontà di quelle persone che, tra l’altro, sono sistematicamente sotto l’effetto del chat. In realtà poi ci si rende conto che da parte delle autorità locali esiste una certa preoccupazione rivolta a salvaguardare l’incolumità dei pochi visitatori stranieri.
RI: Che “clima politico” si avverte ad Hargheisa? Si notano tracce dei conflitti passati?
LB: Il “clima” è buono, tutto sembra apparentemente tranquillo e sempre apparentemente il governo pare controllare ogni angolo del paese. L’unica traccia visibile dei passati conflitti è costituita dalla carcassa di un Mig che, approntato a monumento, fa bella figura nella piazza principale della città. Il monumento vuole ricordare l’unico successo bellico (l’ abbattimento di una aereo nemico) avvenuto durante la guerra con la Repubblica Somala (quella di Mogadiscio).
RI: Qual è la moneta in vigore nel paese?
LB: Lo scellino somalo, antica reminescenza del controllo inglese. Le banconote in circolazione sono unicamente quelle da 500 scellini che valgono all’incirca 0,025 centesimi di Euro: ce ne vogliono 40 per fare un euro: immaginatevi i pacchi di banconote che occorrono per effettuare i pagamenti!

RI: I rapporti con l’Etiopia sono buoni?
LB: Per il momento sì, ma ben sappiamo che in quelle aree si passa presto dall’amicizia all’odio.
RI: In definitiva: che cosa spinge il viaggiatore a venire in queste aree ormai marginali ma indubbiamente affascinanti dell’Africa Orientale?
LB: L’avventura e la ricerca dell’ebbrezza legata al pericolo sempre presente. No, scherzo, in realtà sono terre ricche di storia, dei veri e propri crocevia di antiche civiltà che ancora celano gran parte dei loro “tesori”; paesi dove gli archeologi possono vedere realizzati tutti i loro più reconditi desideri, ma anche il semplice turista culturale può trovarvi grandi stimoli e provare considerevoli emozioni. Non è una terra consigliabile a chi cerca divertimenti e relax. La città di Hargheisa in particolare, seppure riunisca più di 90.000 abitanti, non offre nessuna attività di svago, neppure un cinema.

RI: Come sono andate le tue ricerche?
LB: Bene, molto bene. In Etiopia abbiamo individuato e documentato ben 18 nuovi (del tutto sconosciuti) siti con arte rupestre preistorica; in Somalia ho potuto visitare una delle località più affascinanti del mondo per quanto riguarda l’arte preistorica: Las Geel. Cercate questo nome su internet e vi renderete conto della bellezza del luogo. Inoltre ho incontrato le massime autorità dello Stato con le quali ci siamo fatti solenni promesse di reciproche collaborazioni future relative a ricerche archeologiche. In sintesi il giudizio finale è: viaggio indimenticabile, veramente consigliato, ma solo a chi possiede molto spirito di adattamento e una grande pazienza.


Articolo a cura di Francesco Della Lunga
Tutte le foto sono di Luca Bachechi

lunedì 1 marzo 2010

25 consigli per vivere bene

Il ministro degli esteri della Bolivia suggerisce 25 consigli per “Vivere bene”
Dal giornale LA RAZON, LA PAZ.-
http://www.la- razon.com/ versiones/ 20100131_ 006989/nota_ 247_946416. htm

"In un’intervista, il ministro delle Relazioni Estere, David Choquehuanca, esperto in Cosmovisione Andina, spiega in dettaglio un nuovo paradigma in cui situa la vita e la natura come asse centrale dell’esistenza.
Il Vivere Bene, il modello che desidera implementare il governo di Evo Morales, si può riassumere come il vivere in armonia con la natura, definizione che riprende i principi ancestrali delle culture della regione. Esse considerano che l’essere umano si trova in secondo piano al medio ambiente.
Il cancelliere David Choquehuanca studioso di questo modello ed un rappresentante Aymaras, esperto in cosmovisione andina, conversarono con il giornale LA RAZÓN per un’ora e mezza e spiegarono i dettagli dei principi riconosciuti nell’articolo 8 della Constitución Política del Estado (CPE) .
“Vogliamo ritornarne a Vivere Bene, il che significa che ora iniziamo a valorizzare la nostra storia, la nostra musica, i nostri abiti, la nostra cultura, il nostro idioma, le nostre risorse naturali, e oltre a dar valore a tutto questo abbiamo deciso di recuperare tutto ciò che è nostro, tornare ad essere quel che siamo stati”.
L’articolo 8 della CPE stabilisce che: “ Lo Stato assume e promuove come principi etici-morali della società plurale: ama qhilla, ama llulla, ama suwa ( non essere pigri, non essere bugiardi, non rubare), suma qamaña ( vivere bene), ñandereko (vita armoniosa), teko kavi (vita buona), ivi maraei (terra senza male) e qhapaj ñan (cammino alla vita nobile).
Il Cancelliere ha rimarcato la sua distanza dal socialismo e ancora di più dal capitalismo. Il primo lo definisce come pura ricerca della soddisfazione delle necessità dell’uomo, mentre asserisce che per il secondo la cosa più importante è il denaro e la plusvalenza.
Secondo D. Choquehuanca, il Vivere Bene è un processo che inizia ora e che a poco a poco si divulgherà.
“Per coloro che appartengono alla cultura della vita la cosa più importante non è il denaro né l’oro, né l’uomo, poiché egli si trova all’ultimo posto. La cosa più importante sono i fiumi, l’aria, le montagne, le stelle, le formiche, le farfalle(..) . L’uomo è all’ultimo posto. Per noi la cosa più importante è la vita.”.
Le culture Aymara • Anticamente coloro che popolavano le comunità Aymaras in Bolivia aspiravano a diventare qamiris (persone che vivono bene).
I Quechuas • Ugualmente le persone di questa cultura anelavano diventare un qhapaj (gente che vive bene). Un benessere che non è quello economico.
I Guaraníes • Il guaraní sempre aspira di diventare una persona che si muove in armonia con la natura, ossia che spera un giorno diventare un yambae.
Il Vivere Bene dà priorità alla natura e non all'essere umano.
Queste sono le caratteristiche che poco a poco si implementeranno nel nuovo Stato Plurinazionale:

Dare priorità alla vita -
Vivere bene è ricercare la vita in comunità dove tutti gli integranti si preoccupino per tutti. La cosa più importante non è l'essere umano (come definisce il socialismo), né il denaro (come precisa il capitalismo), bensì la vita. Esso richiede implementare una vita più semplice.
Il cammino è quello di creare armonia tra tutte le forme di vita, con l’obiettivo di salvare il pianeta dalle priorità dell’umanità.
Giungere ad accordi attraverso il consenso –
Vivere bene significa cercare il consenso tra tutti. Questo implica che a prescindere dalle differenze, quando le persone dialogano si può arrivare ad un punto neutrale, in cui tutti possono riconoscersi e dove non si provocano conflitti. “ Non siamo contro la democrazia, quel che desideriamo è approfondirla, perché oggi la democrazia include la sottomissione, e sottomettere il prossimo non è “Vivere bene” chiarificò il Cancelliere David Choquehuanca.
Rispettare le differenze –
“Vivere bene” significa rispettare l’altro, saper ascoltare chiunque desideri parlare, senza discriminazione o sottomissione. Non si parla di tolleranza ma di rispetto; per Vivere Bene e in armonia è necessario rispettare le differenze, anche se ogni cultura, o regione, ha una forma diversa di pensare,. Questa responsabilità include tutti gli esseri umani che abitano il pianeta, gli animali e le piante.
Vivere in complementarietà –
Vivere Bene è dare la priorità alla complementarietà, questo significa che tutti gli esseri viventi sul pianeta si relazionano l’uno con l’altro. Nelle comunità, il bimbo è complementare al nonno, l’uomo alla donna, etc… In uno dei suoi esempi, David Choquehuanca specifica che l’uomo non deve uccidere le piante perché esse sono fondamentali per la sua esistenza e lo aiutano a sopravvivere.
Equilibrio con la natura -
Vivere Bene è condurre una vita in equilibrio con tutti gli esseri viventi della comunità. La giustizia, come la democrazia, è considerata escludente perché prende in considerazione esclusivamente le persone dentro una comunità e non quello che è più importante, cioè la vita e l’armonia dell’uomo con la natura. E’ per questo che Vivere Bene aspira a realizzare una società equa e senza esclusioni.
Difendere la identità -
Vivere Bene è dar valore e recuperare la propria identità. In questo nuovo modello, l’identità di un popolo è molto più importante che la stessa dignità. L’identità implica il godere pienamente di una vita basata su valori che hanno resistito da più di 500 anni (dalla conquista spagnola) e che sono stati ereditati dalle famiglie e dalle comunità che hanno vissuto in armonia con la natura e con il cosmo. Uno degli obiettivi principali del Vivere Bene è riprendere l’unità di tutti i popoli.
Il Ministro di Relazioni Estere, David Choquehuanca, spiegò che saper mangiare, bere, danzare, comunicare e lavorare sono alcuni degli aspetti fondamentali.
Accettare le differenze -
Vivere Bene è rispettare le somiglianze e le differenze tra gli esseri che vivono sullo stesso pianeta. Va molto più in là del concetto della diversità. “Non c’è unità nella diversità, c’è solo somiglianza e differenza, perché quando si parla di diversità si parla solo delle persone” dice il Cancelliere. Il nuovo paradigma sottolinea che gli esseri somiglianti o differenti non devono mai farsi del male.
Dare la priorità ai diritti cosmici -
Vivere Bene è dare la priorità ai diritti cosmici prima che ai Diritti Umani. Quando il Governo parla di cambio climatico si riferisce anche ai diritti cosmici, assicura il Ministro delle Relazioni Estere. Per questo il Presidente (Evo Morales) dice che è più importante parlare dei diritti della Madre Terra piuttosto che parlare dei diritti umani.
Saper mangiare –
Vivere Bene è saper alimentarsi, saper combinare il cibo adeguato durante le stagioni dell’anno (alimenti secondo l’epoca dell’anno). Il Ministro delle Relazioni Estere, David Choquehuanca, spiega che questo tema deve affrontarsi in base alla pratica adottata dai nostri antenati che si alimentavano di un unico prodotto durante tutta una stagione. Commenta anche che alimentarsi bene garantisce la salute.
Saper bere -
Vivere Bene è bere alchool con moderazione. Nelle comunità indigene ogni festa ha un suo significato e l’alchool è presente nelle cerimonie, ma si consuma senza esagerare e senza fare del male a nessuno. “Dobbiamo imparare a bere, nelle nostre comunità celebravamo feste relazionate alle epoche stagionali. E’ molto diverso da recarsi in un locale e avvelenarsi di birra e uccidere i nostri neuroni.”
Saper danzare –
Vivere Bene è saper danzare, non semplicemente saper ballare. La danza si relaziona con alcuni atti concreti come la semina o il raccolto. Le comunità continuano ad onorare con danza e musica la Pachamama soprattutto durante le epoche agricole; nelle città le danze originarie sono considerate come espressioni folcloriche. Nel nuovo paradigma si rinnoverà il vero significato della danza.
Saper lavorare –
Vivere Bene è considerare il lavoro come una festa. “Il lavoro per noi è felicità” dice David Choquehuanca che sottolinea che a differenza del capitalismo dove si paga per lavorare, nel nuovo modello dello Stato Plurinazionale, si riprende il pensiero ancestrale che considera il lavoro come una festa. Esso è una forma di crescita, per questo nelle culture indigene si lavora sin da piccoli.
Riprendere il abya laya –
Vivere Bene è promuovere che i popoli si uniscano in una grande famiglia. Per il Ministro questo implica che tutte le regioni del paese si ricostituiscano in ciò che ancestralmente era considerata una grande comunità. “Questo deve essere esteso a tutti i paesi, noi vediamo buoni semi in tutti quei capi di stato che desiderano unire i popoli e ritornare a formare l’ Abya Laya che siamo stati.
Rincorporare la agricultura –
Vivere Bene è incorporare l’agricoltura alle comunità. Parte di questo nuovo paradigma del nuovo Stato Plurinazionale sta nel recuperare le forme di vita in comunità, come il lavoro della terra, coltivando prodotti che coprano le necessità basiche per il sostentamento.
Verranno devolute le terre alle comunità in maniera che generino economie locali.
Saper comunicare –
Vivere Bene è saper comunicarsi. Nel nuovo Stato Plurinazionale si pretende ripristinare la comunicazione che esisteva nelle comunità ancestrali. Il dialogo è il risultato di questa buona comunicazione che menziona il Ministro. “Dobbiamo imparare a comunicare come lo facevano i nostri padri che riuscivano a risolvere i conflitti che si presentavano, non dobbiamo perdere questa capacità”. Il Vivere Bene non è “vivere meglio” come propone il capitalismo. Tra i principi che sostengono lo Stato Plurinazionale troviamo il controllo sociale, la reciprocità e il rispetto per la donna e per l’anziano.
Controllo sociale -
Vivere Bene è realizzare un controllo obbligatorio tra gli abitanti di una comunità. “questo controllo è diverso da quello proposto dalla Partecipazione Popolare, che fu rifiutato (da alcune comunità) perché riduce la vera partecipazione delle persone” disse Choquehuanca. Nei tempi antichi “tutti si incaricavano di controllare le funzioni che realizzavano le loro principali autorità”.
Lavorare in reciprocità –
Vivere Bene è riprendere la reciprocità del lavoro nelle comunità. Nei popoli indigeni questa pratica si denomina ayni, che significa restituire in lavoro l’aiuto prestato da una famiglia in una attività agricola, come la semina e il raccolto. “Questo sarà uno dei principi o codice che ci garantirà l’equilibrio davanti ai tempi della grande siccità” spiega il Ministro di Relazioni Esteriori.
Non rubare e non mentire –
Vivere Bene è basarsi nel ama sua y ama qhilla (non rubare e non mentire, in lingua quechua). Questo è uno dei precetti inclusi nella nuova Costituzione Politica dello Stato e che il Presidente promise di rispettare. Per il Ministro è fondamentale che dentro le comunità si rispettino questi principi per raggiungere il benessere e la fiducia dei suoi abitanti. “Questi sono codici che si devono rispettare per poter vivere bene nel futuro”.
Proteggere i semi -
Vivere Bene è proteggere e conservare i semi affinché nel futuro si eviti l’uso di prodotti transgenici. Il libro “Vivere Bene, una risposta alla crisi globale”, della Cancelleria della Bolivia, specifica che una delle caratteristiche di questo nuovo modello è di preservare la ricchezza ancestrale agricola con la creazione di banche di semi che evitino la utilizzazione di prodotti transgenici per incrementare la produttività, poiché si dice che questa miscela a base di chimici danneggia e uccide inesorabilmente i semi millenari.
Rispettare la donna -
Vivere bene è rispettare la donna, poiché ella rappresenta la Pachamama, la Madre Terra che possiede la vita e cura tutti i suoi frutti. Per questa ragione, dentro le comunità, la donna è valorizzata ed è presente in tutte le attività che si occupano della vita, dei bambini, l’educazione e la vitalità della cultura. Coloro che abitano le comunità indigene danno valore alla donna come base dell’organizzazione sociale poiché è lei che trasmette ai suoi figli la conoscenza della sua cultura.
Vivere Bene e NON meglio -
Vivere Bene è differente di vivere meglio come lo descrive il capitalismo. Per il nuovo paradigma dello Stato Plurinazionale, vivere meglio si traduce in egoismo, disinteresse per gli altri, individualismo e solamente pensare al lucro. Esso considera che la dottrina capitalistica spinge allo sfruttamento delle persone per arricchirsi in pochi, mentre il Vivere Bene suggerisce una vita semplice che mantenga una produzione equilibrata.
Recuperare le risorse –
Vivere Bene è recuperare la ricchezza naturale del paese e permettere che tutti possano beneficiarsene in forma equilibrata ed equa. La finalità della dottrina del Vivere Bene è anche di nazionalizzare e recuperare le imprese strategiche del paese per realizzare equilibrio e convivenza tra gli uomini e la natura in contrapposizione a uno sfruttamento irrazionale delle risorse naturali. “Prima di tutto c’è la natura” afferma il Ministro.
Esercitare il potere –
Vivere Bene è costruire, dalle comunità, la reggenza delle comunità nel paese. Questo significa secondo il libro “Vivere Bene come risposta alla crisi globale” che si raggiungerà il comando del paese attraverso il consenso comunale e si costituirà la unità e la responsabilità a favore del bene comune, senza che nessuno manchi. E’ in questo contesto che si costituiranno le comunità e le nazioni per creare una società sovrana che si amministrerà in armonia con l’individuo, la natura e il cosmo.
Far buon uso dell’acqua –
Vivere Bene è distribuire razionalmente l’acqua e goderne in maniera corretta Il Ministro delle Relazioni Estere commenta che l’acqua è il latte degli esseri che abitano il pianeta. “Abbiamo tanto, risorse naturali, acqua... La Francia, per esempio, non ha la stessa quantità di acqua e di terra che ha il nostro paese, ma vediamo che non esiste nessun Movimento Senza Terra, così che dobbiamo valorizzare ciò che abbiamo e preservarlo più che possiamo, questo è Vivere Bene.
Ascoltare gli anziani –
Vivere Bene è leggere le rughe degli anziani per poter riprenderne il cammino.
Il Ministro spiega che una delle principali fonti di conoscenza sono gli anziani delle comunità che conservano le storie e le abitudini che col passare degli anni vengono dimenticate. “I nostri antenati” menziona” sono biblioteche che seguono il cammino, sempre dobbiamo imparare da loro.”. Ecco perché gli anziani sono rispettati e consultati nelle comunità indigene del paese".

L’eccellenza italiana

La base spaziale italiana in Kenya, gioiello tecnologico di un’Italia da non buttare…
(Fonte: Il Giornale) a cura di Roberto Di Ferdinando

domenica 28 febbraio 2010

venerdì 26 febbraio 2010

Gli Stati Uniti sono sempre in guerra e meno tra le stelle

Il bilancio USA per il 2011 dimostra che gli Stati Uniti sono ancora in guerra. Obama infatti ha deciso di non tagliare i finanziamenti al Pentagono, invece per coprire il deficit saranno sacrificati i soldi per la Nasa.
(Fonte: Il Giornale), a cura di Roberto Di Ferdinando

domenica 21 febbraio 2010

Notizie dal Corno d'Africa: la coalizione internazionale sconfigge i pirati del Golfo di Aden

I pirati somali naufragano sotto l'onda d'urto della forza multinazionale. (Fonte Sole 24 del 21/02/2010). A cura di Francesco Della Lunga

“Mister No” nuovo ambasciatore cinese a Washington

Non si è fatta attendere la risposta di Pechino alla visita privata del Dalai Lama alla Casa Bianca. La Cina ha infatti nominato quale nuovo ambasciatore negli Stati Uniti, Zhang Yesui, il "Mister No" della diplomazia internazionale.
(Fonte: QN) a cura di Roberto Di Ferdinando

sabato 20 febbraio 2010

La Spagna apre alla Cina

Il Governo di Madrid ha espresso la sua disponibilità ad abolire l’embargo europeo sulla vendita di armi alla Cina.
(Fonte: Corriere della Sera) a cura di Roberto Di Ferdinando

mercoledì 3 febbraio 2010

I "regali" spia della Cina

Il Sunday Times ha rivelato il contenuto di un documento riservato dei servizi segreti britannici, nel quale si denuncerebbe il grande pericolo di spionaggio che l'industria e la politica del Regno Unito starebbero subendo da parte della Cina.
(Fonte: QN) a cura di Roberto Di Ferdinando

lunedì 1 febbraio 2010

Notizie da Addis Abeba: Gheddafi sconfitto perde la presidenza dell'U.A.

Il leader libico ha perso la presidenza dell'Unione Africana nel vertice di Addis Abeba. Il nuovo presidente è Bingu Wa Mutharika, Malawi. A cura di Francesco Della Lunga

sabato 30 gennaio 2010

domenica 17 gennaio 2010

Notizie dal Medio Oriente: Tensione tra Israele e Turchia a causa di una fiction per la TV

La settimana scorsa i rapporti diplomatici tra Israele e la Turchia hanno rischiato di rompersi, con ripercussioni importanti, in seguito alle proteste israeliane per una fiction turca, giudicata antisemita, che hanno portato il Ministero degli Esteri israeliano a giustificare l’umiliazione pubblica dell’ambasciatore turco in Israele. Ankara ha minacciato la rottura e Gerusalemme, per non chiudere una porta fondamentale verso il mondo islamico, si è prontamente scusata.
(Fonte: Il Sole 24 Ore)
A cura di Roberto Di Ferdinando

mercoledì 13 gennaio 2010

Cronaca dell’attraversamento della frontiera tra la Giordania ed Israele

di Roberto Di Ferdinando (inviato speciale in Giordania e Israele)

Il viaggio è iniziato all’alba di Capodanno, alle ore 5 locali, da Aqaba, città turistica sul Mar Rosso e dopo 4 ore di viaggio verso Nord, costeggiando le pianure desertiche e le rive giordane del Mar Morto, il piccolo pullman che trasportava me ed altre 10 persone è giunto in prossimità del King Hussein Bridge, il ponte che attraversa il fiume Giordano e conduce in territorio israeliano. Il ponte si trova alla fine di una stretta e polverosa strada che man mano che si avvicina alla frontiera diventa ancora più caotica e stretta per i numerosi taxi parcheggiati lungo la via pronti ad accogliere i clienti provenienti da Israele. I veicoli giunti fin qui sono obbligati a sostare al primo check point giordano, un grande parcheggio per i bus dove regna un po’ di confusione, in particolare sulle procedure da espletare. Fortunatamente un incaricato giordano dell’agenzia, su cui io ed i miei compagni di viaggio ci eravamo appoggiati per l’organizzazione del tour in Medio Oriente, è salito sul nostro veicolo, ha chiesto gentilmente a ciascuno i propri passaporti e 5 dinari giordani (circa 5 euro) per pagare la tassa di uscita. Infatti in questa zona, come altre in Asia ed America del Sud, i governi fanno pagare ai passeggeri in transito da uno all’altro stato confinante una tassa di uscita che può variare a seconda del mezzo e dalla frontiera che si utilizzano. Lo stesso incaricato ci invita tutti a scendere, a prelevare dalla stiva del pullman i propri bagagli e farli passare al controllo dei raggi presso la postazione della polizia di frontiera giordana, postazione che è vicina al piazzale, ma che non prevede alcun percorso obbligato, isolato e controllato. Curiosamente i bagagli a mano non sono fatti passare al controllo di sicurezza, anzi ci invitano a lasciarli tranquillamente sul pullman. Dopo che i nostri bagagli sono stati analizzati distrattamente dai sistemi di sicurezza giordani, li risistemiamo all’interno del nostro pullman ed attendiamo l’incaricato con i nostri passaporti. Non attendiamo più di cinque minuti. Il nostro assistente, solo e senza essere accompagnato da alcun poliziotto locale, ci riconsegna i passaporti e ci augura buon viaggio. Nessun poliziotto giordano quindi ha fatto il confronto tra il mio passaporto ed il mio viso, i miei connotati. Riprendiamo così il viaggio, ma prima di imboccare il King Hussein Bridge, il nostro pullman si ferma nuovamente, un secondo check-point, qui i militari giordani sono visibilmente armati. Il nostro autista scende con dei fogli in mano, entra in una piccola costruzione lì adiacente e riesce quasi subito. Risale sul pullman e proseguiamo il nostro itinerario, finalmente attraversiamo il ponte. Intorno colline di sabbia e pietre, estremamente aride e brulle, ogni tanto svetta qualche torretta di osservazione militare, poi inizia la zona neutrale e qui nulla, nessuna presenza.



Il secondo check-point giordano

Finito il ponte, il pullman rallenta, affronta lentamente una curva e si ferma ad un primo check-point israeliano, un soldato ed una soldatessa, giovani, parlano con l’autista, dopo pochi attimi il pullman riparte e supera il confine, siamo in territorio israeliano, sono le 10,40, ma dovrà passare ancora del tempo prima di poter uscire dalla frontiera. In territorio israeliano questo luogo si chiama Abdala Bridge. E’ uno spazio verde, con prati curati e fioriti e rigogliosi palmizi, un bel posto dove soggiornare se non fosse per la tensione che vi si respira.


La frontiera israeliana

Il pullman infatti si avvicina a velocità moderata alla pensilina di scarico, non può andare oltre, qui difatti ci lascerà e rientrerà in territorio giordano. Nessun veicolo può oltrepassare questa barriera. Sulla banchina un ragazzo con occhiali scuri ed in abiti civili si distingue dagli altri perché imbraccia un fucile di precisione, invita l’autista a fermarsi ed aprire le portiere. Sale una ragazza in divisa e chiede se vi è qualcuno che parla inglese (sicuramente qualcuno ha avvertito dell’arrivo del nostro bus di turisti), ottenuta la risposta da alcuni miei compagni di viaggio, riscende senza dirci altro, noi, timorosi e titubanti, restiamo seduti sul pullman. Intanto stanno giungendo altri autobus, autobus di linea che trasportano ogni giorno dalla Giordania cittadini arabi o turisti che passano da qui per recarsi in territorio israeliano o verso i territori palestinesi. Nel frattempo le nostre valige sono scaricate sulle banchine da parte del personale addetto e dopo un po’ di tempo trascorso nell’incertezza, siamo inviati a scendere, a riconoscere i nostri bagagli, a prenderli e passarli, passaporto alla mano, ad un cancello perché saranno da qui incanalati al controllo con i raggi. Quest’area è molto caotica. Vi è una serie di sbarre, ci si avvicina ad una di esse e si consegna valigia e passaporto ad un addetto, gli addetti sono tutti arabi, questo prende il bagaglio, vi pone sopra il documento e lo avvicina presso un gabbiotto dove vi è a sedere e con giubbotto antiproiettile un agente della sicurezza israeliana, in totale i gabbiotti sono due. L’addetto consegna il documento all’agente che rilascia due ricevute adesive, una viene applicata sul passaporto, l’altra sul bagaglio. Una volta riconsegnato il libretto al diretto interessato, il bagaglio è caricato su un nastro trasportatore per essere controllato. Così descritte queste operazioni sembrano semplici e veloci, ma considerate che in quel momento due pullman erano appena giunti e circa settanta persone, con i propri bagagli, alcuni anche enormi, erano a ridosso delle sbarre. La confusione era totale. Dato che i controlli qui sono lunghi, alcuni dei nuovi arrivati si avvicinano agli addetti e lasciano scivolare nelle loro mani qualche spicciolo perche consegnino prima all’agente il documento per ottenere così subito le ricevute. Io tengo d’occhio il mio passaporto e la valigia, il documento cade più volte per terra e chiediamo che sia raccolto, inoltre nella confusione mi accorgo che stanno sbagliando l’assegnazione dell’etichetta, al mio bagaglio è stata applicata l’etichetta di un altro documento. Richiamo, nel mio approssimativo inglese, l’attenzione di un addetto lì presente, sembra essere il responsabile del personale arabo, e faccio presente dell’errore. Occorre rifare la procedura, nuove etichette, finalmente il mio bagaglio è sul nastro. Quasi i tutti i miei compagni di viaggio hanno oltrepassato il primo controllo dei passaporti, io invece sono ancora in fila, insieme a molti cittadini arabi. Al controllo un altro giovanissimo ragazzo, che ha lo sgarbato modo di chiamare in avanti le persone in fila, in particolare gli arabi, muovendo semplicemente l’indice ed il medio della mano. Atteggiamento che abbandona subito, e sostituendolo con un garbato saluto, quando si accorge di avere davanti un cittadino non arabo. Il ragazzo controlla rapidamente il mio passaporto e vi attacca un’ulteriore etichetta, questa volta rossa, indicante la data d’ingresso in Israele. Superata questa barriera entriamo dentro l’area coperta della stazione di frontiera dei bus. Qui si sono formate due lunghe file, non ordinate, di persone. Dobbiamo infatti passare un’ulteriore controllo dei passaporti, i metal detector e l’inevitabile scansione dei bagagli a mano. E’ obbligatorio togliersi anche la cintura ed ad alcuni si chiede di togliere anche le scarpe. Nel giro di venti minuti abbiamo superato anche questa barriera ed entriamo in una sala più grande con molti sportelli presieduti da soldati. Vi sono tre file, le persone sono smistate ai vari sportelli da altri giovanissimi ragazzi in divisa. A noi spetta l’ultimo. Ci accoglie una ragazza, avrà venti anni, capelli ricci e lunghi, legati a coda, è in divisa e con un dolce sorriso ci chiede se vogliamo o no il timbro (stamp) sul passaporto. Qui occorre un chiarimento. Chi dovesse recarsi in Israele, si interroghi prima se desidera o meno che sul suo passaporto sia apposto il timbro di ingresso nel paese. Questa domanda non è banale. Infatti alcuni paesi che non riconoscono ufficialmente Israele, quali Siria, Libano, Iran, Libia, Arabia Saudita e Yemen, non fanno entrare sul proprio territorio cittadini stranieri che esibiscono passaporti con timbri che testimoniano la visita di Israele. Non so se in futuro visiterò questi paesi, ma alla domanda della soldatessa rispondo a malincuore: “no stamp!”. Il “no stamp!” non semplifica però le operazioni di dogana, anzi le complica, infatti occorre adesso compilare un foglio del Ministero degli Interni israeliano sul quale si riportano i dati personali. La soldatessa mi appone qui il timbro e mi chiede di custodirlo all’interno del passaporto, sarà la testimonianza che sono entrato ufficialmente e legalmente in Israele, insieme a questo piccolo modulo mi consegna anche una cedolina che non avrò il tempo di capire cosa sia, infatti me la ritireranno dopo 50 metri. Con il nostro modulo timbrato, cedolina e passaporto finalmente accediamo alla sala ritiro bagagli, li vediamo lì al centro della sala, ma dovremo ancora attendere prima di riabbracciarli. Infatti l’accesso della sala è limitato, una soldatessa, inutile dire giovanissima, permette di superare un tornello solo dopo aver esibito i vari documenti ormai in nostro possesso. Superato anche questo ostacolo, dieci passi ed eccoci ad un ulteriore gabbiotto. Ancora una soldatessa, ancora giovanissima. Controlla il passaporto e ci ritira la misteriosa e fugace cedolina. Siamo arrivati ai bagagli. Ritiro il mio e mi avvio all’uscita, ma questa sembra ancora lontana, infatti davanti a noi una fila di persone attende di passare alla scansione i bagagli (ancora!). Fortunatamente mentre ci mettiamo in fila un gentile signore, stranamente non giovanissimo, in abiti civili, addetto alla sicurezza, ci invita a guadagnare l’uscita senza dover fare la fila e l’ulteriore controllo (ci avranno riconosciuto che siamo italiani?). Mentre passo in mezzo alle due file mi accorgo che quasi tutti coloro che hanno fatto passare i bagagli alla scansione sono stati invitati ad aprire le proprie valigie per un controllo visivo ancor più approfondito, si tratta esclusivamente di cittadini arabi. Siamo fuori dalla stazione di frontiera, siamo in Israele. Finalmente, sono le ore 12,15.
L’uscita da Israele è meno complicata, ma comunque sempre impegnativa. Il 3 gennaio 2010 infatti gli stessi viaggiatori dell’andata sono sulla strada di ritorno, passiamo dalla stessa frontiera. Adesso siamo su un bus israeliano. A qualche chilometro dalla stazione dei bus, il nostro pullman deve fermarsi ad un primo check-point israeliano. Ci spiega la guida che il personale a terra si compone di esponenti dei servizi segreti, dell’esercito e della polizia. Salgono sul pullman una soldatessa ed un soldato. E’ ancora la soldatessa a parlare, ci chiede se qualcuno ha armi a bordo, ovviamente noi diciamo di no e loro, fortunatamente, ci credono, siamo turisti italiani dice la guida (un pregio di essere italiani). Intanto altri addetti alla sicurezza stanno ispezionando la stiva del pullman, anche i bagagli sono italiani, quindi tutto tranquillo, possiamo ripartire. Ci avviciniamo alla stazione dei bus, c’è una corsia particolare per coloro che devono oltrepassare la frontiera. Il bus si ferma e ci lascia, non può andare oltre. Due ragazzi in abiti civili ed armati fanno un cenno all’autista per farci scendere. Contemporaneamente alcuni facchini, questa volta sono russi, iniziano a scaricare i nostri bagagli. Io ed un mio compagno di viaggio che esibiamo due macchine fotografie siamo invitati a passare presso un metal detector, penso, disperato, che vogliano vedere ed eventualemente cancellare le foto fatte durante il soggiorno a Gerusalemme qualora avessi fotografato, involontariamente, dei siti sensibili. Invece mi fanno lasciare le foto su un tavolino, passo sotto i metal detector e riprendo la mia macchina fotografica. Controllo rapidamente le foto ci sono ancora, mi dispiace per i miei amici e parenti che dovranno sorbirsi l’album fotografico del viaggio, ma le foto sono salve. Entriamo quindi nella stazione di frontiera, ovviamente in un’ala diversa dell’arrivo. Ci avviciniamo presso uno sportello che porta l’insegna “change – tax “. Ci avevano avvertito prima di lasciare Gerusalemme che per uscire da Israele occorre pagare una tassa di circa 167 shekel (31 euro circa). Pagata la tassa, lo sportello ci rilascia una doppia ricevuta; con questa, il passaporto e il modulo timbrato al momento dell’ingresso in Israele accediamo al controllo dei passaporti effettuato ancora una volta da una giovane soldatessa. Superato questo blocco l’ennesima soldatessa, sempre più giovane, ci ritira una delle due ricevute del pagamento della tassa e senza alcun controllo al metal detector accediamo al piazzale dei bus dove i nostri bagagli sono fatti caricare sul nostro pullman della compagnia giordana giunto da Amman per riportarci in Giordania. Le operazioni di frontiera nell’entrare in Giordania sono ancor più blandi dell’andata. Nessuna sosta ai check-point e, oltrepassato il King Hussein Bridge, arriviamo alla stazione dei bus in Giordania. Qui, solo per senso civico e di ospitalità, senza nessuna imposizione ed invito, scendiamo dal pullman e passiamo i nostri bagagli (ovviamente non quelli a mano) al controllo, mentre lo stesso incaricato dell’agenzia visto all’andata si ripresenta, prende i nostri passaporti e ritorna dopo cinque minuti. Ancora nessun poliziotto ci controlla. Risaliamo sul nostro bus e riprendiamo il nostro viaggio verso Amman lasciando alle spalle una tranquilla frontiera in una regione di tensione.
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